Giorno per giorno – 24 Settembre 2019

Carissimi,
“Fecero sapere a Gesù: Tua madre e i tuoi fratelli stanno fuori e desiderano vederti. Ma egli rispose loro: Mia madre e miei fratelli sono questi: coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica” (Lc 8, 20-21). Stamattina, ci dicevamo che, qui, “madre” e “fratelli” stanno a significare, molto più che dei semplici consanguinei, quanti rivendicano una qualche precedenza sugli altri nella “proprietà” e nell’uso di Gesù, in ragione di un’appartenenza etnica, culturale, religiosa, che faccia in qualche modo a lui riferimento: nazione, patria, civiltà, chiesa e quant’altro. Ponendosi, tra l’altro “fuori” della cerchia di quanti ascoltao e praticano la buona notizia del Regno, incarnata da Gesù. Il quale mette, una volta di più, le cose in chiaro. L’appartenenza a lui non dipende da qualche anagrafe civile o parrocchiale che sia, e perciò neppure dai segni esterni che la possano identificare, che spesso si riducono ad un qualsiasi superstizioso rito apotropaico. Perché quei segni siano reali, bisogna che siano radicati nella Parola che ci è dato di ascoltare e contemplare in lui, che annuncia visibilmente la scelta dei Poveri come luogo della rivelazione, e perciò, della sua accoglienza e testimonianza, dell’amore di Dio. Se manca questo, incoscientemente battezzati o superficialmente ribattezzati, ci sentiremo rivolgere l’invito: accomodatevi qui assieme ai poveri, per trovare con loro il cammino del riscatto, della redenzione, della salvezza, o ripassate più in là, chissà che nel frattempo vi si sia aperta una luce.

Il calendario ecumenico ci porta oggi le memorie di Silvano del Monte Athos, monaco e mistico ortodosso, e di irmazinha Veva, piccola sorella di Gesù tra gli indios Tapirapé.

Nato in una famiglia contadina del villaggio di Chovsk (Russia), nel 1866, Simeone Ivanovic Antonov deve molto di quello che sarebbe diventato a suo padre, Ivan, analfabeta, ma non nella fede. Di lui il futuro monaco dirà: Da mio padre ho imparato a non affliggermi per la perdita dei beni materiali e a confidare sempre nel Signore. Quando in casa sopraggiungeva una contrarietà, il suo cuore non si turbava. Dopo un incendio che gli aveva distrutto ogni cosa, non si disperò, ma ripeteva con fiducia: “Il Signore farà in modo che tutto si rimetta a posto”. Una volta passavamo vicino al nostro campo e io gli dissi: “Guarda, ci rubano il raccolto!”. Ma egli mi rispose: “Figlio mio, il Signore non ci ha mai fatto mancare il pane. Se quell’uomo ruba è perché ne ha bisogno”. Un’altra volta gli dissi: “Tu fai sempre elemosine, ma altri, più ricchi di noi, danno molto meno”. Ma egli rispose: “Figlio mio, il Signore ci da il necessario.” E riconoscerà: Non sono arrivato alla statura di mio padre. Era un uomo completamente analfabeta. Anche quando recitava il Padre Nostro – l’aveva imparato a forza di sentirlo in chiesa – ne pronunciava certe parole in modo maldestro. Ma era un uomo pieno di dolcezza e di sapienza”. E ancora: “Ecco uno starec (padre spirituale) come vorrei averlo io. Non andava mai in collera, non aveva mai alti e bassi, era sempre dolce”. Dopo una giovinezza che conobbe le passioni, le intemperanze e le cadute caratteristiche di questa età, Simeone decise di dare una svolta alla sua vita e, nel 1892, si recò al Monte Athos, nel monastero di San Panteleimon, dove divenne monaco, assumendo il nome di Silvano. La vita, anche lì, non fu niente facile: l’aridità spirituale, il desiderio di desistere, di andarsene via, di sposarsi, di avere una vita come tutti, l’angoscia spirituale, la disperazione della salvezza furono prove che l’accompagnarono per anni. Ma tenne duro. Scoprì con entusiasmo la preghiera del Nome (“Signore Gesù Cristo, figlio di Dio, abbi compassione di me”) e divenne uomo di grande ascesi e di straordinaria umiltà e dolcezza, arricchito di numerosi carismi: profezia, discernimento, chiaroveggenza, cura. Ma fu, soprattutto, apostolo della speranza e dell’amore universale. Soleva dire: “Chi ha in sé lo Spirito Santo, si preoccupa di tutti gli esseri umani, notte e giorno; il suo cuore soffre per ogni creatura di Dio, particolarmente per quelli che non conoscono Dio e che gli si oppongono”. E ancora: “Non conosce Dio nello Spirito Santo chi non ama i suoi nemici”. Morì il 24 settembre 1938 e fu canonizzato nel 1987 dal Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, Dimitrios.

Nel primo pomeriggio del 24 settembre 2013, nel municipio di Confresa (Mato Grosso), si spegneva irmazinha Veva (Geneviève Hélène Boyé). Aveva da poco compiuto novantanni, essendo nata il 19 agosto 1923, a Valfraicourt, in Francia. Si era sentita male, poco dopo il pranzo, nel villaggio di Urubu Branco, dove viveva, morendo durante il trasporto all’ospedale. Irmã Veva aveva speso la sua vita come missionaria in mezzo al popolo Tapirapé, in Mato Grosso. Era stata una delle pioniere, nella vita missionaria, della teologia dell’inculturazione del Conselho Indigenista Missionário (Cimi), un organismo legato al Conferenza Nazionale dei Vescovi Brasiliani, votato a preservare la cultura e la religiosità dei popoli indigeni. Entrata nella congregazione delle Piccole sorelle di Gesù, dopo aver trascorso due anni in Algeria, Geneviève aveva lasciato definitivamente la Francia alla volta del Brasile, dov’era giunta il 24 giugno 1952, con altre due consorelle, Clara e Denise, stabilendosi da subito tra gli indios Tapirapé, ridotti allora ad un popolo di cinquanta persone, sopravvissute agli attacchi dei bellicosi vicini Kayapó. Dei Tapirapé, le piccole sorelle di Gesù avrebbero condiviso sempre stile di vita e di abitazione, usi, costumi e alimentazione. Di apparenza fragile, magrissima, capelli bianchi, Irmã Veva aveva continuato fino all’ultimo ad alzarsi prima dell’alba per prendersi cura dell’orto comunitario che sorge dietro le case di terra battuta di Urubu Branco, il più grande dei cinque villaggi, in cui vivono oggi oltre cinquecento tapirapé. Veva, noi la si era conosciuta nella Pasqua del 2012, quando era venuta con le sue sorelle Odila e Elizabette, a celebrare la Settimana santa qui da noi.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro di Esdra, cap.6, 7-8. 12b. 14-20; Salmo 122; Vangelo di Luca, cap.8, 19-21.

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.

E, per stasera, è tutto. Noi ci si congeda qui, offrendovi un testo di Silvano dell’Athos, tratto dal libro dell’Archimandrita Sofronio, “Silvano del Monte Athos” (Edizioni Qiqajon). Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Che cosa potrò dare in cambio al mio Signore? Io sono un abominio, il Signore lo sa; ma amo umiliare l’anima mia e amare il prossimo, anche se mi offende. Io prego il Signore che nella sua misericordia mi faccia amare i nemici; e, grazie a Dio, io ho provato che cosa è l’amore di Dio e l’amore del prossimo, e chiedo a Dio l’amore giorno e notte e gemo per tutto il mondo. Ma se giudico qualcuno o lo guardo senza misericordia, le lacrime cessano e l’anima si scoraggia. Allora io comincio a chiedere nuovamente perdono a Dio, e il Signore misericordioso perdona a me, peccatore. Fratelli, io scrivo davanti al volto di Dio. Umiliate i vostri cuori e vedrete la misericordia del Signore già qui sulla terra, e conoscerete il Creatore celeste, e la vostra anima non avrà sazietà nell’amore. (Archimandrita Sofronio, Silvano del Monte Athos).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 24 Settembre 2019ultima modifica: 2019-09-24T22:27:08+02:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo