Giorno per giorno – 17 Novembre 2019

Carissimi,
“Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e metteranno a morte alcuni di voi; sarete odiati da tutti per causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo perirà. Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime” (Lc 21, 16-19). È successo sempre e sempre succederà. Gesù non sta parlando della fine del mondo, ma semmai della fine di un mondo, con i sussulti che questo comporta, e il venir meno delle certezze, delle tradizioni, delle alleanze, delle fedeltà, delle istituzioni, persino dei templi (religiosi o profani) che tutto questo significavano. Ciò che avviene nel decorso della storia comune, accade a maggior ragione, là dove si presenta chi (la Parola di Dio fatta carne) mette a nudo la logica che, variamente mascherata da slogan e valori altisonanti – Dio, patria, famiglia, e proprietà sono i più diffusi e riciclati –, pretende di guidarne lo sviluppo. Ed è invece solo ricerca del potere a tutti i costi e a vantaggio di pochi. “Sarete odiati da tutti per causa del mio nome”: il nome e la causa di Gesù, Dio-salva. Odiati dal mondo (il Sistema del dominio) e da chi, piú o meno ingenuamente, cede alle sue lusinghe, non perché seguaci di una qualche religione, ma perché amanti del mondo e delle sue creature, che Dio vuole tutte salve. Compito dei discepoli di Gesù è, così, di perseverare, umilmente ma ostinatamente, nella testimonianza dell’evangelo, nella compagnia di quanti si dispongono a lottare per una società più giusta, libera e fraterna. Senza scoraggiarci mai.

I testi che la liturgia di questa XXXIII Domenica del Tempo Comune propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Malachia, cap.3, 19-20a; 2ª Lettera ai Tessalonicesi, cap.3, 7-12; Salmo 98; Vangelo di Luca, cap.21, 5-19.

La preghiera della domenica è in comunione con tutte le comunità e chiese cristiane di ogni denominazione.

Oggi è memoria del martirio di Roque González de Santa Cruz, Alfonso Rodrígues e Juan de Castillo, gesuiti, vittime innocenti della reazione indigena alla brutalità della violenza coloniale. Ricordiamo anche Jacob Böhme, mistico della Chiesa della Riforma, e Grace Akullo e compagne/i, martiri della carità, durante l’epidemia di ebola, in Uganda.

Figlio di genitori spagnoli, Roque González nacque nell’anno 1576 a Asunción, che in quel tempo era capitale di tutta la immensa provincia del Rio de la Plata. Ordinato sacerdote a ventidue anni, dopo circa dieci anni entrò nella Compagnia di Gesù, affascinato dal lavoro missionario che i gesuiti svolgevano tra gli indios. Il suo contatto e il suo inserimento tra le popolazioni indigene furono facilitati per il fatto di aver studiato, da bambino, una lingua difficile come il guaranì. Fu lui che praticamente organizzò le celebri reducciones del Paraguay, una proposta originale di evangelizzazione, basata sul tentativo di conciliare cultura indigena e cultura cristiana in un lento processo di acculturazione. Questo sistema, di cui oggi siamo in grado di cogliere i limiti, mirava comunque a proteggere gli indios dalle conseguenze funeste della conquista e dell’occupazione di quei territori da parte di colonizzatori avidi di ricchezze e di guadagno facili. Odiati da questi, i gesuiti dovettero affrontare anche l’ostilità di alcuni capi indigeni che vedevano in loro gli alleati dei crudeli sfruttatori della loro gente. Fu così che Roque cadde vittima di una violenza da cui aveva salvato molti indios indifesi. Con lui, ucciso il 15 novembre, furono martirizzati altri due giovani gesuiti, Alfonso Rodríguez (1598-1628), spagnolo di Samora e, due giorni più tardi, il 17 novembre, Juan de Castillo (1596-1628), anche lui spagnolo di Belmonte, Cuenca.

Jacob Böhme nacque il 24 aprile 1575 ad Altseidenberg, nella Lusazia, regione della Sassonia orientale al confine con la Slesia. Appartenente ad una famiglia di contadini relativamente agiata, ricevette una rigida educazione protestante. Curò lui stesso, da autodidatta, la sua formazione culturale, aiutandosi soprattutto con la lettura di testi della tradizione mistica tedesca. A quattordici anni, fu avviato al mestiere di ciabattino e in seguito impiantò la sua attività nella cittadina di di Görlitz, dove, nel 1594, sposò Catharina Kunschmanns, con cui visse fino alla morte e che gli generò figli e figlie. Nel 1600, Böhme ebbe un’intensa esperienza mistica, che si ripeterà nel 1610 e un’ultima volta sette anni più tardi. Tali esperienze furono da lui vissute come rivelazione dell’essenza divina. Nel 1612 scrisse la sua prima e importante opera, Morgenröte im Aufgang , l’Aurora Nascente. La diffusione del manoscritto provocò le ire di Gregorius Richter, pastore protestante di Görlitz, che l’accusò di eresia, facendolo arrestare. Rimesso in libertà, Böhme visse gli anni successivi, subendo di volta in volta l’ostracismo dei suoi oppositori o le pressioni dei suoi sostenitori, che insistevano perché riprendesse a scrivere. Cosa che egli fece negli ultimi anni della sua vita. Jacob Böhme morì il 17 novembre del 1624. La chiesa luterana, superate le antiche diffidenze, ne fa oggi memoria come di un suo figlio devoto.

Grace Akullo era nata nel 1973 in Uganda da una famiglia lango, profondamente cristiana ed anche lei, diplomatasi infermiera professionale nell’ottobre del 1999 e prestando servizio al St. Mary Hospital di Lachor, nel distretto di Gulu (Uganda settentrionale), viveva con giovanile entusiasmo la sua fede, partecipando attivamente all’azione missionaria nell’ambiente ospedaliero e animando la liturgia, soprattutto con il canto. Sposata e madre di due figli, alla fine d’agosto del 2000, al rientro da un ritiro spirituale di tre giorni confessò di aver scoperto la sua vocazione: essere evangelizzatrice nel mondo della sofferenza, per mostrare agli ammalati l’amore e la compassione del Padre. Gliene fu data ben presto l’occasione. A fine settembre di quello stesso anno scoppiò infatti l’epidemia di ebola e Grace, con alcune altre infermiere e infermieri, si offrì come volontaria per lavorare nel reparto infettivi, consapevole lei e gli altri di mettere così a repentaglio la loro vita. Caddero in tal modo, sul fronte della carità: Christine Ajok, 20 anni; Daniel Ayella Oboke, 24 anni; Monica Aol, 20 anni, Margaret Adata, 42 anni, madre di dieci figli, Florence, madre di una bambina, suor Pierina Asienzo, 45 anni, delle Little Sosters of Mary Immaculate, e Simon Ajok. I cui nomi e la cui testimonianza uniamo idealmente a quella di Grace Akullo, morta come oggi, il 17 novembre del 2000. Come scriverà in seguito, mons. John Baptist Odama, arcivescovo di Gulu: “La loro testimonianza di amore e di servizio fino all’estremo sacrificio e la loro fede in Cristo è una sfida per tutti noi. Come Dio ha rivelato la sua potenza che ha trasformato la debolezza umana dei nostri fratelli, lo può fare anche in tutti noi. Tocca a ciascuno di noi, nella sua libertà, accettare la sfida. Così possiamo cambiare il mondo”.

Chiudendo il Giubileo della Misericordia, nel novembre del 2016, papa Francesco ha istituito la Giornata Mondiale dei Poveri, con lo scopo di aiutare le comunità cristiane ad essere sempre di più e sempre meglio segno concreto della carità di Cristo per gli ultimi e per i bisognosi. Fissando la data, il papa ha voluto collocarne la celebrazione nella domenica immediatamente precedente alla Solennità di Cristo Re dell’Universo, per far risaltare ancora meglio la singolarità della signoria di Cristo sul mondo. Quest’anno siamo così alla terza edizione della Giornata, che ha come tema “La speranza dei poveri non sarà mai delusa”. Scegliamo così di congedarci, offrendovi in lettura un brano dell’omelia pronunciata nella messa di stamattina da papa Francesco. Che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Non basta l’etichetta “cristiano” o “cattolico” per essere di Gesù. Bisogna parlare la stessa lingua di Gesù, quella dell’amore, la lingua del tu. Parla la lingua di Gesù non chi dice io, ma chi esce dal proprio io. Eppure, quante volte, anche nel fare il bene, regna l’ipocrisia dell’io: faccio del bene ma per esser ritenuto bravo; dono, ma per ricevere a mia volta; aiuto, ma per attirarmi l’amicizia di quella persona importante. Così parla la lingua dell’io. La Parola di Dio, invece, spinge a una “carità non ipocrita” (Rm 12,9), a dare a chi non ha da restituirci (cf Lc 14,14), a servire senza cercare ricompense e contraccambi (cf Lc 6,35). Allora possiamo chiederci: “Io aiuto qualcuno da cui non potrò ricevere? Io, cristiano, ho almeno un povero per amico?”. I poveri sono preziosi agli occhi di Dio perché non parlano la lingua dell’io: non si sostengono da soli, con le proprie forze, hanno bisogno di chi li prenda per mano. Ci ricordano che il Vangelo si vive così, come mendicanti protesi verso Dio. La presenza dei poveri ci riporta al clima del Vangelo, dove sono beati i poveri in spirito (cf Mt 5,3). Allora, anziché provare fastidio quando li sentiamo bussare alle nostre porte, possiamo accogliere il loro grido di aiuto come una chiamata a uscire dal nostro io, ad accoglierli con lo stesso sguardo di amore che Dio ha per loro. Che bello se i poveri occupassero nel nostro cuore il posto che hanno nel cuore di Dio! Stando con i poveri, servendo i poveri, impariamo i gusti di Gesù, comprendiamo che cosa resta e che cosa passa. (Papa Francesco, Omelia per la III Giornata Mondiale dei Poveri 2019).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 17 Novembre 2019ultima modifica: 2019-11-17T22:40:17+01:00da fraternidade
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