Giorno per giorno – 04 Agosto 2019

Carissimi,
“Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell’abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni” (Lc 12, 15). A giudicare la qualità “cristiana” della nostra civiltà, basterebbe verificare quanto poco questo principio enunciato da Gesù abbia contato nel suo sviluppo, che, anzi, per dirla tutta, pare essere stato determinato, e continui ad esserlo, proprio da ciò da cui Gesù ci metteva in guardia. Il demone dell’accumulazione, come vana pretesa di mettere a tacere la morte, e che, tuttavia, produce morte, il prevalere dell’avere sull’essere, della rapina sulla condivisione, sono i segni distintivi della nostra società, che su questo piano gioca ogni concorrenza, antagonismo, guerra. Anche noi, a cui, nel nostro piccolo, basta qualsiasi attentato ai diritti che vantiamo, nei contrasti coi vicini, nelle liti di condominio, e persino nelle relazioni famigliari, per agguerrirci psicologicamente, destrutturarci emozionalmente, o avvilirci spiritualmente. Se siamo davvero di Cristo, sapremo, invece, dare alle cose il loro giusto valore, senza fare di esse i nostri idoli quotidiani, a cui si sia pronti a sacrificare ogni altro valore e ogni vincolo di fraternità, che è la sostanza del Regno di Dio e della sequela del Cristo.

I testi che la liturgia di questa XVIII Domenica del Tempo Comune propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro del Qoelet, cap. 1,2; 2,21-23; Salmo 90; Lettera ai Colossesi, cap.3, 1-5. 9-11; Vangelo di Luca, cap.12, 13-21.

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le comunità e chiese cristiane.

Ricorrono oggi le memorie di Giovanni Maria Vianney, il Curato d’Ars, don Aldo Meli, martire del totalitarisco nazista, mons. Henrique Angelelli, vescovo martire di la Rioja, e di Anthony Bloom di Sourozh, metropolita ortodosso e maestro spirituale.

Giovanni Maria Vianney era nato l’8 maggio 1786 da una famiglia contadina a Dardilly, nei pressi di Lione. Voleva farsi prete, ma negli studi si rivelò presto una frana. Fu chiamato ad arruolarsi nell’esercito napoleonico, ma non gli andava proprio di servire in armi il ducetto che aveva, tra gli altri, il grosso torto di aver messo in prigione il suo papa, Pio VII. Decise di disertare, restando poi nascosto fino al 1810, quando un’amnistia gli permise di tornare alla vita civile e di riprendere la sua formazione. I superiori decisero alla fine, nel 1815, di ordinarlo sacerdote. Più per disperazione che per convinzione, dato che “il suo zelo e la sua spiritualità compensavano la mancanza di preparazione accademica”. Questo, devono aver pensato, non può rappresentare la norma, ma a volte vale la pena. E, difatti. Dopo due anni come vicario a Ecully, è mandato ad Ars. Ma da lì vorrebbe presto scappare. I suoi parrocchiani non sembrano voler capire il suo Vangelo esigente e rigoroso. Lui, del resto, si sente così inadeguato! Tiene comunque duro. Vivendo di niente, quasi non dormendo. Dicendo messa, o in ginocchio davanti al tabernacolo, o piazzato per ore (certi giorni fino a diciotto) in confessionale. Guardato dall’alto in basso o con sarcasmo dagli altri preti, colti e navigati. Ma da lui comincia ad arrivare la gente (di ogni tipo e, presto, da ogni dove), che trova in questo piccolo insignificante prete chi sa ascoltarla, consigliarla, confortarla. Sarà così sino alla morte, avvenuta il 4 agosto 1859.

Aldo Mei era nato il 3 marzo 1912 a Ruota (Lucca), nella famiglia di Assunta e Antonio Mei. Entrato in seminario nel 1925, fu ordinato presbitero il 29 giugno 1935 e nominato subito dopo parroco a Fiano di Pescaglia (Lucca). Divenuto vicario foraneo del Vicariato di Monsagrati (Lucca), dopo l’8 settembre 1943, offrì spesso rifugio ad ebrei, a disertori del regime fascista e a perseguitati politici. Il 2 agosto 1944, nel corso di un rastrellamento tedesco, fu arrestato dai nazisti, subito dopo aver celebrato la messa nella sua parrocchia. Rinchiuso nella Pia Casa di Lucca, con altri trenta civili, fu processato dal comando tedesco con l’accusa di aver dato rifugio ad un giovane ebreo, Adolfo Cremisi, e di aver dato assistenza spirituale ai partigiani. Riconosciuto colpevole, fu condannato a morte. A nulla valse il tentativo in extremis di salvarlo dell’arcivescovo di Lucca. Alle ore 22 del 4 agosto 1944, una pattuglia di SS lo portò a piedi sotto gli spalti delle Mura di Lucca nei pressi di Porta Elisa. Lì, fu costretto a scavarsi la fossa e ad inginocchiarsi ai bordi di essa, per essere fucilato. Prima di essere colpito a morte con ventotto proiettili, volle, come Cristo, perdonare e benedire i suoi assassini.

Mons.Henrique Angelelli, vescovo di La Rioja (Argentina), era nato il 18 luglio 1923 a Cordoba, in Argentina. Ordinato prete nel 1949, fu consacrato vescovo il 12 marzo 1961 e destinato alla diocesi di La Rioja nel 1968. La sua vita e la sua voce rappresentarono una delle poche voci profetiche, certo la più alta, nella Chiesa argentina del suo tempo. Per la sua fedeltà al Vangelo del Regno e alla sua gente, fu amato dai poveri e odiato e combattuto dai potenti. Sequestrarono, torturarono e uccisero i preti e i cristiani della sua diocesi maggiormente impegnati. Lui, cercarono prima di distruggerlo moralmente e spiritualmente. Poi lo assassinarono, il 4 agosto 1976, simulando un incidente d’auto.

Andrei Borisovich Bloom era nato il 19 giugno 1914, a Losanna, in Svizzera, da Xenia (sorella del compositore Alexander Scriabin) e Boris Edwardovich Bloom, e aveva trascorso la sua fanciullezza in Persia, dove il padre era membro della diplomazia imperiale russa. Nel 1923, dopo la rivoluziane bolscevica, la famiglia lasciò la Persia e si stabilì a Parigi, dove il giovane Andrei, dopo aver studiato fisica, chimica e biologia, si laureò in medicina all’Università di Parigi. Nel 1939, prima di partire per il fronte come chirurgo, Andrei emise segretamente i suoi voti monastici nella Chiesa Ortodossa Russa. Nel 1943 fece la sua professione solenne, assumendo il nome di Anthony. Durante l’occupazione nazista della Francia, lavorò come chirurgo e prese parte alla Resistenza. Dopo la guerra continuò ad esercitare la sua professione di medico, fino al 1948, quando fu ordinato prete e fu inviato in Inghilterra, come cappellano presso la Compagnia di S. Albano e S. Sergio. Nominato vicario della Parrocchia patriarcale russa a Londra, nel 1950, fu consacrato vescovo nel 1957 e, nel 1962, Arcivescovo della Chiesa Ortodossa Russa di Gran Bretagna e Irlanda, alla guida della diocesi di Sourozh. Nel 1963 fu nominato Esarca per l’Europa occidentale del Patriarcato Ortodosso di Mosca, e nel 1966, elevato al rango di Metropolita. Nel 1974 chiese di essere sollevato dall’incarico di Esarca, per dedicarsi esclusivamente alla cura pastorale dei fedeli e di quanti, in numero crescente, ricorrevano al suo consiglio e al suo aiuto. Anthony di Sourozh si è spento il 4 Agosto 2003, all’età di 89 anni. È sepolto nel cimitero di Brompton, a Londra. È annoverato tra le personalità ecclesiali più considerevoli del nostro tempo ed è autore di libri sulla preghiera e sulla vita cristiana apprezzati in Oriente e in Occidente da cristiani di tutte le confessioni.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, con una citazione di Mons. Enrique Angelelli, tratta dall’omelia del 1º gennaio 1969, che troviamo in rete con il titolo “Pacificar el corazón, mirar al futuro, preparar los hombres del mañana” e che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
La luce della Parola di Dio, ascoltata con umiltà, ci porta a riflettere seriamente sulla realtà concreta delle nostre case. Perché i disincontri generazionali tra genitori e figli? Perché la disintegrazione delle famiglie, con le sue conseguenze dolorose? Perché la mancanza di amore tra coniugi e figli? Perché le improvvisazioni di quanti arrivano al matrimonio e i dolorosi fallimenti che ne seguono? Perché le doppiezze nella nostra vita personale? Influisce forse il problema economico? La nostra fede cristiana è ancora adolescente? Quali sono le cause della crisi della famiglia? Questa è una sera di grazia del Signore: dobbiamo incamminarci con un nuovo ritmo, una nuova speranza, nonostante si sia stati spesso beffati; dobbiamo ritemprare le forze interiori con la grazia e la forza di Cristo, che è in mezzo a noi, perché ci siamo riuniti nel suo nome. Abbiamo deliberato come popolo, ma contemporaneamente siamo spinti tutti – non soltanto pochi, ma tutti – ad operare ciascuno secondo le sue possibilità e responsabilità concrete: anche per la nostra diocesi il nuovo nome della pace è il suo sviluppo integrale. Lo reclama la nostra condizione di corpo sociale e di popolo di Dio. E la nostra Chiesa vuole e deve continuare a sostenere e coinvolgersi sempre di più con la storia e il destino di questo popolo, senza invadere le altrui competenze, ma con grande libertà di spirito, per essere fedele alla sua missione. (Mons. Enrique Angelelli, Pacificar el corazón, mirar al futuro, preparar los hombres del mañana).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 04 Agosto 2019ultima modifica: 2019-08-04T22:13:19+02:00da fraternidade
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