Giorno per giorno – 05 Luglio 2019

Carissimi,
“Andando via di là, Gesù, vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: Seguimi. Ed egli si alzò e lo seguì” (Mt 9, 9). Pur avendolo sorpreso in flagrante, nel luogo della sua attività peccaminosa, Gesù non si mette a fargli la predica, a minacciargli l’inferno, o anche solo a invitarlo a pentirsi, finché è in tempo. No, prima ancora che lui potesse capire cosa gli stava accadendo, gli dice: vieni via, seguimi. Ti prendo come sei, se a te va bene. Per me sei comunque un dono. Ed è forse per questo che lo ha chiamato Matteo, cioè “dono di Dio” (in aramaico Mattāi, forma abbreviata dell’ebraico Mattanyāh). Di cui, nei vangeli di Marco e di Luca è detto si chiamasse Levi. E Levi-Matteo, detto fatto, ha piantato tutto in asso, e lo ha seguito. Anzi, lo ha portato a casa sua e ha invitato i suoi amici per lo più di malaffare a fare festa, a pranzare insieme a Gesù, una sorta di anteprima dell’eucaristia. Senza neanche il preliminare di uno straccio di conversione. Questa, semmai, sarebbe venuta dopo, nello scoprire l’accoglienza che il buon Dio riserva gratuitamente anche ai suoi figli più discoli. Che, per questo, si chiama “grazia”, se no, si chiamerebbe “merito”, di cui però, Dio, non sa che farsene. Perché la cosa meritata ci fa uguali a quanti instaurano con il loro dio una relazione di mercato. Stamattina, alla chácara di recupero, ci siamo congedati da José Carlos e Valdenilson, giunti al termine del loro trattamento di nove mesi. Felici come pasque, per aver vinto questa prima tappa di una vita, restituita a relazioni da cui nel tempo si erano tagliati fuori, per entrare in un tunnel dal quale, a un certo punto, hanno temuto non poter più uscire. Ma era giunto Lui, chissà sotto quali vesti, forse solo travestito da una voce interiore, e quando e dove. Magari, proprio in una “boca de fumo”, dove si erano recati a rifornirsi dell’ultima dose, o sotto lo stordimento che era seguito alla fine dell’effetto: “Dai, vieni via!”. Chi fosse quella voce, lo avrebbero scoperto poi, ed ora giurano che non lo lasceranno più. Resi anche loro “Matteo”, doni di Dio.

Il nostro calendario ecumenico ci porta oggi la memoria di Mehdi Dibaj e Compagni, pastori evangelici e martiri in Iran. E il ricordo di uno scrittore, appassionato di Cristo: George Bernanos.

Mehdi Dibaj era nato nel 1935 in una ricchissima famiglia musulmana in Iran. Adolescente era diventato cristiano, facendosi battezzare nella Chiesa delle Assemblee di Dio. In seguito aveva studiato da pastore, inaugurando subito dopo il suo ministero missionario. Nel 1979, fu incarcerato una prima volta, per 68 giorni, a causa della sua fede. Nel 1984 fu arrestato nuovamente. Per due anni visse in isolamento, sopportando regolarmente percosse e ripetute esperienze traumatiche di finte esecuzioni. Nel 1988, la moglie, minacciata più volte di morte per lapidazione, chiese ed ottenne il divorzio da Mehdi, per far ritorno alla religione dei padri. La Chiesa si fece carico dell’educazione dei due figli della coppia. Condannato a morte per apostasia il 21 dicembre 1993, Dibaj fu tuttavia improvvisamente rilasciato il 13 gennaio dell’anno seguente. Che le cose comunque non fossero affatto tranquille per la piccola comunità cristiana di quella regione, lo rivelò l’omicidio, pochi giorni dopo, del rev. Haik Hovsepian Mehr, Vescovo delle Assemblee di Dio in Iran, il cui cadavere fu ritrovato a Karaj il 20 gennaio 1994. Mehdi Dibaj tuttavia non si lasciò intimorire e riprese di lena il lavoro per così lungo tempo interrotto, viaggiando per il Paese a incoraggiare i compagni di fede. Il 2 luglio dello stesso anno, fu ritrovato il cadavere del reverendo Tatavous Michaelian, sessantaduenne pastore della chiesa evangelica presbiteriana di Tehran, ucciso a colpi di pistola, dopo essere uscito di casa, senza farvi più ritorno, il 29 giugno precedente. Il 5 luglio 1994 l’Agenzia di notizie di Stato informò del ritrovamento del corpo senza vita del pastore Mehdi Dibaj.

Georges Bernanos era nato a Parigi il 21 febbraio 1888. Durante gli studi in Lettere e Diritto alla Sorbona, divenne militante dell’Action Française, un’organizzazione di estrema destra, di stampo monarchico, che si voleva campione dell’ortodossia cattolica. Vi rimase finché la Chiesa, giudicandola piuttosto eccessiva, pensò bene di scomunicarla. Terminati gli studi, allo scoppio della prima guerra mondiale, il giovane Bernanos venne inviato al fronte, rimase ferito e fu decorato con una croce al merito. Nel 1917 si sposò e divenne ispettore assicurativo. Fu durante i suoi viaggi che comiciò a scrivere il suo primo libro, Sotto il sole di Satana, il cui successo lo convinse a intraprendere la carriera di scrittore. La precarietà delle entrate costrinsero la famiglia Bernanos (la coppia ebbe sei figli) a continui spostamenti. Nel 1934, con il trasferimento a Maiorca, lo scrittore venne a contatto diretto con la tragedia della guerra civile spagnola, i cui orrori, nonché l’appoggio dato al sollevamento franchista dalla gerarchia ecclesiastica, egli denunciò con forza nel suo libro I grandi cimiteri sotto la luna. Allo stesso periodo risale il suo capolavoro, Il Diario di un curato di campagna. Rientrato brevemente in Francia, quando presagì l’affermarsi dell’avventura totalitaria, ne ripartì con destinazione il Paraguay e poi il Brasile, da dove collaborò con le radio alleate in sostegno alla Resistenza. Nel 1945, al rientro in Francia, rifiutò incarichi prestigiosi offertigli da De Gaulle, così come l’ammissione all’Academie française. Nel 1947, si trasferisce con la famiglia in Tunisia, dove compose il Dialogo delle Carmelitane, la sua unica pièce teatrale, ambientata nella rivoluzione francese. Nel giugno del 1948, le condizioni di salute gli imposero di tornare in Francia, per esservi operato, ma un improvviso peggioramento lo portò alla morte, a Neuilly-sur-Seine, presso Parigi, il 5 luglio 1948. Sulla sua tomba fece scrivere questo epitaffio: “Si prega l’angelo trombettiere di suonare forte: il defunto è duro di orecchie”.

I testi che la liturgia del giorno propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro di Genesi, cap.23, 1-4.19; 24,1-8.62-67; Salmo 106, 1-5; Vangelo di Matteo, cap.9, 9-13.

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli dell’Umma islamica, che professano l’unicità del Dio clemente e ricco in misericoridia.

È tutto, per stasera. E noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura una pagina di Georges Bernanos, tratta da “I grandi cimiteri sotto la luna” (Net), “aspra requisitoria contro il franchismo, ma anche uno degli atti di accusa più forti contro l’ “imbecillità” che rende l’uomo moderno disponibile, quando si presenta l’occasione, a ogni sorta di violenza. E questo ci pare valga anche per l’oggi. In questa pagina, lo scrittore dà voce a un “bravo agnostico di media intelligenza, al quale, per un caso impossibile, nel giorno di santa Teresa venisse ceduto per un attimo il pulpito”. E se ne sentirà delle belle. È questo, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Israele aspettava il messia. Noi aspettiamo il nostro . Come Israele, non siamo affatto sicuri che verrà, e per paura di veder svanire l’ultima illusione che ci resta, l’appoggiamo fortemente alla terra, sogniamo un messia carnale: la scienza, il progresso, che ci renderebbero padroni del pianeta. Sì, siamo uomini dell’Antico Testamento. E allora, ribatterete voi, la nostra cecità è più colpevole di quella degli ebrei del tempo di Tiberio. Scusate. Innanzitutto, non è affatto certo che avremmo messo in croce il Salvatore. Poi, giratela pure come volete, i deicidi appartenevano alla categoria dei devoti. No, giratela come volete, non si potrebbe mettere il deicidio tra i delitti comuni. È un delitto raffinato, il delitto anzi più raffinato, un delitto raro compiuto da preti opulenti, con l’approvazione dell’alta borghesia e dagli intellettuali di quel tempo, che si chiamavano scribi. Potrete ridere, cari fratelli, non sono i comunisti né i sacrileghi che hanno messo in croce il Signore. Del resto, lasciate che rida anch’io. Voi credete, naturalmente, all’ispirazione del Vangelo, annettendo enorme importamnza a ogni paragrafo del divino libro, e non vi colpisce, no, l’insistenza con la quale il buon Dio pone quasi sempre fuori causa certa gente che non costituisce – è il meno che si possa dire – la società abituale dei gendarmi, dei notai, dei generali a riposo, né delle loro spose virtuose, né, diciamolo pure, dei preti? Non vi colpisce il fatto che il buon Dio abbia rivolto le sue più dure maledizioni a personaggi tenuti in gran considerazione, ossequienti ai loro doveri, rigorosi nell’osservanza del digiuno, e di gran lunga più istruiti nelle cose della religione – senza rimprovero – della maggioranza dei parrocchiani d’oggi? Quest’assurdità non attira più la vostra attenzione? Essa attira, che volete che vi dica?, la nostra. Non basta rispondermi che Dio si è affidato alle vostre mani. Le mani a cui Dio si è affidato un tempo non erano mani amiche, erano mani consacrate. A noi che attendiamo solamente la partecipazione di un dono considerato da voi ineffabile, non importa sapere se Dio s’è affidato alle vostre mani, ma quel che voi ne avete fatto. (George Bernanos, I grandi cimiteri sotto la luna).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 05 Luglio 2019ultima modifica: 2019-07-05T22:20:13+02:00da fraternidade
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