Giorno per giorno – 25 Dicembre 2019

Carissimi,
“Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia” (Lc 2, 10-12). È l’annuncio dell’angelo ai pastori, una delle categorie più emarginate all’epoca, lontani giocoforza dalla pratica dei precetti e perciò considerati ritualmente impuri. Ed è a loro che Dio si rivela. E, tramite loro, agli altri. Anche a noi, attraverso i secoli. Con grande dispetto di quanti, pur ripetendosi obbligatoriamente la storia, vorrebbero diversamente. Che, almeno, l’accento fosse posto su altro: sui miracoli, la morale, gli obblighi, i comandamenti, i pellegrinaggi, le devozioni, le apparizioni. Con i poveri rimessi ogni volta al posto loro, da parte. Invece Dio li ha voluti – e li vuole – al centro della sua rivelazione. Lui fatto il più piccolo tra loro, perché non si abbia più paura di Dio, ma lo si faccia oggetto delle nostre tenerezze, dopo che egli ci ha manifestato la sua, infinita. Natale, lungo il tempo, è diventato, per molti, altro, festa della famiglia, dei buoni sentimenti che durano un giorno, del consumo, dove si può, sfrenato, o delle gozzoviglie anche a buon mercato. Occasione per sospendere ipocritamente, qua e là, le carneficine, che riprenderanno subito dopo, o per farne di maggiori e piú sanguinarie, al fine di moltiplicarne l’impatto. Tutte forme che ne denunciano la perdita di significato. Dio, però, non cessa di rivelarsi, come specchio del bisogno dei poveri e come promessa che ostinatamente ha seminato loro in cuore. Lontano dai riti e dallo splendore delle celebrazioni, sacre o profane, o dove vi sia comunque sufficiente libertà di spirito per sottrarsi all’idolatria di un Sistema che manipola tutto, e cogliere la Parola che si ostina a dirsi nel dare e ricevere amore. Noi, ieri sera, si era pochini, nella chiesa del monastero a celebrare il mistero. Se altri scelgono altro, è forse perché la forza della nostra testimonianza non manifesta a sufficienza la gioiosa notizia portata dall’angelo ai pastori. Buon Natale, comunque.

Oggi, celebriamo dunque il Natale del Signore.

Anticamente, nelle chiese d’Oriente, la nascita di Cristo veniva festeggiata il 6 gennaio, col nome di Epifania, che significa “manifestazione” ed era associata alle altre teofanie con cui il Verbo di Dio si era fatto conoscere: al mondo (nella figura dei magi), al popolo ebreo (durante il battesimo), e ai discepoli (alle nozze di Cana). Sarà solo nella seconda metà del secolo IV, che la chiesa di Roma volle sostituire la festa pagana del 25 dicembre, quel “Natale del Sole Invitto” che, dopo la notte più lunga dell’anno, segnava l’inizio della rivincita del sole sulle tenebre invernali, con la celebrazione cristiana del Natale di Cristo, proclamato come il vero Sole di giustizia, venuto a illuminare e liberare quanti giacciono nelle tenebre dell’oppressione e dell’ingiustizia. Annuncio di una Pace, che è insieme salute, salvezza, gioia, vita felice, dignitosa, piena, benessere materiale e spirituale, per ciascuno e per la comunità nel suo insieme.

I testi che la liturgia di questa Solennità del Natale di Gesù propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Isaia, cap.9, 1-6; Salmo 96; Lettera a Tito, cap.2, 11-14; Vangelo di Luca, cap, 2, 1-14.

Anche se un po’ sottovoce, per la coincidenza con il Natale, ricorderemo che il nostro calendario ci porta oggi la memoria di due figure che ci sono particolarmente care: quella del filosofo Emmanuel Lévinas, profeta dell’alterità, e quella di Paul Gauthier, testimone silenzioso di solidarietà.

Emmanuel Lévinas era nato il 12 gennaio 1906 (corrispondente nel calendario giuliano al 30 dicembre 1905), a Kaunas, in Lituania, da una famiglia ebrea che, emigrata in Ucraina alla fine della 1ª Guerra mondiale, fece ritorno in patria allo scoppio della rivoluzione d’ottobre. Nel 1923, all’età di 17 anni Lévinas si trasferì in Francia, per compiere i suoi studi all’università di Strasburgo. Nel biennio 1928-29, frequentò invece l’Università di Friburgo, dove ebbe come professori i filosofi Edmund Husserl e Martin Heidegger, dei quali farà conoscere il pensiero in Francia all’inizio degli anni 30. Durante la 2ª Guerra mondiale, la sua famiglia, rimasta in Lituania, scomparve negli orrori dell’Olocausto, mentre lui, come cittadino e soldato francese, fu mandato ai lavori forzati in campo di concentramento in Germania. La moglie Raissa, una musicista viennese da lui sposata nel 1932, e la figlia, Simone Hansel, vissero invece nascoste in un convento francese. L’altro figlio della coppia, Michael, sarebbe nato solo in seguito. La filosofia propria di Lévinas si venne precisando dopo la fine della Guerra. Estraneo alle problematiche metafisiche e epistemologiche, egli proponeva la “responsabilità etica personale per l’altro” come punto di partenza del suo pensiero. L’enfasi da lui posta su questo tema, il suo impegno a favore dell’ebraismo, il suo ricorso a un linguaggio spiccatamente religioso e i numerosi commenti a brani della Bibbia e del Talmud ne fecero un pensatore unico, distante dagli esiti scettici e nichilisti di molta filosofia contemporanea. Morì il 25 dicembre 1995.

Nato il 30 Agosto 1914 in Borgogna (Francia), Paul Gauthier era entrato giovanissimo in seminario a Digione, rimanendovi poi come professore di teologia. Stanco dei privilegi comunque legati allo stato ecclesiastico, aveva partecipato per qualche tempo all’esperienza dei preti-artigiani (Roma aveva proibito il lavoro salariato), portata avanti dal domenicano Jacques Loew e poi aveva deciso di recarsi a Nazareth, a lavorare come Gesù. Aveva scritto nel suo diario: “Dal giorno in cui, attraverso le sue creature che vivono nella miseria e nella più dura fatica, il Signore Gesù mi aveva fatto sentire questo duro rimprovero: ‘Io sono povero: ma tu non vivi con me e per me’, sento il desiderio di andare a vivere e a lavorare in mezzo ai poveri e agli operai”. In seguito, altri uomini e donne si sarebbero uniti a lui, scegliendo di chiamarsi Compagni e compagne di Gesù Carpentiere. Profeta scomodo, radicale, intransigente, sempre più insofferente del quietismo e dell’indifferenza per le tragedie dei poveri, di cui vedeva caratterizzate le Chiese, avrebbe ritenuto giusto, negli anni seguenti, per fedeltà ai “popoli che hanno fame e sete di giustizia”, sciogliere ogni legame residuo con l’istituzione ecclesiastica. Con Marie Thérèse Lacaze (Myriam), la prima delle Compagne, decise di creare una famiglia, adottando due bimbi indiani, Shanty e Nirmal, fermo nel suo impegno di attenzione e immedesimazione con i poveri, nell’azione a favore di una Palestina pacificata nella giustizia, nella difesa della Creazione e nella cura premurosa della sua famiglia. Morì il 25 dicembre 2002, in un piccolo appartamento di Marsiglia. Ai suoi funerali, celebrati il 28 seguente nella chiesa ortodossa di San Giorgio, assieme ai suoi cari, poche decine di persone: cristiani, ebrei, musulmani e non credenti.

Ed è tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura una riflessione di don Giuseppe Dossetti, tratta da una sua omelia natalizia. Che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Credo che proprio la festa di Natale sia la festa della nostra fede nel senso più profondo, perché ci fa vedere la via del Signore, la via, sì, di una trasformazione profonda, sostanziale e interna di tutto l’uomo, di tutti gli uomini, della comunità degli uomini, ma insieme una via che non ha apparenze, che è tutta umiltà, che è tutta povertà, che è tutta esiguità e impotenza. Dopo di Lui non cambia niente. Non è venuto a cambiare esternamente. Le profezie annunziavano, sì, anche questi cambiamenti esterni, ma devono essere reinterpretati nella pienezza della luce della rivelazione come cambiamenti intrinseci, profondi, invisibili, o visibili soltanto a chi ha la luce della fede. Ecco la necessità di chiedere a Dio una fede più viva, più penetrante, più qualificatamente cristiana, che sappia unire il mistero della discesa di Dio e del suo annientamento con il riconoscimento in queste apparenze, così povere e annullate, della sua potenza. Come si fa? Per poter far questo occorre che noi accettiamo in pieno le vie di Dio, le vie della semplicità, le vie dell’umiltà, dell’umiliazione. Perciò noi dobbiamo accettare come arma della nostra fede e insieme come potenza della nostra fede, di operare in sinergia con Dio, di seguire e di adottare i suoi criteri e i suoi misteri, non c’è altra strada, diversamente tutto è negazione, tutto è contraddizione. I profeti e i santi hanno fatto così; riconoscendo le vie del Signore, accettandole e praticandole, la loro fede è esplosa in una potenza veramente capace di rinnovare tutto il resto. L’unico punto di rinnovamento di tutte le profezie, e di adempimento, sta nella santità umile e povera, disarmata. L’impotenza sta invece nel voler vedere la realizzazione delle vie di Dio, sta nel vedere le cose in un modo trionfante, palpabile, vincitore: questa è la massima impotenza! Allora ci facciamo coraggio insieme e ci diciamo, tutti insieme, di pregare per la nostra fede perché accetti il mistero così com’è: deve essere accettato così com’è perché è un mistero d’impotenza nell’infinita onnipotenza di Dio. (Giuseppe Dossetti, Omelia di Natale per la Messa dell’Aurora)

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 25 Dicembre 2019ultima modifica: 2019-12-25T22:14:27+01:00da fraternidade
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