Giorno per giorno – 21 Dicembre 2019

Carissimi,
“Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!” (Lc 1, 41-42). Immagine, dicono, dell’Antico Testamento, ma anche, chissà, dell’umanità intera, e perciò anche di noi stessi, tra quanti insomma si portano dentro il seme di una profezia, di cui si intuisce il tenore, ma non se ne conoscono ancora i lineamenti, Elisabetta gioisce nello Spirito a incontrare Maria, che, di quella profezia, porta in seno il compimento. Che ci sarà dato conoscere (ogni volta dobbiamo conoscerlo di nuovo), nel vangelo che parla di Gesù. Evento, il suo, che supera ogni immaginazione, che eccede i limiti di ogni possibile e impossibile promessa: il Dio che, impaziente, si fa noi, sullo slancio di un amore incondizionato che non conosce misure, per restituirci allo statuto divino che avevamo perduto, vendicandosi così dell’antico Nemico, alle cui suggestioni siamo, purtroppo, portati a cedere ogni volta. Proviamo anche noi lo stesso brivido di Elisabetta nell’incontro ravvicinato con la Parola di Dio, di cui è gravida ormai ogni persona umana e l’intera creazione? L’approssimarsi del Natale ce ne rende capaci?

Oggi il calendario ci porta le memorie di Antonio de Montesinos, difensore dei diritti degli indigeni, e di John Newton, predicatore e innografo evangelico.

Non conosciamo le date di nascita e di morte di Antonio de Montesinos. Sappiamo che, entrato nell’Ordine dei Predicatori, fece la sua professione religiosa nel convento di santo Stefano a Salamanca, dove fu presto notato per la sua pietà esemplare, il suo amore per l’osservanza della regola, la sua eloquenza e il suo coraggio morale. Nel settembre del 1510, sotto la guida di frei Pedro de Cordoba, fece parte della prima comunità religiosa insediatasi nelle Americhe, sull’isola Española (oggi Santo Domingo). Il 21 dicembre 1511, durante l’omelia della 4ª Domenica d’Avvento, tenuta alla presenza dell’ammiraglio don Diego Colombo, figlio del più famoso Cristoforo, e vice-re delle Indie, il nostro frate non esitò a denunciare come peccaminoso e ignobile il trattamento che gli spagnoli riservavano agli indigeni. Tale presa di posizione gli valse la censura e la citazione alla corte di Spagna, dove nel 1512 fu chiamato per discolparsi. Seppe tuttavia difendere con tale dovizia di argomenti la sua denuncia che il re Ferdinando convocò a Burgos, allora sede della corte itinerante, una giunta di teologi, di giuristi e di rappresentanti dei coloni per valutare le modalità di governo nei territori di recente scoperta e legiferare in merito. La discussione si concluse con l’emanazione, il 27 dicembre 1512, delle cosiddette Leggi di Burgos, che riconobbero la libertà degli indigeni e costituirono il primo testo legislativo, almeno nella lettera, a loro favore. Nel giugno 1526, frei Antonio de Montesinos assieme a frei Antonio de Cervantes, accompagnò alcune centinaia di coloni che, sotto la guida dell’esploratore Lucas Vásquez de Ayllón, attraccarono alle coste dell’attuale Carolina del Sud. La spedizione non ebbe un gran successo: gli africani, che costituivano la mano d’opera schiava dei coloni, preferirono fuggire e andarsene a vivere pacificamente con gli indigeni del posto, i Cofitachiqui. La maggior parte dei coloni, tra cui lo stesso Ayllón, morirono a causa di una febbre epidemica. Sicchè, i sopravvissuti preferirono, piuttosto sconsolati, far ritorno all’isola Española. Nel 1528 Antonio de Montesinos si recò con altri venti frati in Venezuela. Una breve nota a margine nel registro della sua professione, nel convento di S. Stefano a Salamanca, ci informa che “morì martire nelle Indie”. Non sappiamo in quali circostanze. Presumibilmente, intorno all’anno 1545.

John Newton nacque a Londra il 24 luglio 1725. Trascorse gli anni della sua giovinezza a lavorare come mozzo sulla nave del padre, e in seguito sulle navi negriere, impegnate nella tratta e nel commercio di schiavi tra le coste dell’Africa e quelle dell’America. Nel 1748, in seguito allo scampato naufragio della nave che, dall’Africa, lo riportava in patria, iniziò il suo processo di conversione. Il 12 febbraio 1750 sposò Mary Calett che sarà la compagna di tutta la vita. Sotto l’influsso di John Wesley e di George Whitefield, sentì crescere in lui la chiamata di Dio a predicare l’evangelo e iniziò a prepararvisi diligentemente. A trentanove anni, fu ordinato ministro dalla chiesa anglicana e si vide affidata la cura d’anime nel piccolo villaggio di Olney, nei pressi di Cambridge, dove visse per quindici anni. Qui si fece conoscere, oltre che come efficace predicatore dell’Evangelo, anche come prolifico scrittore di inni sacri. Assieme a William Cowper, diede alle stampe nel 1779 il famoso innario Olney Hymns, uno dei più importanti contributi nel campo dell’innodia evangelica. Nello stesso anno, gli fu affidato l’incarico di pastore nella chiesa di Saint Mary Woolnoth a Londra. Qui Newton stabilì una forte relazione con William Wilberforce e altri leader politici impegnati nella battaglia per l’abolizione della schiavitù. E, per una qualche coincidenza, sarà proprio nell’anno della sua morte che il Parlamento britannico abolirà la schiavitù in tutti i suoi domini. Newton morì ottantatreenne, il 21 dicembre 1807. Ad un amico che l’aveva visitato poco prima, disse: “La mia memoria è sempre più debole, ma io ricordo bene almeno due cose: di essere un grande peccatore e che Cristo è il grande Salvatore!”. Lui stesso dettò la scritta da incidere sulla sua tomba: “John Newton, ecclesiastico, una volta infedele e libertino, servitore di schiavi in Africa, è stato, dalla ricca misericordia del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, preservato, restaurato, perdonato e scelto, per predicare quella fede che aveva a lungo cercato di distruggere”.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Cantico dei Cantici, cap.2, 8-14; Salmo 33; Vangelo di Luca, cap. 1, 39-45.

La preghiera del Sabato è in comunione con le Comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

Ed è tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura un brano del discorso di auguri tenuto stmattina da papa Francesco alla Curia romana. Che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Lo scambio degli auguri natalizi è un’occasione per accogliere nuovamente il suo comandamento: “Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,34-35). Qui, di fatto, Gesù non ci chiede di amare Lui come risposta al suo amore per noi; ci domanda, piuttosto, di amarci l’un l’altro con il suo stesso amore. Ci domanda, in altre parole, di essere simili a Lui, perché Egli si è fatto simile a noi. Il Natale, dunque – esorta il santo Cardinale Newman –, “ci trovi sempre più simili a Colui che, in questo tempo è divenuto bambino per amor nostro; che ogni nuovo Natale ci trovi più semplici, più umili, più santi, più caritatevoli, più rassegnati, più lieti, più pieni di Dio”. E aggiunge: “Questo è il tempo dell’innocenza, della purezza, della dolcezza, della gioia, della pace”. Il nome di Newman ci ricorda anche una sua ben nota affermazione, quasi un aforisma, rintracciabile nella sua opera Lo sviluppo della dottrina cristiana, che storicamente e spiritualmente si colloca al crocevia del suo ingresso nella Chiesa Cattolica. Dice così: “Qui sulla terra vivere è cambiare, e la perfezione è il risultato di molte trasformazioni”. Non si tratta ovviamente di cercare il cambiamento per il cambiamento, oppure di seguire le mode, ma di avere la convinzione che lo sviluppo e la crescita sono la caratteristica della vita terrena e umana, mentre, nella prospettiva del credente, al centro di tutto c’è la stabilità di Dio. Per Newman il cambiamento era conversione, cioè un interiore trasformazione. La vita cristiana, in realtà, è un cammino, un pellegrinaggio. La storia biblica è tutta un cammino, segnato da avvii e ripartenze; come per Abramo; come per quanti, duemila anni or sono in Galilea, si misero in cammino per seguire Gesù: “E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono” (Lc 5,11). Da allora, la storia del popolo di Dio – la storia della Chiesa – è segnata sempre da partenze, spostamenti, cambiamenti. ]…] Tutto questo ha una particolare valenza nel nostro tempo, perché quella che stiamo vivendo non è semplicemente un’epoca di cambiamenti, ma è un cambiamento di epoca. Siamo, dunque, in uno di quei momenti nei quali i cambiamenti non sono più lineari, bensì epocali; costituiscono delle scelte che trasformano velocemente il modo di vivere, di relazionarsi, di comunicare ed elaborare il pensiero, di rapportarsi tra le generazioni umane e di comprendere e di vivere la fede e la scienza. (Papa Francesco, Discorso alla Curia romana per gli auguri di Natale).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 21 Dicembre 2019ultima modifica: 2019-12-21T22:09:34+01:00da fraternidade
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