Giorno per giorno – 20 Febbraio 2020

Carissimi,
“E voi chi dite che io sia?” (Mc 8, 29). Ieri si era letto della cura progressiva, fino alla completa guarigione del cieco di Betsaida, quando potè vedere tutto chiaramente. Oggi è come se Gesù volesse confermare a se stesso se i suoi discepoli abbiano capito davvero come stanno le cose a suo riguardo. E comincia alla lontana, domandando loro cosa pensi la gente di lui. E loro riferiscono. Poi, però, arriva alla domanda cruciale (rivolta anche a noi): Bene, questo è quello che pensano gli altri, che mi conoscono solo per sentito dire, ma voi, voi che siete con me da tanto tempo, cosa pensate di me? Noi, oggi, si avrebbe anche qualche vantaggio rispetto ai discepoli di allora, dato che abbiamo le risposte pronte del catechismo, e però il rischio rimane, presente non tanto nelle nostre parole che, come quelle di Pietro – “Tu sei il Cristo!” -, e anche più di quelle, pretendono di esprimere la nostra fede in lui, ma nella nostra vita, nelle nostre scelte concrete di ogni giorno, che così facilmente la smentiscono. Portati come siamo a ridurla a devozione, più che a viverla come sequela. La prova della cui verità è il rifiuto opposto dai gestori del potere, come già avvenne per lui (v.31). Di quel potere, per partecipare del quale, anche solo con le briciole, noi si è spesso, invece, disposti a venderci lui, il suo esempio e il suo insegnamento. No, decisamente, non siamo ancora guariti. Da Cesarea di Filippo, dobbiamo tornare indietro, fino a Betsaida.

Oggi il nostro calendario ecumenico ci porta la memoria di Frederick Douglass, profeta del riscatto degli afro-americani.

Frederick Augustus Washington Bailey nacque da una schiava, Hariet Bailey, il 14 febbraio 1818, nella piantagione che Aaron Anthony possedeva a Tuckahoe, nella Contea di Talbot (Maryland, Stati Uniti). Nel 1826, alla morte del padrone, passò in proprietà al genero di questi, Thomas Auld, che lo mandò per alcuni anni a Baltimora, a lavorare alle dipendenze del fratello Hugh, dalla cui moglie, Sophia, il ragazzo apprese di nascosto i primi rudimenti di lettura e scrittura. Tra il 1834 e il 1836 Frederick fu ceduto in affitto ad alcuni coltivatori del Maryland, dove sperimentò sulla propria pelle i metodi violenti con cui venivano trattati gli schiavi e dove cominciò a coscientizzare i suoi compagni sulle tematiche abolizioniste e ad insegnare loro clandestinamente a leggere. Nel 1836, fu mandato a lavorare nei cantieri navali di Baltimora. Qui, conobbe Anna Murray, una ex schiava, con il cui aiuto, nel 1838 riuscì a fuggire al Nord. Raggiunto poco dopo dalla donna, nel settembre dello stesso anno, la sposò. Dalla loro unione sarebbero nati cinque figli. Fu allora che cambiò il cognome, scegliendo Douglass, dal nome del protagonista di un romanzo di Walter Scott. A New Bedford, nel Massachusetts, Douglass cominciò a lavorare come operaio comune, divenendo nel contempo predicatore della Chiesa Metodista Africana di Zion. Entrato nell’associazione antischiavista, fu “scoperto” come valente oratore e cominciò a tenere discorsi in tutto il Nord. Nel 1845 uscì la sua prima autobiografia, che conobbe un successo straordinario. Attraverso questa, i suoi comizi, e il giornale che lanciò due anni dopo, “The North Star”, diede il più decisivo contributo al movimento abolizionista. Fu anche uno dei primi ad appoggiare il movimento per i diritti delle donne, fin dalla sua prima convenzione a Seneca Falls, New York. Nel 1872 divenne il primo afro-americano a concorrere come candidato alla vicepresidenza degli Stati Uniti, assieme a Victoria Woodhull, la prima donna a candidarsi alla presidenza per il Partito degli Uguali Diritti. Nel 1882 morì la moglie Anna e, due anni dopo, Douglass sposò Helen Pitts, una donna bianca che era stata sua segretaria. Morì il 20 febbraio 1895 a Washington.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera di Giacomo, cap. 2,1-9; Salmo 34; Vangelo di Marco, cap. 8,27-33.

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

Come oggi, il 20 febbraio 1896, nasceva Henri de Lubac, gesuita, teologo, a lungo perseguitato dal Santo Ufficio, tenuto lontano dall’insegnamento, riabilitato da Giovanni XXIII, chiamato come perito conciliare al Vaticano II, creato cardinale da Giovanni Paolo II. Scrisse che “la chiesa non ci rivela mai in modo più degno il suo Signore di quanto non faccia nelle occasioni in cui ci offre di rivivere la sua passione”. Noi scegliamo di congedarci, lasciando la parola a lui, con una citazione tratta dal suo “Il dramma dell’umanesimo ateo” (Jaca Book), che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
La fede in Dio, quella fede che ci inculca il cristianesimo in una trascendenza sempre presente e sempre esigente, non ha come scopo di sistemarci comodamente nella nostra esistenza terrena per farci addormentare in essa – per quanto febbricitante possa essere il nostro sonno. Ma, piuttosto, essa ci rende inquieti e incessantemente viene a rompere quell’equilibrio troppo bello delle nostre concezioni mentali e delle nostre costruzioni sociali. Irrompendo in un mondo che tende sempre a chiudersi, Dio vi apporta senza dubbio un’armonia superiore, ma che può essere raggiunta solo a prezzo di una serie di rotture e di lotte, serie lunga tanto quanto il tempo stesso. “Non sono venuto a portare la pace, ma la spada”: Cristo è anzitutto il grande turbatore. Questo non vuol dire certamente che non vi sia una dottrina sociale della Chiesa che deriva dal Vangelo. Tanto meno ciò tende a distogliere i cristiani, uomini e membri della città come i loro fratelli, dallo sforzo di risolvere, in conformità con i princìpi della loro fede, i problemi della città: essi anzi vi si sentono spinti da una necessità in più. Ma nello stesso tempo sanno che, siccome il destino dell’uomo è eterno, non deve fermarsi alla vita di quaggiù. La terra, che senza Dio potrebbe cessare di essere un caos solo per diventare una prigione, è in realtà il campo magnifico e doloroso dove si prepara la nostra esistenza eterna. Così la fede in Dio, che nulla potrà mai strappare dal cuore dell’uomo, è la sola fiamma nella quale si conserva, umana e divina, la nostra speranza. (Henri De Lubac, Il dramma dell’umanesimo ateo).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 20 Febbraio 2020ultima modifica: 2020-02-20T22:43:49+01:00da fraternidade
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