Giorno per giorno – 28 Ottobre 2019

Carissimi,
“In quei giorni Gesù se ne andò sulla montagna a pregare e passò la notte in orazione. Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede il nome di apostoli” (Lc 6, 12-13). È per via della memoria degli apostoli Simone e Giuda, che la liturgia ci ha proposto oggi questo vangelo della chiamata dei Dodici. Stamattina, ci dicevamo che il testo originale specifica che Gesù “passò tutta la notte nella preghiera di Dio”. Come sarà che Dio prega? Il Talmud dice che Dio prega così: “Possa la mia misericordia prevalere sulla mia giustizia. Possa io alzarmi dal trono della giustizia e sedermi su quello della misericordia”. E se non proprio con queste parole, lo Spirito, che è la stessa preghiera, che anima e muove la comunità divina non può essere diverso. Dunque, possiamo dire che dal trono della misericordia, forse diremmo meglio, dal grembo dell’amore materno di Dio, nasce il primo embrione di chiesa, i Dodici, chiamati per fare il loro apprendistato con Gesù ed essere poi inviati a testimoniarne l’annuncio e la pratica. Questo dovrebbe dire qualcosa anche riguardo a noi, con tutti i nostri limiti, peccati, ostinazioni, veri e propri tradimenti. Continuamente raggiunti, però, dal suo amore che chiama, ogni giorno, a conversione. Proprio, come con quei Dodici, di cui il Vangelo non esita a denunciare la durezza di cuore e la lentezza di comprendonio. Abbiamo, dunque, dei buoni, accessibili, modelli e intercessori.

Oggi è, dunque, memoria di due dei Dodici: Simone Zelota e Giuda Taddeo, apostoli.

Simone, detto lo Zelota, originario di Cana di Galilea, appare nell’elenco degli apostoli assieme a Giuda, chiamato Taddeo. Il soprannome del primo lascia intendere che, prima di porsi al seguito di Gesù, appartenesse al partito degli “zeloti” (sostenitori della lotta armata contro l’occupazione straniera), o che, per lo meno, ne fosse stato simpatizzante. Giuda, secondo il Vangelo di Giovanni, è colui che durante l’ultima cena, a Gesù che diceva: “Ancora un po’ e il mondo non mi vedrà più, ma voi mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete” (v. 14,19) domanda: “Signore, perché mai ti manifesterai a noi e non al mondo?” (v. 22). Al che Gesù risponderà: Chi non ama non vive la mia Parola [e si chiude così ad ogni possibile manifestazione dell’amore] (cf v.24). Un’antica tradizione vuole che i due abbiano sofferto il martirio in Persia.

I testi che la liturgia propone alla nostra riflessione sono propri della festività odierna e sono tratti da:
Lettera agli Efesini, cap. 2,19-22; Salmo 19; Vangelo di Luca, cap.6,12-16.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con i fedeli del Sangha buddhista.

In tema di chiamati e inviati, ricorderemo qui che giusto ventanni fa, in questo giorno, il nostro amico don Augusto, partiva dall’Italia, per raggiungerci in questa periferia del mondo e trascorrere qui, nel santuario dei Poveri, il suo Giubileo dell’anno 2000. Ne sarebbe nata una storia di amicizia, fedeltà, solidarietà, che avrebbe coinvolto nel tempo molte altre persone, e che dura ancora, seminata, come si dice qui, di saudade.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui con il testo di Marcos Aurelio dos Santos , un amico, pastore e teologo delle Comunità di base, che troviamo in rete con il titolo “Igreja, profecia, amor e revolução”. È questo, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Nei tempi bui, quando vediamo gran parte delle chiese sovrapporsi al male nelle sue azioni di distruzione, si rende necessaria una voce profetica, una voce di amore e giustizia che grida dai quartieri bassi, una voce rivoluzionaria, a partire dalle lotte utopiche, in forte contrappunto alle forze conservatrici installate nel sistema religioso che permea il nostro Paese. La chiesa di Gesù è liberatrice, rivoluzionaria, comunitaria e serva. La chiesa, ai nostri giorni, deve essere profondamente impegnata con il Vangelo di Gesù, deve resistere agli incantesimi del potere, della ostentazione e dalle malefiche collusioni con il cristofascismo (miscela di cristianesimo e fascismo) insediatosi in vari settori delle chiese. La chiesa, invece di piegarsi al male per servirlo, deve lasciarsi portare dai venti dello Spirito, che soffia amore, compassione e solidarietà. La chiesa deve scegliere i poveri senza temere le rappresaglie delle gerarchie, così come fece Gesù di Nazaret, che, nel suo cammino di liberazione, accolse i suoi fratelli e sorelle, in un contesto di disuguaglianza e oppressione, annunciando ai poveri la Buona Novella della gioia, esprimendo nella vita l’amore del Padre per i suoi figli e figlie. La chiesa deve incarnare nel suo cammino il Gesù della Galilea, periferico, povero e umile. Questo è il principale contrappunto ai poteri oppressori che oggi cercano di distruggere i piccoli così dimenticati ed esclusi dalla società. Dobbiamo pensare alla chiesa nelle sue azioni concrete, non come un tempio o come una particolare istituzione religiosa, ma come un popolo che si raduna attorno a Cristo e lo segue nel cammino di liberazione. La chiesa non è un luogo con un indirizzo fisso, la chiesa è viva e deve vivere e trasmettere questa vita al mondo, portando speranza a quanti sono vinti dalla fatica. Per questo deve essere essere chiamata chiesa in uscita, in incontri e disincontri, specialmente con i poveri, in atti profetici per il nostro tempo. Per una chiesa profetica, inclusiva, amorevole e liberatrice. (Marcos Aurelio dos Santos, Igreja, profecia, amor e revolução).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 28 Ottobre 2019ultima modifica: 2019-10-28T22:17:19+01:00da fraternidade
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