Giorno per giorno – 10 Novembre 2019

Carissimi,
“I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio” (Lc 20, 34-36). “Quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti”. Come sarà la vita futura? In che consiste la risurrezione dai morti? Chi ne sarà considerato degno? Stamattina, ci dicevamo che il vangelo è molto discreto nel parlare dell’aldilà, dato che anche quando parla di “regno dei cieli” sappiamo che si riferisce all’aldiquà. Ed è ciò che gli importa di più. Anche quando Gesù risuscita qualcuno è, per così dire, una risurrezione solo temporanea di persone cui toccherà in seguito morire ancora. Quanto al paradiso, in tutto il nuovo testamento se ne parla solo tre volte: quando Gesù lo promette al rivoltoso crocifisso con lui (cf Lc 23, 43); quando Paolo racconta di una sua esperienza mistica, durante la quale fu rapito in paradiso (cf 2Cor 12, 4); e nell’Apocalisse, dove “lo Spirito dice alle Chiese: Al vincitore darò da mangiare dell’albero della vita, che sta nel paradiso di Dio” (Ap 2,7). Dunque, dell’aldilà sappiamo poco o nulla e ci vuole, ogni tanto, la lettura del brano di vangelo proposto oggi dalla liturgia per accendere un po’ di curiosità in proposito negli scettici sadducei che sembrano essere divenuti maggioranza. Per essi tutto si risolve qui, nell’arco breve della vita. Ragion per cui sarà bene strappare (anche a scapito di altri) il maggior numero delle benedizioni promesse da una teologia (anche senza dio, ma non senza idoli) della prosperità, pronta all’uso e variamente coniugata. La storiella raccontata dai sadducei del racconto lascia il tempo che trova, dato che non c’è più nessuna legge, che imponga quanto previsto dalla normativa mosaica circa il dovere di darsi una discendenza, in cui perpetuarsi. Il che poteva essere letto come sfiducia verso tematiche quali la sopravvivenza o la risurrezione. Ora, cosa può opporre la Parola di Dio al silenzio di domande e risposte su ciò che la fede ci dice attenderci dopo la morte? Senza nessuna concesssione a facili fantasie, Gesù afferma che nel mondo futuro non saremo più sottomessi alle leggi biologiche della generazione, ma saremo uguali ad angeli, resi noi stessi annuncio gli uni per gli altri dell’essere e dell’agire di Dio. Che poi ci sia la risurrezione, aggiunge, è affermato già nell’antico testamento, là dove Dio si presenta come Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe, e noi potremmo continuare aggiungendo il nome di tutti coloro che sono apparsi sulla faccia della terra, compresi i nostri. Se Dio è Dio di, noi diremmo anche meglio, se è Padre di, non può fare a meno dei figli che lo fanno padre, figli che vivono di lui e per lui, che è vita e fonte di vita. E Lui che vive di noi e per noi. Forse, sarà un paradosso, ma è quello che è venuto fuori dalla riflessione di stamattina: noi siamo esigenza di Dio, più di quanto Lui sia esigenza nostra. E dato che ci ama tutti in egual misura, è Lui che ci fa “degni della vita futura e della risurrezione dai morti”.

I testi che la liturgia di questa XXXII Domenica del Tempo Comune propone alla nostra riflessione sono tratti da:
2° Libro dei Maccabei, cap.7, 1-2.9-14; Salmo 17; 2ª Lettera ai Tessalonicesi, cap.2,16-3,5; Vangelo di Luca, cap.20, 27-38.

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le comunità e Chiese cristiane.

Oggi la comunità fa memoria di Leone Magno, pastore e maestro della Chiesa, di Odette Prévost, contemplativa e martire in Algeria, e di Ken Saro-Wiwa, martire per i diritti del suo popolo.

Nato in Toscana, nell’anno 400 circa, Leone fu consigliere dei papi Celestino I e Sisto III e dovette certo avere buone qualità diplomatiche se, semplice diacono, fu inviato nelle Gallie, nel 440, per sanare il conflitto – sfociato in guerra civile – tra il generale Ezio e il prefetto del pretorio Albino. Durante questa missione fu raggiunto dalla notizia della morte del papa e della sua elezione a vescovo di Roma. Assunse la guida della Chiesa in un’epoca di grandi difficoltà politiche e religiose. Di fatto, nei ventuno anni del suo pontificato si succedettero quattro imperatori, uno cacciato appena eletto e gli altri assassinati. La giovane Chiesa era attraversata da diatribe e discordie. E Leone si diede da fare, con azione energica e capacità di persuasione, per preservare l’integrità della fede, difendendo l’unità della Chiesa. Teologo eccellente, approfondì soprattutto il mistero dell’incarnazione di Cristo e difese la funzione primaziale del pontefice romano. Di lui ci restano 96 discorsi e 173 lettere, oltre a numerose omelie. Per salvare la città di Roma dai saccheggi dei barbari, non esitò ad affrontare Attila e Genserico, allontanando così un pericolo che sembrava irriversibile. Morì il 10 novembre del 461.

Odette Prévost, era nata il 17 luglio 1932 a Oger, Marne (Francia), ed era Piccola Sorella del Sacro Cuore, una delle congregazioni della famiglia di Charles de Foucauld. Con altre due religiose, Chantal e Anne-Marie, viveva a Apreval, in una povera casa, uguale a tutte le altre, alla periferia di Algeri. La mattina del 10 novembre 1995, mentre Odette e Chantal si recavano alla chiesa parrocchiale per partecipare alla messa, un uomo, sceso da un’automobile, sparò ripetutamente su di loro. Colpita in piena fronte, Odette morì sul colpo, mentre Chantal, pur gravemente ferità, sopravviverà. Su un foglietto che si portava addosso, al momento della morte, c’era scritto: Vivi il giorno d’oggi, / Dio te lo dona, è tuo, / Vivilo in Lui. // Il giorno di domani è in mano a Dio, / non t’appartiene ancora. / Affidalo a Lui. // Il momento presente è una fragile passerella, / se tu la carichi dei rimpianti di ieri, / dell’inquietudine del domani, / la passerella cede e tu precipiti. // Il passato? Dio lo perdona. /L’avvenire ? Dio te lo dona. /Vivi, dunque, il giorno d’oggi / in comunione con Lui.

Ken Saro-Wiwa, il cui vero nome era Kenule Benson Tsaro-Wiwa, era nato a Boré (Nigeria), il 10 ottobre 1941). Già negli anni degli studi universitari si scoprì drammaturgo e scrittore. In seguito affiancò alla produzione artistica l’impegno attivo nella vita pubblica. A partire dagli anni ottanta si fece portavoce delle denunce e delle rivendicazioni delle popolazioni del delta del Niger nei confronti delle multinazionali petrolifere, responsabili del massiccio inquinamento che poneva in serio pericolo le culture di sussistenza e l’intero ecosistema della regione. Nel 1990 fondò il MOSOP (Movement for the Survival of the Ogoni People). Tale movimento ottenne risonanza internazionale con una manifestazione di 300.000 persone che lo stesso Saro-Wiwa guidò dopo essere stato rilasciato da una detenzione di alcuni mesi comminata senza processo. Il 21 maggio 1994 venne nuovamente arrestato nel 1994, con l’accusa di aver incitato all’omicidio di quattro presunti oppositori del MOSOP. Nel febbraio 1995, dopo averlo sottoposto a dieci mesi di regime carcerario duro e a ripetute torture, il regime militare decise di processarlo. Scrivendo, nel maggio 1995 all’Associazione mondiale degli scrittori, affermò: “Che io viva o muoia è insignificante. È sufficiente sapere che ci sono persone che impiegano tempo, denaro ed energia per combattere questo male tra i tanti che predominano nel mondo. Se non hanno successo oggi, avranno successo domani. Dobbiamo continuare a lottare per rendere il mondo un luogo migliore per tutta l’umanità. Ognuno con il suo piccolo contributo, a modo suo. Vi saluto tutti”. Il 31 ottobre, al termine di un processo-farsa che suscitò le più vive rimostranze da parte dell’opinione pubblica internazionale e le proteste di numerose organizzazioni per i diritti umani, Ken Saro-Wiwa, con altri otto imputati fu condannato a morte. L’impiccagione venne eseguita il 10 novembre 1995, a Port Harcourt. Nel 2009, la Shell accettò di patteggiare il pagamento di 15 milioni e mezzo di dollari, per evitare di essere trascinata nel processo intentato contro di essa per complicità con l’ex regime militare nigeriano in tali condanne a morte.

Mawlid Annabi, la nascita del profeta Mohammed, è ricordata il 12 di rabīc al-awwal, il terzo mese del calendario islâmico, che quest’anno (2019) coincide con il nostro 10 novembre. Tale ricorrenza non ha nessun carattere di solennità nel mondo islamico; la sua celebrazione è lasciata alla devozione dei fedeli, quando non sia in alcuni casi espressamente proibita, per evitare il rischio di idolatrare la figura del profeta, su cui lo stesso Mohammed aveva messo in guardia i suoi seguaci, ammonendoli a non esagerare riguardo alla sua persona, poiché egli era soltanto “un servitore, che teme Dio”.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura una citazione di Leone Magno, tratto dal suo “Discorso 71. Sulla risurrezione del Signore”. Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Per chiunque passi da un modo di vivere a un altro, qualunque sia la sua trasformazione, lo scopo non è di rimanere ciò che era, ma di rinascere quale che non era. Ma è fondamentale conoscere per chi si vive o si muore: perché vi è una morte che è fonte di vita, e una vita che è causa di morte. E solo nel tempo presente si può scegliere l’una o l’altra: dalla natura delle azioni compiute in questa vita che passa, dipende una differente retribuzione per l’eternità. Si deve perciò morire al diavolo e vivere per Dio; venir meno al male per risorgere alla giustizia. E poiché, come dice la stessa Verità, “nessuno può servire a due padroni” (Mt 6, 24), il Signore non sia per noi colui che abbatte i superbi, ma piuttosto colui che esalta gli umili alla gloria. (Leone Magno, Discorso 71. Sulla risurrezione del Signore).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 10 Novembre 2019ultima modifica: 2019-11-10T22:31:59+01:00da fraternidade
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