Giorno per giorno – 03 Luglio 2019

Carissimi,
“Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: Pace a voi! Poi disse a Tommaso: Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente! Rispose Tommaso: Mio Signore e mio Dio!” (Gv 20, 26-28). Tommaso, che in aramaico suona Te’oma, e significa “gemello”, probabilmente un soprannnome che Gesù, come in altri casi, per un qualche motivo, deve avergli affibbiato, doveva essere un tipo coraggioso. Era stato lui che, quando Gesù aveva deciso di recarsi a Betania, in occasione della morte di Lazzaro, di fronte ai compagni che lo allertavano sul rischio di tornare in Giudea, aveva dettto: “Andiamo anche noi a morire con lui” (Gv 11, 16). Così come era sempre lui, che, dopo la morte di Gesù, mentre gli altri discepoli se ne stavano nascosti per timore delle autorità dei giudei (cf Gv 20, 19), lui se ne andava tranquillo a spasso per la città. E ci dev’essere una qualche ragione del suo diffidare dei compagni che gli raccontavano dell’apparizione del Maestro. Fantasie, deve essersi detto. Tanto è vero che loro continuavano a restarsene pieni di paura al chiuso, mentre avrebbero dovuto, come minimo, colmi di gioia, riversarsi nelle strade di Gerusalemme a gridare il prodigio. Da qui la sfida di Tommaso: Voglio constatare di persona se quello che avete visto è lo stesso che è stato inchiodato sulla croce e trapassato da una lancia. E Gesù raccoglie la sfida: vieni qui Tommaso, sono proprio io! È allora che Tommaso pronuncia la prima vera professione di fede della Chiesa, senza più possibilità di equivoci, quella in cui si afferma che Dio è il Crocifisso per amore, per sempre identificato con tutti i crocifissi della Storia (compresi, perciò, i migranti e i clandestini, che certi “cristiani” vogliono tenere lontani dai propri confini): Mio Signore e mio Dio! Qui si gioca la nostra fede, o è messa a nudo la nostra ipocrisia.

Bene, se, oggi, si è letto questo vangelo, è a causa della memoria di Tommaso apostolo. Noi, assieme a lui, ricordiamo una grande figura di maestro del sec. XX : Bernard Häring, apostolo della non-violenza.

Israelita, Tommaso fece parte del gruppo dei dodici. Il suo nome appare nell’elenco fornito dai quattro evangelisti. Il Vangelo di Giovanni gli dedica un rilievo particolare. È lui che incita i discepoli a seguire Gesù e a morire con lui in Giudea (Gv 11,16). È lui che chiede a Gesu, durante l’ultima cena, sul cammino che conduce al Padre (Gv 14,5-6). Tommaso fa una singolare esperienza dell’incontro con il Cristo risorto (Gv 21,2). Temperamento coraggioso e pieno di generosità, percorre le tappe della fede e riconosce Gesù, il maestro che ha dato la sua vita per amore, come Dio e Signore (Gv 20,26-28). Una tradizione afferma che nella sua missione di evangelizzazione arrivò fino in India, dove sarebbe morto martire.

Bernard Häring era nato il 10 novembre, 1912 a Böttingen (Germania), da Johannes e Franziska Häring. Entrò dodicenne nel seminario di Gars-am-Inn e, nel 1933, iniziò il suo noviziato tra i Redentoristi. Ordinato sacerdote sei anni più tardi, dopo la parentesi bellica, riprese gli studi di teologia morale, a cui l’avevano destinato i superiori, conseguendo, nel 1947, il dottorato in Sacra Teologia nell’Università di Tübingen. Nel 1954 pubblicò la sua prima opera maggiore di teologia morale: La Legge di Cristo, in cui “proponeva una teologia morale incentrata sulla Bibbia, sulla liturgia, sulla cristologia e sulla vita”, opponendosi “risolutamente ad ogni legalismo che facesse di Dio un controllore anziché un salvatore di grazia”. Fu nominato da papa Giovanni XXIII membro della Commissione Preparatoria del Concilio Vaticano II e a lui si deve un decisivo contributo nella redazione del documento conciliare Gaudium et Spes. Nel 1979 gli venne diagnosticato un tumore alla gola, contro cui lottò coraggiosamente, senza mai perdere il suo spirito. Centrale nel suo magistero e nella sua testimonianza di vita i temi della pace, della non-violenza e del dialogo. Scrisse: “Non potrei perdonarmi, se non credessi di poter vivere il Vangelo dell’amore non-violento e se non lo predicassi come nucleo e apice della fede in Cristo, redentore del mondo”. Molto ebbe a soffrire per le incomprensioni e le censure da parte della gerarchia ecclesiastica, ma questo non gli impedì di scrivere alla vigilia della morte: “Amo la Chiesa così com’è, come anche Cristo mi ama con le mie imperfezioni e le mie ombre”. Si spense a Gars-am-Inn il 3 luglio 1998.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono propri della memoria dell’Apostolo Tommaso e sono tratte da:
Lettera agli Efesini, cap.2, 19-22; Salmo 117; Vangelo di Giovanni, cap.20, 24-29.

La preghiera del mercoledì è in comunione con quanti, lungo differenti cammini, spesso lontani da tradizioni e istituzioni religiose, testimoniano i valori della giustizia, della fraternità e della pace.

Oggi ricordiamo anche la drammatica scomparsa, avvenuta il 3 luglio 1995, a Firenze, di Alexander Langer, una delle personalità più ricche, profonde e, negli ultimi tempi, sofferte, della vicenda politico-culturale di fine secolo del vostro Paese. Vogliamo farlo citando le parole con cui, in un discorso tenuto a Viterbo, il 27 gennaio 1995, spiegava la sua proposta di rovesciare il motto olimpico (“citius, altius, fortius”) come segno di una cultura nuova preoccupata di ristabilire un rapporto armonioso con la natura e relazioni pacifiche e solidali tra gli uomini: “Invece di dire più veloce probabilmente abbiamo bisogno oggi di una svolta verso una maggiore lentezza (lentius). Invece di dire più alto, che è poi il massimo della competizione, io credo che possiamo puntare viceversa sul più profondo (profundius), cioè sul valorizzare più le dimensioni della profondità che significa tante volte rinunciare alla quantità, alla crescita, guadagnando in qualità. E invece di più forte oggi possiamo cercare invece il più dolce, il più mite (suavius): nei comportamenti collettivi ed individuali invece di puntare alla prova di forza, al massimo della competizione, si punti, anche in questo caso, sostanzialmente alla convivenza”.

Oggi, dom Eugenio, il nostro vescovo, compie settantacinque anni, e come vuole la prassi ha presentato per tempo a papa Francesco la sua lettera di dimissioni. Ora, staremo a vedere cosa accadrà. Se, umanamente, speriamo che la successione non giunga troppo presto, tanto ricco e prezioso, quanto umile, zelante, orante, dialogico, attento agli ultimi, si è rivelato in questi venti anni il suo ministero pastorale tra di noi, siamo comunque aperti alla venuta del pastore su cui cadrà la scelta, guidata dallo Spirito, nella certezza che saprà onorare la storia e la profezia di questa Chiesa, da sempre “in uscita”, secondo l’espressione cara a papa Francesco, arricchendola ulteriormente della sua personale testimonianza. Per questo stiamo in preghiera e chiediamo anche la vostra. E, nel congedarci, vi offriamo in lettura la lettera che Dom Eugenio ci ha inviato in questa occasione e che è così, per oggi, il nostro .

PENSIERO DEL GIORNO
Care/i amiche e amici, questo mercoledì, 3 luglio, compio 75 anni. Come chiede il Diritto Canonico, ho presentato a Papa Francisco la mia lettera di dimissioni. L’ho fatto nel mese di maggio. Qualche giorno fa ho ricevuto la lettera dalla nunziatura con la risposta “nunc pro tunc” che significa “continua fino a che si trovi un nuovo vescovo”. Ora inizia la fase delle consultazioni. La nunziatura mi ha chiesto un rapporto sulla situazione pastorale ed economica della diocesi, ha anche chiesto il profilo desiderato del nuovo vescovo. Sicuramente saranno consultati i vescovi della Regione Centro-ovest e il Collegio dei Consultori. I prossimi mesi saranno di transizione. Abbiamo un’Opzione Fondamentale che deve continuare a orientare le nostre attività. Le sei urgenze devono dinamizzare il nostro cammino di evangelizzazione. Per me sono anche giorni e mesi di transizione che creano una certa insicurezza. Ho comunque deciso che, dopo l’arrivo del nuovo vescovo, trascorrerò un anno in un eremo e in un monastero. Voglio uscire un po’ dall’agitazione pastorale in cui sono vissuto questi ultimi anni. Voglio concentrarmi sull’essenziale della mia vita: trovare il volto di Dio, conoscere meglio Gesù Cristo e il suo progetto del Regno. Dopo quest’anno ho intenzione di rimanere in una piccola parrocchia o aiutare un altro prete, qui nella diocesi di Goiás, o altrove, se la salute me lo permetterà. Mi piace la frase che leggiamo alla fine del Vangelo di San Giovanni: “Quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi” (Gv 21,18). Il giorno del mio compleanno, la Chiesa celebra la festa di San Tommaso. Gesù risorto disse a Tommaso: “Felici coloro che credono senza vedere” (Gv 20,29). L’avventura della fede e il nostro ministero sacerdotale ed episcopale è questo camminare nella speranza con la certezza che colui che ci ha amato e ha dato la sua vita per noi non ci abbandonerà! Grazie per aver preso parte con me a questa camminata e, per il momento, continuiamo a camminare insieme! (Dom Eugenio Rixen, Aquele que nos amou).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 03 Luglio 2019ultima modifica: 2019-07-03T22:14:12+02:00da fraternidade
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