Giorno per giorno – 19 Settembre 2019

Carissimi,
“Uno dei farisei lo invitò a mangiare da lui. Ed ecco una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, venne con un vasetto di olio profumato; e fermatasi dietro si rannicchiò piangendo ai piedi di lui e cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di olio profumato” (Lc 7, 36-38). Quella casa potrebbe essere una qualunque delle nostre chiese o comunità, e la tavola a cui Gesù è invitato, le nostre eucaristie. E il fariseo, chi vi partecipa. Che, se mai gli fosse dato di vedere l’atteggiamento della donna, di “quella” donna (o di un qualunque altro “fuorilegge”) e di Gesù, ripeterebbe proprio come allora: “Se costui fosse un profeta, saprebbe chi e che specie di donna è colei che lo tocca: è una peccatrice” (v. 39). Qui si dà, come altre volte nel vangelo, la differenza tra il dio giudicante delle religioni, e il Dio di Gesù, il Dio che è Gesù. Che accoglie e si lascia accogliere, non giudica, e si offre come riparo e protezione a chi altri vorrebbero condannare. Il Dio della fede in Gesù – le chiese continuano a non capirlo adeguatamente a distanza di duemila anni – si muove sul terreno dell’amore. E nient’altro. Quella donna, passando di lì, aveva intuito in quell’uomo qualcosa di differente, che permetteva a lei di rapportarsi a lui in termini diversi dal mestiere in cui era stata confinata. Il suo pianto rappresentava forse la sorpresa che questo fosse possibile, oltre e nonostante tutti gli uomini che le erano passati sopra. Ben più peccatori di lei (ma il religioso scorge solo il suo, di peccato). Il perdono che Gesù le riserva non è propriamente ciò che noi consideriamo perdono, ma il suo per-dono, un dono aggiuntivo. È uno scambio di grazie: la grazia che lei gli riserva e a cui lui risponde con generosa abbondanza, come è da Dio. Uno scambio, da cui il religioso, abbarbicato com’è sulla sua giustizia meritocratica (che, questa, sì, è una forma di prostituzione), si esclude, almeno in parte, dato che Gesù, di suo, non esclude nessuno. Beh, oggi, sappiamo come funziona la cosa. Là dove noi scopriamo il nostro limite, la nostra incapacità radicale ad essere a misura di figlio/a di Dio, e ci consegniamo così, gratuitamente, amorevolmente, a Lui (nella persona dei nostri fratelli e sorelle che sono nel bisogno), Lui è già lì che risponde al nostro abbraccio e ci affida la sua buona notizia: “La tua fede ti ha salvata; và in pace!” (v. 50).

Il nostro calendario ecumenico ci porta oggi le memorie di Yolanda Céron, religiosa martire della giustizia e della solidarietà in Colombia, e di Al-‘Arabī ad-Darqāwī, mistico musulmano.

Yolanda Cerón era una religiosa della Congregazione della Compagnia di Maria. Era nata a Berruecos Nariño, e portava avanti da anni un’azione sistematica di denuncia della grave situazione dei diritti umani a Tumaco e dintorni (Dipartimento di Nariño, nel sudovest colombiano), sollecitando l’intervento di autorità locali, nazionali e internazionali perché si ponesse fine ad essa. Da otto anni era al servizio delle comunità indigene e afrocolombiane. A mezzogiorno del 19 settembre 2001, suor Yolanda fu uccisa con otto spari sulla porta della chiesa di Nostra Signora della Mercede. Il vescovo della città dichiarò: “Vediamo chiaramente che questo assassinio è una risposta alle azioni che la Diocesi ha intrapreso per la difesa dei diritti umani e le denunce per gli atti di violenza e di corruzione che quotidianamente si succedono in questa nostra terra”.

Lo sheikh Al-‘Arabī ad-Darqāwī nacque verso la metà del 18° secolo in un villaggio nei pressi di Fez, in Marocco. Poco più che ventenne incontrò colui che sarebbe divenuto il suo maestro spirituale, al-‘Imrâni al-Hassanî, noto come Sidi Ali al-Jamal, che, sconosciuto ai più, era tuttavia uno dei grandi punti di riferimento della confraternita shadhili nel Maghreb. Alla morte del maestro, Darqāwī gli succedette alla guida dell’ordine, che sarebbe arrivato a contare fino a quarantamila membri, sparsi in tutta l’Africa settentrionale. Per venticinque anni ad-Darqāwī e la sua famiglia vissero alla giornata, senza mai accantonare nessuna provvista per il giorno successivo, ma affidandosi senza riserve alla provvidenza di Dio, non diversamente dagli uccelli del cielo del detto evangelico. La sua fama e popolarità raggiunsero tali dimensioni che i governanti, impauriti, arrivarono ad imprigionarlo. Egli stesso racconta che un giorno, ad un discepolo che si lamentava con lui della persecuzione di cui era fatto oggetto, disse: Se desideri eliminare colui che ti opprime, uccidi il tuo io, perché, uccidendolo, eliminerai tutti i tuoi oppressori. Darqāwī morì nel 1823 nel villaggio di Bu Barih, sulle montagne a nord di Fez. La sua tomba è ancor oggi visitata da moltissimi pellegrini ed ogni anno vi si tiene una grande festa di ringraziamento.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
1ª Lettera a Timoteo, cap. 4, 12-16; Salmo 111; Vangelo di Luca, cap.7, 36-50.

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

Oggi Paulo Freire, il grande pedagogista brasiliano, punto di riferimento internazionale (ma non nel Brasile di Bolsonaro) per la sua teoria dell’educazione, compirebbe 98 anni. Scegliamo così di congedarci cedendo a lui la parola, con un brano tratto dal suo libro “Pedagogia da indignação” (UNESP). Che è così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Non ho dubbi che il mio compito principale come padre, amante della libertà, ma non irresponsabile, preoccupato della mia autorità, ma non autoritario, non è quello di gestire la scelta partitica, religiosa o professionale dei miei figli, “guidandoli” verso questo o quel partito, o questa o quella chiesa o professione. Al contrario, senza tacergli la mia scelta partitica e religiosa, ciò che mi compete è testimoniare il mio profondo amore per la libertà, il mio rispetto per i limiti senza i quali la mia libertà svanisce, la mia considerazione per la loro libertà nell’imparare, in modo che loro, domani, la usino pienamente nell’ambito sia politico che della fede. Dal punto di vista della mentalità democratica, mi sembra fondamentale non enfatizzare l’importanza spontanea della testimonianza di padre o madre nella formazione dei figli. Quasi sempre, surretiziamente o apertamente, lo facciamo. L’ideale per me, riconoscendo questa importanza, è saperla usare e il modo migliore per sfruttare la forza della mia testimonianza di padre è esercitare la libertà del figlio nel senso della gestazione della sua autonomia. Quanto più i figli e le figlie diventano “esseri per se stessi”, tanto più diventano in grado di reinventare i loro genitori, piuttosto che limitarsi a copiarli o talvolta con rabbia e disdegno negarli. Ciò che mi interessa non è che i miei figli e le mie figlie ci imitino come padre e madre, ma, riflettendo sui nostri tratti, diano senso alla loro presenza nel mondo. Testimoniare loro la coerenza tra ciò che predico e ciò che faccio, tra il sogno di cui parlo e la mia pratica, tra la fede che professo e le azioni che intraprendo, è il modo autentico, educando me stesso con loro, di educarli in una prospettiva etica e democratica. (Paulo Freire, Pedagogia da indignação).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 19 Settembre 2019ultima modifica: 2019-09-19T22:21:32+02:00da fraternidade
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