Giorno per giorno – 05 Novembre 2019

Carissimi,
“Nessuno di quegli uomini che erano stati invitati assaggerà la mia cena”(Lc 14, 24). È la sconsolata conclusione della parabola che Gesù, a pranzo nella casa del fariseo, racconta in risposta all’affermazione entusiasta di un commensale che se n’era uscito con: “Beato chi mangerà il pane nel regno di Dio” (v. 15). Regno che non è nell’aldilà, ma accade già qui ed ora, parzialmente, progressivamente, ovunque si accolga l’invito a testimoniare “giustizia, pace e gioia nello Spirito” (Rom 14, 17). Ed è proprio ciò che gli invitati della prima ora (le chiese? i fedeli? noi stessi?), coloro che erano stati scelti per mostrare come la cosa funzioni, rifiutano di fare, accampando varie scuse, che esprimono il ripiegamento e la chiusura su se stessi, il prevalere degli egoismi, il cedimento alla logica di un sistema basato sull’esclusione piuttosto che sull’accoglienza e la comunione. Stamattina, ci chiedevamo cosa di fatto esprimiamo noi, nella nostra vita e, perché no?, nelle nostre celebrazioni, che del Regno dovrebbero essere le rappresentazioni. Siamo espressione della Grazia immeritata che ci ha chiamati ad essere suoi testimoni e strumenti per correggere il corso di una storia (personale, ecclesiale, sociale) segnata dal peccato? O abbiamo già rinunciato all’invito, pur continuando a coltivare le nostre personali e/o comunitarie devozioni, ridotte ad amuleti a garanzia delle nostre fortuno e dei nostri affari? In questo caso, il Signore troverà altri mezzi per favorire l’accadimento del suo Regno, dove non esistono respingimenti, ma tutti sono addiritttura “forzati” ad entrare. Che smacco, però, sarebbe per noi!

Oggi il calendario ci porta le memorie di Bernhard Lichtenberg, presbitero e martire del totalitarismo nazista; del Card. Jules-Géraud Saliège, pastore e “giusto tra le nazioni”, e di Giorgio La Pira, il sindaco santo.

Bernhard Lichtenberg era nato, il 3 dicembre 1875, a Ohlau, cittadina della Bassa Slesia, allora in Prussia (oggi Oława, in Polonia). Desideroso di seguire la vocazione sacerdotale, terminata la scuola superiore, entrò in seminario e, dopo gli studi teologici, fu ordinato prete, nel 1899. Inviato a svolgere il suo ministero a Charlottenburg, un quartiere di Berlino, trovò modo di impegnarsi anche nel partito cattolico. Durante la prima guerra mondiale fu cappellano militare e questa esperienza lo portò ad integrare, nell’immediato dopoguerra, l’Associazione per la pace dei cattolici tedeschi. Dal 1920 al 1930 fu membro del parlamento regionale. Nel 1932 Lichtenberg fu chiamato a ricoprire l’incarico di rettore della Cattedrale di Sant’Edvige. Nel 1933, quando il regime nazista assunse il potere in Germania, egli si fece portavoce delle istanze avanzate dalla comunità ebraica di Berlino. In netto contrasto con la maggior parte delle istituzioni politiche e sociali del suo tempo, riteneva che fosse dovere vincolante del prete cattolico intervenire in soccorso di chiunque si trovasse in pericolo di vita, indipendentemente dal suo credo religioso. La sua opera di sensibilizzazione nei confronti della popolazione ebraica assunse un carattere più istituzionale nell’agosto 1938, quando Lichtenberg venne messo a capo dell’Ufficio di Soccorso dell’episcopato di Berlino, che si dedicò, tra l’altro, ad organizzare l’emigrazione di molte persone di origine ebraica. Quanto accadde nella notte tra il 9 e il 10 novembre 1938, la famosa Kristallnacht, passata sotto silenzio da tutte le Chiese, vide invece la denuncia puntuale, chiara e pubblica di Lichtenberg dal pulpito di Sant’Edvige. Da quella sera e fino al giorno del suo arresto, il prete continuò a predicare impavido a favore degli ebrei e delle altre vittime del regime, denunciandone le deportazioni e le misure volte a criminalizzare chi si accingesse ad aiutarli. Il 23 ottobre 1941, in seguito ad una perquisizione della sua canonica e del sequestro di alcuni appunti per l’omelia della domenica successiva, fu arrestato sotto l’accusa di attività sovversiva. Durante l’interrogatorio, Lichtenberg rifiutò di ritrattare quanto aveva scritto. Affermò con chiarezza che la visione dell’uomo e della storia presente nell’ideologia nazista era inconciliabile con il cristianesimo che egli, come prete cattolico, era tenuto ad opporvisi con tutte le forze. Nel maggio 1942, il tribunale distrettuale di Berlino lo condannò a due anni di reclusione. Rinchiuso nel carcere di Tegel, rifiutò di sottoscrivere la proposta della Gestapo che concedeva la libertà in cambio del giuramento di astenersi dal predicare per tutta la durata della guerra. Il servizio di sicurezza nazista ordinò allora il suo internamento nel campo di concrentramento di Dachau. Nel corso della deportazione, sfiancato dai tormenti sofferti, morì, presso la cittadina di Hof, il 5 novembre 1943. Aveva sessantotto anni. È stato beatificato da Giovanni Paolo II, il 23 giugno 1996, e dichiarato “Giusto tra le nazioni” dallo Yad Vashem, il 7 luglio 2004.

Jules-Géraud Saliège era nato a Mauriac il 24 febbraio 1870. Ordinato prete nel 1895, divenne, due anni più tardi, rettore del Seminario Maggiore di Saint-Flour, dove resterà fino al 1914, quando partì per il fronte come cappellano militare. Dopo la Guerra, nell’ottobre 1925 fu nominato vescovo di Gap e, nel dicembre 1928, arcivescovo di Tolosa. Il 12 aprile 1933, poco dopo l’ascesa al potere di Hitler, avvenuta nel gennaio dello stesso anno, mons. Saliège, prese pubblicamente le difese degli ebrei minacciati dall’avanzata del nazismo. Il 19 febbraio 1939 ricordò la condanna, da parte della Chiesa, del razzismo, un errore che PioXI, nella Lettera Enciclica Mit Brennender Sorge aveva dichiarato fondamentalmente contrario agli insegnamenti del Vangelo. Schierato inizialmente, come la quasi totalità dei vescovi francesi, a favore del governo collaborazionista del maresciallo Petain, se ne allontanò decisamente a partire dal marzo 1941, condannandone i principi totalitari e la deriva antisemita. Parrocchie e istituzioni religiose furono da allora sollecitati a ospitare e nascondere gli ebrei perseguitati, a falsificare documenti di identità e redigere falsi certificati di battesimo, a organizzare la fuga dei ricercati in Spagna attraverso i sentieri dei Pirenei. Il 23 agosto 1942 con una Lettera Pastorale che recava la perentoria postilla: “Da leggersi in tutte le chiese senza commenti”, il card. Saliège condannava una volta di più gli orrori a cui si doveva assistere. Sfuggito, il 9 giugno 1944, all’arresto e alla deportazione, per le precarie condizioni di salute che ne impedirono il trasporto, dopo la liberazione fu acclamato come “primo resistente della città” nella piazza del Campidoglio. Ricevette la Croce dell’ “Ordine della Liberazione”. Il Memoriale Yad Vashem gli diede il riconoscimento di “Giusto tra le nazioni” (Hasid Ummot Ha-‘Olam), per le molte vite di ebrei che salvò. Creato cardinale il 18 febbraio 1956, morì il 5 novembre dello stesso anno.

Giorgio La Pira nacque il 9 gennaio 1904 a Pozzallo, in Sicilia, da Gaetano La Pira e Angela Occhipinti, primogenito di sei figli. Giovane studente di Diritto, all’università di Messina, visitava le vecchie baracche della città, portando cibo, medicine, vestiti. Laureatosi a pieni voti, nel 1926, dopo un corso di specializzazione, in Austria, in Diritto Romano, fu chiamato a insegnare all’Università di Firenze. Nel 1928 divenne membro dell’Istituto secolare dei Missionari della Regalità di Cristo, pronunciando i voti religiosi. Nel capoluogo toscano conobbe presto e divenne amico di mons. Elia Della Costa e di don Giulio Facibeni. L’amicizia che contemporanemente instaurò con mons. Montini lo portò a incontrare don Raffaele Bensi, che scelse come suo direttore spirituale. In quegli anni continuò e approfondì il suo impegno sociale, divenendo, durante la dittatura fascista, un coraggioso difensore dei diritti della persona umana. Nell’immediato dopoguerra, eletto Deputato alla Costituente, contribuì, con Moro, Dossetti, Basso, Calamandrei, Togliatti, alla formulazione dei principi fondamentali della Costituzione della Repubblica, affermando le libertà civili e religiose, il diritto al lavoro, il valore della persona umana. Eletto nel 1951 sindaco di Firenze, avviò una politica, le cui priorità erano l’affermazione del diritto alla salute, alla casa, al lavoro e l’instancabile ricerca del dialogo, della pace e dell’amicizia tra i popoli. Abitando, finché la salute glielo permise, in una cella del convento domenicano di san Marco, lavorò senza sosta per abbattere i muri della sfiducia, dell’odio, dell’inimicizia. Incontrò i maggiori leader mondiali dell’epoca, parlando ai cuori e alle menti di tutti, durante le crisi più difficili degli anni 50 e 60. Morì il 5 novembre 1977.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflesisone sono tratti da:
Lettera ai Romani, cap.12,5-16a; Salmo 131; Vangelo di Luca, cap.14, 15-24.

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.

Ed è tutto, per stasera. Noi ci congediamo qui, lasciandovi a un testo di Giorgio La Pira, tratto da un suo commento all’enciclica “Mater et Magistra” di Papa Giovanni XXIII, che troviamo con il titolo “Una città nuova attorno alla fontana antica”, nel sito della fondazione che porta il suo nome. (1961). Ed è questo, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Che fare per risolvere questi problemi, diventati ormai improrogabili, della intiera famiglia delle nazioni (due terzi della popolazione mondiale è ancora incapace di sfamarsi!)? L’economia deve essere finalizzata: bisogna usare la tecnica più aggiornata ed adeguata per questa finalizzazione: si impone la “socializzazione”: cioè la elaborazione di grandi piani economici atti a risolvere questi essenziali problemi degli uomini! La socializzazione non significa peraltro, necessariamente, sradicamento della proprietà privata o eliminazione – come fattore originale creativo – della “iniziativa” economica della persona umana: significa solo questo: – che il sistema economico non è più lasciato a se stesso, al giuoco incontrollato del “laissez faire”: al “mercato”: significa, invece, che esso è anzitutto destinato a proporsi il fine autentico di ogni economia umana: dare lavoro ad ogni uomo, casa ad ogni uomo, scuola ad ogni uomo, assistenza ad ogni uomo: cioè, tradurre in termini di tecnica economica, la grande scena del Vangelo: mi desti da mangiare, da lavorare, da abitare, e così via! 
Da qui le strutture socializzate: cioè i piani – piccoli e grandi; comunali, regionali, nazionali, internazionali – elaborati dagli organismi pubblici (il comune, la regione, lo stato, gli stati) e destinati, appunto, alla soluzione di questi fondamentali problemi dei popoli! Qualcuno ha detto: economia postkeinesiana? 
Le etichette non contano: contano i fatti, gli obbiettivi, le strutture: e su ciò l’Enciclica ha espressioni di grande chiarezza: perviene al cuore delle più ardite e moderne concezioni economiche: apre la mente e il cuore dei “minori” alle attese più ardite e più generose! Inutile aggiungere che questo processo di “socializzazione” investe l’economia di tutti i popoli: di quelli economicamente “sottosviluppati” e di quelli economicamente “soprasviluppati”: è un processo cioè a dimensione mondiale! (Giorgio La Pira, Una città nuova attorno alla fontana antica. Sull’Enciclica “Mater et Magistra”).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 05 Novembre 2019ultima modifica: 2019-11-05T22:25:29+01:00da fraternidade
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