Giorno per giorno – 04 Novembre 2019

Carissimi,
“Quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti” (Lc 14, 13-14). Questo consiglio di Gesù fa sempre parte del discorso fatto alla tavola del fariseo, presso cui sta pranzando. È detto a nuora perche suocera intenda. Vale, infatti, (Luca, nello scriverne, doveva esserne ben consapevole), anche per le nostre eucaristie, dove Gesù è, nel contempo, invitato, servitore, e cibo. Eucaristie che dovrebbero (e spesso non lo sono proprio) immagine e anticipazione del Regno che Gesù è venuto ad annunciare, e che, perciò, sempre che non vi abbiamo partecipato indegnamente, dovrebbero orientare le nostre scelte di vita, quando noi, dalla chiesa, facciamo ritorno a casa. Il Regno, Gesù lo ripete e lo rende visibile nella sua pratica lungo tutto il vangelo, è dove gli ultimi, gli esclusi, i disprezzati del Sistema, sono considerati primi, si sentono accolti, valorizzati, amati. Noi possiamo davvero dire che il nostro pensare, parlare, agire rifletta quello di Gesù, a costo di sfidare la morsa dei luoghi comuni e della logica del mondo?

Il nostro calendario ci ricorda oggi Carlo Borromeo, pastore amico dei poveri e Raïssa Oumançoff Maritain, contemplativa nel mondo.

Carlo Borromeo nacque ad Arona, il 2 ottobre 1538 e, in epoca di nepotismi esasperati, fu creato cardinale dallo zio papa Pio IV, quando aveva solo 22 anni. Nel 1563, ordinato sacerdote e consacrato vescovo, gli fu affidata la diocesi di Milano. Il giovanissimo arcivescovo fece di questo l’occasione per impegnarsi in una profonda riforma della chiesa. Fu un pastore esemplare, attento alle necessità materiali della sua gente. In un’epoca di povertà diffusa, tentò di farvi fronte attingendo a piene mani alle ricchezze della sua famiglia. Fondò ospedali, ospizi e seminari. Denunciò e affrontò coraggiosamente le soperchierie dei nobili e dei signorotti locali. Curò la formazione intellettuale, ma soprattutto spirituale, del clero; favorì il ritorno alla disciplina e al rigore morale di numerosi conventi che vivevano, alla bell’e meglio, nella rilassetezza morale e religiosa. Questo, tra le altre cose, gli costò un attentato da parte di un frate. La palla d’archibugio a lui destinata, tuttavia, perforò il manto cardinalizio, ma non arrivò a centrarlo. Durante la terribile peste che colpì Milano nel 1576-77 dedicò tutte le sue forze ad assisterne le vittime e a tentare di limitarne i danni. La sua attività instancabile, l’austerità di vita e le privazioni che s’imponeva dovevano nel corso del tempo minarne la fibra: il 3 novembre 1584, a soli quarantasei anni, Carlo Borromeo moriva.

Raïssa Oumançoff era nata a Nachitchivan (Rostov-sul-Don), nella Russia zarista, il 12 settembre 1883 (31 agosto secondo il calendario giuliano), da una famiglia di ebrei ortodossi, che presto si trasferì in Francia per sfuggire il clima di violento antisemitismo che dominava nel paese e per offrire migliori opportunità di educazione alle figlie. Intelligenza precocissima, Raïssa entrò all’Università della Sorbona a soli sedici anni. Lì incontrò l’uomo con cui avrebbe condiviso tutta la vita: il giovane Jacques Maritain, che sposò nel 1904. Alieni ad ogni pratica religiosa, ma appassionati della ricerca della verità, i due conobbero Léon Bloy, restando affascinati dalla fede di lui che, celebrando la predilezione di Dio per i poveri e denunciando con vigore i peccati della borghesia cristiana, scriveva: “ Non si entra in Paradiso domani, o tra dieci anni, ci si entra oggi, quando si è poveri e crocifissi” e anche: “Non c’è che una sola vera tristezza: quella di non essere santi”. E santi, nel mondo, in maniera davvero singolare e radicale, si diedero subito da fare per esserlo. Riconoscendosi nella spiritualità e nella regola benedettina, fecero la loro consacrazione come oblati, scegliendo di vivere il loro matrimonio nel “celibato per il Regno”. Con la sorella di Raïssa, Vera, la coppia visse da allora uno straordinario sodalizio, “come religiosi di un ordine speciale, la cui regola contempla la vita nel mondo […] seguendo la via della contemplazione nel mondo”. Il piccolo cenacolo si organizzò con un’orario preciso, fatto di preghiera, lavoro, studio. Negli anni che seguirono, Jacques diventò il più eminente filosofo cattolico del ventesimo secolo, Raïssa ebbe i suoi riconoscimenti con la pubblicazione di opere in poesia e in prosa. Ma, più di tutto, ella restò l’intima e preziosa collaboratrice del marito che di lei dirà: “Ogni cosa viene da Dio, ma come suo tramite sulla terra ogni cosa buona mi è arrivata da lei”. Raïssa morì il 4 novembre 1960. Fu solo allora che Jacques scoprì il suo “Diario”, che gli rivelò aspetti ancora inediti della sua profonda spiritualità.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera ai Romani, cap.11,30-36; Salmo 69; Vangelo di Luca, cap. 14, 12-14.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con le grandi religioni del subcontinente indiano: Vishnuismo, Shivaismo, Shaktismo.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura una pagina di Raïssa Maritain, scritta nel gennaio 1924. Tratta dal “Diario di Raissa” (Morcelliana), è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Se accade che le cause oggettive della nostra pena non sembrino giustificarne l’acutezza, non vergognamoci della nostra sofferenza. Cerchiamo di volgerla in bene, ributtandoci verso Dio. Soffriamo sempre in sua presenza; e anche nell’ora della tentazione non nascondiamoci da Lui. Quando ci sentiamo l’anima arida e nello stesso tempo troppo sensibile, bisogna allora gridare a Dio. Il Verbo impassibile ha assunto un cuore simile al nostro per potere, soffrendo per noi, soffrire con noi! Simile al nostro non per l’imperfezione, ma per l’inclinazione naturale. “Siccome si è preso la mia volontà, si è preso anche la mia tristezza”, dice magnificamente sant’Ambrogio. Così Gesù ha conosciuto la tristezza, e la sua volontà d’uomo la respingeva… Dio, per noi è prima di tutto la Verità e poi l’Amore; perché se per noi non fosse prima di tutto la Verità sarebbe un amore qualsiasi. Ma è soltanto quell’amore che forma una cosa sola con la verità sovrana ed è etenamente vivente. In se stesso Dio è Amore come è Verità. “L’amore in Dio è un attributo assoluto” (non lo si dice soltanto in rapporto alle creature). È il nome proprio dello Spirito Santo. (Diario di Raissa).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 04 Novembre 2019ultima modifica: 2019-11-04T22:24:02+01:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo