Giorno per giorno – 05 Agosto 2019

Carissimi,
“Sul far della sera, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare. Ma Gesù disse loro: Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare” (Mt 14, 15-16). Il racconto era cominciato con Gesù che, salito in barca, voleva ritirarsi in un luogo desero, ma invano, dato che la folla l’aveva seguito lungo la costa a piedi, sicché, al scendere dalla barca, “vista la grande folla, ne provò compassione e guarì i loro malati” (v. 14). La compassione è il tallone d’Achille di Dio. Stasera, riflettendo sulla Parola, a casa di Dayane e Carlos, che hanno fatto ritorno in città, dopo la trasferta degli ultimi anni nelle campagne di Itapuranga, richiamavamo, a questo proposito, proprio le prime parole di Genesi, che sono generalmente tradotte: “In principio, Dio creò il cielo e la terra”. Ma che i rabbini leggono, invece: “A causa del Principio, Dio creò il cielo e la terra”. E il “principio” è la Torah, la parola divina, che è tutt’uno con Dio, come recita anche, per noi cristiani, il prologo del vangelo di Giovanni, e che altro non è che la sua misericordia, la sua dedizione incondizionata. Che vedremo testimoniata nell’evento di Gesù. Dunque, principio di tutto è il dono. Non, perciò, l’egoistico e fin troppo comodo “ciascuno per sé e Dio per tutti”, ma “ciascuno per gli altri manifesta il Dio per tutti”. È questo ciò di cui Gesù vuole convincere i suoi discepoli, che volevano sbrigativamente congedare la folla perché ciascuno provvedesse ai suoi bisogni, mentre loro avrebbero consumato la parca refezione che si erano portati dietro. È a partire dalla disponibilità a rinunciare al poco o molto che abbiamo e che siamo, per metterlo in comune, che è possibile innescare un modo davvero alternativo di vivere insieme, ciò che Gesù designa come regno. Di cui la Chiesa è sacramento. Per dirla con le parole del canto “Diante do altar, Senhor, entendo minha vocação: devo sacrificar a vida por meus irmãos”, “Davanti all’altare, Signore, intendo la mia vocazione: devo sacrificare la vita per i miei fratelli”.

Oggi facciamo memoria dei Diecimila martiri ebrei dei pogrom del 1391 in Spagna.

Tutto era cominciato con la predicazione – che durava dal 1378 – di un esaltato e sciagurato figuro, di nome Ferrand Martinez, arcidiacono della città di Écija, in Andalusia (Spagna). Da quando il chierico aveva preso ad incitare le folle ad uccidere gli ebrei e a saccheggiarne le proprietà, affermando che così facendo, avrebbero fatto opera grata a Dio. La violenza esplose, alla fine, il 6 giugno 1391 a Siviglia e si estese nei mesi successivi a tutta la Spagna, con l’eccezione di Granada. Nella data di oggi si ricorda l’assalto all’antico quartiere ebraico di Barcellona, costruito quattrocento anni prima nei pressi del castello. Solo nel primo giorno si contarono 250 morti ammazzati, quasi altrettanti lo furono nei giorni successivi. L’intero quartiere ebraico venne raso al suolo. Durante un anno, sarebbero stati circa diecimila, in tutta la Spagna, gli ebrei che pagarono con la vita la loro fedeltà alla religione dei padri. Che era la stessa religione di Gesù.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro dei Numeri, cap.11,4b-15; Salmo 81; Vangelo di Matteo, cap.14, 13-21.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con i fedeli del sangha buddhista.

Oggi ricordiamo anche la data di nascita di una delle figure che ispirano da sempre il nostro cammino. Nasceva a Lione, il 5 agosto 1912, Henri Antoine Groués, più conosciuto come Abbé Pierre, di cui noi facciamo già memoria il 22 gennaio, che ne ricorda la pasqua. Lasciamo, anche in questa occasione, la parola a lui, offrendovi, nel congedarci, una sua riflessione sulla speranza (e Dio sa quanto ce ne sia bisogno in questi tempi). La troviamo in rete, senza ulteriori rimandi bibliografici, ed è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Più forte delle tenebre, la speranza. La speranza di coloro che vogliono amare, con opere vere. La speranza, non l’illusione. La speranza che traspare al di là della disillusione, per l’anima che ama, donata senza ripensamenti, senza riserva, completamente coinvolta, con tutta la volontà per quanto sia possibile alla debolezza sempre malsicura di un essere umano. La speranza delle prefigurazioni, a partire dalla terra e dal tempo. La speranza delle realizzazioni portate a termine alla perfezione nell’eternità. La speranza, quella strana gioia e pace che esiste al di là delle profondità da cui scaturiscono le lacrime. La speranza, quella certezza che resta in piedi, solitaria, quando tutto ha vacillato, quel germoglio radicato nelle profondità in cui non può penetrare la morte dei corpi né il tormento più crudele: le sensibilità straziate. La speranza che a volte, improvvisamente, come un’unica stella, brilla un istante nella notte più fonda, sorriso che si insinua nell’anima attraverso le fessure delle nubi più scure, luce piccolissima, appena intravista, sufficiente a che sia distrutto l’inganno tumultuoso delle nubi che vorrebbero far credere che la notte non ha più stelle, che la notte non sarà mai più vinta dal mattino. La speranza che è che un tutt’uno con la vita di chiunque abbia, una volta per tutte, voluto prendere posizione nella scelta essenziale, aggirando la trappola dell’idolatria di se stesso, scegliendo l’adorazione d’amore, rifiutando la propria gioia al di fuori della ricerca e del servizio della gioia di tutti. La speranza, quella speranza, che è invincibile, che è già vittoria per ognuno in cui sia nata, qualsiasi siano i tormenti che lo opprimono e che lo opprimeranno sempre. (Abbé Pierre, La speranza).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 05 Agosto 2019ultima modifica: 2019-08-05T22:14:27+02:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo