Giorno per giorno – 14 Novembre 2019

Carissimi,
“Il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, e nessuno dirà: Eccolo qui, o: eccolo là. Perché il regno di Dio è in mezzo a voi! Verrà un tempo in cui desidererete vedere anche uno solo dei giorni del Figlio dell’uomo, ma non lo vedrete. Vi diranno: Eccolo là, o: eccolo qua; non andateci, non seguiteli” (Lc 17, 20-23). Non sappiamo come sia lì da voi, ma qui guadagna crescente consenso la religione della minaccia e della paura (per gli altri) e della rivincita per i propri seguaci, rivincita di cui si additatano i segnali (l’aumento degli adepti, la conquista di spazi di potere), e di cui ci si vuole segnale e anticipazione. Come si fosse in guerra (una guerra ovviamente “santa”), con stuoli di credenti che assumono come loro simboli, slogan e liturgie, i segni propri della violenza del mondo; come miti, personaggi foschi che esaltano tortura, repressione e morte (neanche fossero seguaci del Daesh); e per loro pastori, quanti si direbbero esaltati cappellani di Erode, che sanno manipolare la Bibba quanto basta per stimolare i bassi istinti di folle, assai poco cristianamente avide di sangue. Tutto questo, per lo sconcerto di quanti restano fedeli all’evangelo, insegnato e testimoniato da Gesù di Nazareth. Logico, così, che questo sia un tempo in cui si desidererebbe vedere “anche uno solo dei giorni del Figlio dell’uomo”, per come l’abbiamo conosciuto (quanti pochi però lo conoscono!) nella buona notizia di cui si è fatto latore, facendo di essa la storia della sua vita. E tuttavia Gesù ci dice che non dobbiamo fare di questo l’oggetto di una speranza per il domani, esso, infatti, è già alla nostra portata, oggi, nella testimonianza che siamo chiamati a rendergli, nel bel mezzo delle nostre sfide, sofferenza, lotte, sconfitte, che disegnano in ogni tempo e per ogni generazione la passione che l’avventura del Regno subisce nello scontro con le forze del Sistema del dominio (cf v. 25). In questa nostra testimonianza noi siamo in grado di mostrare la risurrezione di Gesù nella nostra personale risurrezione, portando una parola che è dedizione, servizio, accoglienza e vita, dove regna intolleranza, odio, violenza e morte.

Oggi ricordiamo Gregorio Palamas, mistico esicasta.

Gregorio nacque a Costantinopoli l’11 novembre 1296. A vent’anni, assieme ai fratelli Macario e Teodosio, si fece monaco sul Monte Athos, divenendo in seguito abate del monastero di Esfigmenou. Il suo radicalismo e il rigore nelle pratiche ascetiche lo resero però ben presto inviso ai suoi monaci, che preferivano di gran lunga una vita tranquilla e senza troppe pretese. Dato che come spesso accade, la moneta cattiva scaccia quella buona, anche Gregorio fu cacciato dal monastero. Ma non tutto il male viene per nuocere. Recatosi a Salonicco, potè impegnarsi meglio nella sua battaglia a favore della dottrina mistica dell’ “esicasmo” (la ricerca dell’unione con Dio attraverso la preghiera incessante). Ebbe il tempo di farsi scomunicare come eretico e mandare in esilio. Ma poi con l’appoggio insperato dei suoi antichi confratelli, fu richiamato in patria e eletto arcivescovo di quella città (1347). Da allora la sua diverrà dottrina ufficiale della Chiesa bizantina. Contro ogni pericoloso panteismo, ma anche contro ogni dualismo che contrapponga spirito e materia, Gregorio affermò che lo spirito umano è radicalmente differente da Dio, tanto quanto il corpo: ma Dio, concedendo la sua grazia, salva l’intero essere umano, la sua anima e il suo corpo. Questa grazia e salvezza non si situa fuori della storia, ma agisce già qui e adesso, in un’escatologia realizzata, che ci permette di rifare l’esperienza degli apostoli sul Tabor. Ogni cristiano, indipendentemente dal fatto che sia uomo o donna, laico o consacrato, coniugato o celibe (dato che, come sosteneva san Simeone il nuovo Teologo, “la vita più alta è lo stato a cui Dio chiama ciascuno personalmente”), per raggiungere tale condizione escatologica nel divenire esistenziale dopo il battesimo, deve alimentare incessantemente la propria quotidianità con la pratica sacramentale ed ascetica ed essere così perennemente in comunione con Cristo. Questo il senso anche della “preghiera del Nome”, la ripetizione incessante del nome di Gesù, propria della tradizione esicasta. Gregorio morì il 14 novembre 1359. Fu canonizzato dal patriarca ecumenico Filoteo nel 1368.

I testi che la liturgia del giorno propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro della Sapienza, cap.7,22-8,1; Salmo 119, 89-91.130.135.175; Vangelo di Luca, cap.17, 20-25.

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

Oggi ricordiamo il compleanno di due persone che, per diversi motivi, ci sono care: il nostro vecchio Pedro Recroix, e padre Pedro Arrupe. Entrambi lo festeggiano in cielo, loro così diversi, a testimonianza della fantasia di Dio. Di padre Pedro, che aveva fatto sua la preghiera incessante del nome, ci chiediamo se avesse mai saputo di essere nato il giorno in cui le Chiese orientali fanno memoria del santo che ne fu propogatore, come in una sorta di passaggio del testimone. Di Pedro Arrupe vogliamo ricordare ciò che aveva scritto un giorno: “Niente deve importare di più che incontrare Dio, vale a dire, innamorarsi di lui in maniera definitiva e assoluta. Ciò di cui ti innamori afferra la tua immaginazione e finisce per lasciare tracce in tutto. Sarà esso che decide ciò che ti scuote fin dal momento dell’alzata, e quello con cui riempi le tue serate, e spendi i tuoi fine-settimana, e ciò che leggi, quello che conosci, ciò che muove il tuo cuore e ti riempie di gioia e di gratitudine. Innamórati! Rimani nell’amore. Tutto sarà diverso”. Vorremmo fosse vero anche per tutti noi. Ciascuno a modo suo.

E, per stasera, è tutto. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura una citazione di Pedro Arrupe, tratta da una conferenza tenuta a Valencia il 31 luglio 1973, con il titolo “Uomini per gli altri”. Ed è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Amare Dio e amare il prossimo non sono due comandamenti distinti, ma, come ha detto Cristo, il secondo è simile al primo, tanto da formare un unico comandamento, nel quale si compendia tutta la legge. Nel giudizio finale Cristo dirà: “Quanto avete fatto all’ultimo dei miei fratelli lo avete fatto a me” (Mt. 25, 40). “Essere ammessi o esclusi dal Regno annunciato da Gesù, scrive il P. Alfaro (Cristianismo y justicia, p. 24), dipende dall’atteggiamento dell’uomo verso i poveri e gli oppressi; quegli stessi che Isaia (58, 1-2) indica come vittime dell’ingiustizia umana e sui quali Dio vuole mostrare la sua giustizia. Tuttavia la grande novità sta in questo: che Gesù fa di questi uomini disprezzati e emarginati ‘i suoi fratelli’, solidarizza con tutti i poveri e i diseredati, con tutti quelli che soffrono la fame e la miseria. Ogni uomo che s’incon¬tra in tale situazione è ‘fratello’ di Cristo. Perciò quel che si fa ad essi lo si fa allo stesso Cristo. Chi aiuta efficacemente questi ‘fratelli’ di Gesù fa parte del suo regno; chi li abbandona al loro stato di miseria esclude se stesso dal regno”. (Pedro Arrupe, Uomini per gli altri).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 14 Novembre 2019ultima modifica: 2019-11-14T22:36:18+01:00da fraternidade
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