Giorno per giorno – 23 Novembre 2019

Carissimi,
“I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni dell’altro mondo e della risurrezione dai morti, non prendono moglie né marito; e nemmeno possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio” (Lc 20, 34-36). C’è una logica, ci dicevamo stamattina, che dovrebbe caratterizzare già da ora quanti sono stati liberati da Cristo dalla sudditanza ai criteri imposti dal Sistema, al fine di mostrare che “un altro mondo è possibile”, quello da Lui proposto, in cui ogni stato di vita è vissuto non più come figura del dominio – l’uomo sulla donna, il ricco sul povero, il proprietario sul nullatenente, il libero sullo schiavo, l’autoctono sullo straniero, il credente sul diversamente credente e così via – , ma come vangelo, buona notizia di Dio, abbattimento di ogni barriera, a partire da quella dell’inimicizia, e perciò principio di risurrezione, sacramento della ritrovata figliolanza di Dio. È questo a cui siamo chiamati.

Oggi il calendario ci porta le memorie di Clemente di Roma, pastore e martire; Colombano, monaco; e Miguel Agustin Pro, martire in Messico.

Sappiamo poco di questo Clemente, che la tradizione vede alla successione del beato Pietro apostolo, come terzo vescovo di Roma, dopo Lino e Cleto, e che è, con certezza, l’autore di una bella Lettera ai Corinzi, che rappresenta uno dei documenti più importanti della Chiesa primitiva. La profonda conoscenza dell’Antico Testamento che in essa si rileva, porta a ritenere che egli fosse di origine ebraica. Conobbe Pietro e fu forse collaboratore di Paolo. Il suo pontificato durò nove anni, sotto gli imperatori Domiziano, Nerva e Traiano. Circa la sua fine, una tradizione non comprovata risalente al IV secolo afferma che sarebbe stato affogato con un’ancora al collo in Crimea, suo luogo d’esilio. per ordine dell’imperatore Nerva. Lo storico Eusebio di Cesarea e san Girolamo sostengono concordemente che Clemente morì nel 101, senza però menzionarne l’esilio o il martirio.

Colombano era nato verso l’anno 543, nella provincia irlandese del Leinster. A vent’anni era entrato nel monastero di Bangor, dov’era abate Comgall, un monaco famoso per la vita di preghiera e il rigore ascetico. Terminata la formazione monastica e ordinato sacerdote, Colombano, con dodici compagni, si recò in Bretagna, dove fondò numerosi monasteri e si fece carico di una diffusa azione missionaria. La forte personalità e lo zelo per il Vangelo lo portarono spesso a denunciare apertamente le malefatte dei governanti dell’epoca e a subirne le conseguenze, in termini di minacce alla sua persona, persecuzioni, esili. Davanti al papa Gregorio Magno, difese le ragioni dei cristiani del suo Paese circa la scelta della data della Pasqua e le discipline penitenziali che i monaci avevano esportato in tutta Europa. Due anni prima della morte, dopo un periodo trascorso sul lago di Costanza, raggiunse Bobbio, sull’Appennino emiliano-ligure, dove si spense, nel monastero che vi aveva fondato, il 23 novembre del 615.

José Ramón Miguel Agustín era nato a Guadalupe, vicino a Zacatecas, in Messico, il 13 gennaio 1891, terzo figlio di Miguel Pro e di Josefa Juárez.. Ragazzo estroverso e allegro, entrò nella Compagnia di Gesù a vent’anni, continuando a dar prova di spirito di sacrificio, nonché di allegria costante nel dono di sé. Dopo la formazione, avvenuta in California, Spagna, Belgio (dove fu ordinato prete nel 1925) e in Nicaragua, rientrò nel 1926 in Messico, che conosceva in quegli anni una situazione drammatica a livello sociale, politico e religioso. Quelli che seguirono furono mesi vissuti pericolosamente, di ministero pastorale clandestino, con celebrazioni in segreto dell’Eucaristia, esercizi spirituali per il popolo perseguitato, visite frequenti a quanti avevano più bisogno di una parola amica e di un aiuto concreto: i poveri, i malati, i moribondi. Il tutto eludendo astutamente la sorveglianza e i controlli di una polizia sempre più disorientata. Anche se si trattava di un’attività strettamente sacerdotale e caritativa, la legge in vigore la considerava illegale. E il governo massone dell’epoca non gliela perdonò. Nel clima di repressione generalizzata che seguì l’attentato al generale Alvaro Obregon, il giovane gesuita venne arrestato e, senza che si tenessero in alcun conto le deposizioni dei testimoni che provavano la sua innocenza, e che si istituisse un regolare processo, fu condannato e fucilato a Città del Messico, il 23 novembre 1927, con il solo fine di incutere paura a quanti non intendevano piegarsi ad un regime anticattolico e inumano. Le sue ultime parole, prima della scarica dei fucili, furono la sua professione di fede nel Re povero al cui servizio si era liberamente messo: “Viva Cristo Re!”. Uno degli autori dell’esecuzione dirà in seguito: “È così che muoiono i giusti”. In occasione dei funerali, nonostante le misure repressive in atto contro le manifestazioni religiose, accorsero più di ventimila persone, per ringraziare colui che aveva fatto loro dono della sua vita.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
1° Libro dei Maccabei, cap. 6, 1-13; Salmo 9; Vangelo di Luca, cap. 20, 27-40.

La preghiera del sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

È tutto, per stasera. E noi ci si congeda, offrendovi in lettura un brano della “Lettera ai Corinzi” di Clemente di Roma. Una lettera che, assai citata nell’antichità, si vide riconosciuta da talune chiese una dignità pari a quella delle Scritture. È questo, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Guardate, carissimi, che i numerosi benefici di Lui non diventino condanna per noi se vivendo in modo degno di Lui non facciamo nella concordia ciò che è bello e gradito al suo cospetto. Dice, infatti, in un luogo: “Lo Spirito del Signore è lucerna che esplora le profondità delle viscere”. Consideriamo che egli è vicino e nulla gli sfugge nè dei nostri pensieri nè dei discorsi che facciamo. È quindi giusto che non ci discostiamo dalla sua volontà. È meglio urtare gli uomini stolti, ignoranti, superbi, vanagloriosi nella spavalderia della loro parola che urtare Dio. Veneriamo il Signore Gesù Cristo il cui sangue fu dato per noi, rispettiamo quelli che ci guidano, onoriamo gli anziani, educhiamo i giovani al timore di Dio, indirizziamo al bene le nostre donne. Esse mostrino l’indimenticabile costume della purezza, manifestino la loro vera volontà di pace, rendano palese la moderazione della loro lingua mediante il silenzio ed esercitino la carità non secondo le passioni, ma santamente senza parzialità per tutti quelli che temono Dio. I nostri figli partecipino dell’educazione in Cristo; imparino che cosa possano l’umiltà e l’amore presso il Signore e come sia bello e grande il timore di Lui che salva tutti quelli che vivono santamente in Lui con mente pura. Egli è scrutatore dei pensieri e dei sentimenti. Il suo spirito è in noi, e quando vuole lo toglie. (Clemente Romano, 1ª Lettera ai Corinzi, XXI).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 23 Novembre 2019ultima modifica: 2019-11-23T22:46:31+01:00da fraternidade
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