Giorno per giorno – 18 Novembre 2019

Carissimi,
“Mentre si avvicinava a Gerico, un cieco era seduto a mendicare lungo la strada. Sentendo passare la gente, domandò che cosa accadesse. Gli risposero: Passa Gesù il Nazareno! Allora incominciò a gridare: Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!”. (Lc 18, 35-38). Noi si è ascoltato questo vangelo alla chácara di recupero, durante l’eucaristia, presieduta da dom Eugenio, con la quale ci siamo congedati da Wolton, giunto al termine dei suoi nove mesi di trattamento. E ci siamo detti che la chiave di lettura di questo episodio – per evitare di ridurlo ad un semplice racconto di miracolo, come ce ne sono tanti e un po’ in tutte le religioni -, sta nei versetti immediatamente precedenti, in cui Gesù dice ai suoi: Ecco che il Figlio dell’uomo “sarà consegnato ai pagani, schernito, oltraggiato, coperto di sputi e, dopo averlo flagellato, lo uccideranno e il terzo giorno risorgerà” (Lc 18, 32-33), e l’evangelista annota: “Ma essi non compresero nulla di tutto questo; quel parlare restava oscuro per loro e non capivano ciò che egli aveva detto” (v. 34). La parola della croce restava loro oscura ed essi non capivano. Come anche noi, dopo duemila anni. Dunque, quel cieco, che mendicava la verità alle porte della Terra promessa, a cui tutti anelano, siamo anche noi. Preoccupati, come i discepoli, con tutt’altre cose, scambiate con la verità, come il potere, per esempio, in tutte le sue forme, e ciechi di fronte alla croce, che è il suo contrario e che dice l’ultima e definitiva verità di Dio: dono incondizionato di sé fino alla morte, per la vita degli altri. Se solo ci rendessimo conto, di essere niente più che mendicanti della verità, come ebbe a confessare Lutero alla vigilia della morte, potremmo rispondere con il cieco di Gerico a Gesù che ci chiede cosa vogliamo da lui: Signore, che io veda più alto (come suona la prima traduzione del verbo “anablepo” del testo greco, che significa anche veder di nuovo). “Quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12, 32) “Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto” (Gv 19, 37). Che questa profezia si compia anche per noi affinché, sollevando gli occhi dai nostri interessi egoisti e meschini, sappiamo scorgere le piaghe del Crocifisso nei crocifissi della storia, per giungere a testimoniarne, presto e fattivamente, la risurrezione.

Oggi facciamo memoria di Adriana Zarri, eremita e teologa. Ricordiamo anche la Promulgazione della Costituzione Dogmatica sulla Divina Rivelazione Dei Verbum, ad opera del Concilio Vaticano II.

Adriana Zarri era nata il 26 aprile 1919 a S. Lazzaro di Savena (Bologna). Ancor giovane, fu dirigente di Azione Cattolica, poi giornalista pubblicista e teologa, collaborando via via a diverse testate cattoliche, dall’Osservatore Romano, a Il Regno, Studium, Concilium, Servitium, Sette Giorni e Politica, ma anche a quelle degli “altri”, Avvenimenti, Micromega, Il Manifesto. Protagonista e testimone appassionata del Concilio, maturò nel 1975 la vocazione eremitica, ritirandosi a vivere in una cascina, dapprima ad Albiano, poi a Fiorano Canavese, e, infine a Crotte di Strambino (Torino), dove è sempre vissuta in semplicità, a contatto con la natura, che era, assieme al mistero cristiano, la sua fonte d’ispirazione. Critica esigente e libera della sua Chiesa, sempre per troppo amore, fu spesso missionaria “in partibus infidelium”, senza la pretesa di convertire nessuno, sapendo anzi leggere in essi una fedeltà a volte maggiore a quella di chi si dice fedele, solo, chissà accompagnata da una più grande discrezione nel nominare Dio e le cose ultime. Della preghiera, in un’intervista, ebbe a dire: “A chi ci chiede a ‘cosa serve’ la preghiera, bisogna dire scandalosamente che non serve a nulla, come non serve a nulla l’amore, l’arte, la bellezza”. Si è spenta, novantunenne, nella notte tra il 17 e il 18 novembre 2010, a Crotte di Strambino. Ha lasciato questa poesia come epigrafe: “Non mi vestite di nero: / è triste e funebre. / Non mi vestite di bianco: / è superbo e retorico. / Vestitemi / a fiori gialli e rossi / e con ali di uccelli. / E tu, Signore, guarda le mie mani. / Forse c’è una corona. / Forse / ci hanno messo una croce. / Hanno sbagliato. / In mano ho foglie verdi / e sulla croce, / la tua resurrezione. / E, sulla tomba, / non mi mettete marmo freddo / con sopra le solite bugie / che consolano i vivi. / Lasciate solo la terra / che scriva, a primavera, / un’epigrafe d’erba. / E dirà / che ho vissuto, / che attendo. / E scriverà il mio nome e il tuo, / uniti come due bocche di papaveri”.

“In religioso ascolto della parola di Dio e proclamandola con ferma fiducia, il santo Concilio fa sue queste parole di san Giovanni: “Annunziamo a voi la vita eterna, che era presso il Padre e si manifestò a noi: vi annunziamo ciò che abbiamo veduto e udito, affinché anche voi siate in comunione con noi, e la nostra comunione sia col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo” (1 Gv 1,2-3). Si apre così la Costituzione dogmatica sulla divina Rivelazione Dei Verbum, che, a giudizio di molti rappresenta l’espressione più alta dei documenti conciliari. Promulgata da Paolo VI il 18 novembre 1965, essa, se così si può dire, riconsegna ufficialmente la Scrittura, dopo un sequestro durato secoli, a tutto il popolo di Dio, affinché la Rivelazione, lungi dall’essere un deposito statico, progredisca e cresca nella Chiesa, sia attraverso la contemplazione e lo studio dei credenti”, “sia con l’esperienza data da una più profonda intelligenza delle cose spirituali da parte di tutto il popolo di Dio; sia infine per la predicazione di coloro i quali con la successione episcopale hanno ricevuto un carisma sicuro di verità” (Dei Verbum n.8). Commentando questo passo, P. Benedetto Calati scriveva: “È un testo formidabile! Questo accade quando la chiesa veramente si fida della Parola di Dio. La chiesa del domani dovrà essere una chiesa che si fida della Parola, nell’ascolto di tutto il popolo di Dio. Qui c’è il compimento della Parola di Dio; questa è la tradizione. Ciascuno di noi è coinvolto a livello attivo”. Che questo coinvolgimento attivo di tutti nel far crescere la Parola, il suo ascolto, la sua comprensione, la sua celebrazione e testimonianza, nella Chiesa, al servizio della vita dell’umanità e del mondo, possa essere anche la nostra costante preoccupazione.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
1° Libro dei Maccabei, cap. 1,10-15.41-43.54-57.62-64; Salmo 119, 53.61.134.150.155.158; Vangelo di Luca, cap. 18,35-43.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con le grandi religioni dell’India: Vishnuismo, Shivaismo, Shaktismo.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura una preghiera di Adriana Zarri, tratta dal suo libro “Quasi una preghiera” (Einaudi), che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Signore, non lasciarmi disperdere da voci fatue, da chiacchiericci dilaganti, ma tienimi raccolta in me stessa, a sentire la voce profonda delle cose e il soffio eterno della tua parola. Non lasciarmi ingannare da ciò che non è e si veste di verità, da ciò che è male e si vernicia di bene, da ciò che è falso e si dipinge di vero. Tieni lungi da me i discorsi contorti, prudenti, diplomatici, che dicono non ciò che è ma ciò che l’altro si aspetta che io dica; e spesso è solo adulazione. Che il mio parlare sia diritto e franco, anche sgradevole, se occorre; che non compiaccia ai potenti, che non calcoli vantaggi. Che il mio dire sia “sí” o “no”, senza “però”, senza “ma”, senza “forse”: “sí” e “no” come tu ci hai insegnato. Tu pure avresti avuto dei vantaggi, con un parlare piú sfumato. Non dico l’adulazione dei potenti (ciò, in te, non sarebbe nemmeno concepibile) ma anche solo un silenzio piú prudente, uno stender “veli pietosi” come i tuoi fedeli (e sovente pastori) hanno imparato cosí bene a fare. No: tu i veli li togliesti: li strappasti di dosso anche ai dottori della legge e ai sacerdoti del tempio. Per questo non ti perdonarono e ti misero a morte. Noi invece abbiamo timore di morire e anche di vivere nell’indigenza e nell’oscurità: vogliamo notorietà e ricchezza; esser qualcuno e contare qualcosa. E, per riuscirci, spesso aduliamo chi già conta (e, a sua volta, giunge a contare per qualche appoggio altolocato), spesso seguiamo il carro del vincitore del momento. Liberami, Signore, da questa brama di potere, pagato a prezzo della mia onestà. Dammi, Signore, schiena ritta, che non si pieghi facilmente; ma solo davanti a te conosca l’umiltà della resa; e il prosternarsi fino a terra, fino a farsi tappeto, per i tuoi piedi. Ma tu non mi calpesterai: tu mi solleverai vicino a te perché tu hai voluto farti uomo affinché l’uomo potesse farsi Dio. E cosí, fianco a fianco, cammineremo insieme per le strade del mondo che sono già strade del Regno. Incontreremo uomini, incontreremo cose, incontreremo la vita. E te, che vivi in eterno ma vivi anche nel tempo. Da questo tempo – che può arricchirci ma anche dissiparci – difendimi, Signore. Salvami dall’illusione e dall’inganno, dalla stanchezza e dalla noia. Stammi vicino, s’io tento di andare lontano! Rincorrimi, s’io tento di fuggire! E tienimi ben salda e prigioniera, nella libertà del tuo amore, perché non abbia a cadere in servitú del mio egoismo, del mio orgoglio, del mio voler essere al primo posto: prima ancora di te. Invece dammi di poter camminare alla tua ombra: di essere una piccola cosa custodita da te. (Adriana Zarri, Quasi una preghiera).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 18 Novembre 2019ultima modifica: 2019-11-18T22:41:30+01:00da fraternidade
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