Giorno per giorno – 02 Luglio 2019

Carissimi,
“Ed ecco scatenarsi nel mare una tempesta così violenta che la barca era ricoperta dalle onde; e Gesù dormiva. Allora, accostatisi a lui, lo svegliarono dicendo: Salvaci, Signore, siamo perduti! Ed egli disse loro: Perché avete paura, uomini di poca fede? Quindi levatosi, sgridò i venti e il mare e si fece una grande bonaccia” (Mt 8, 23-26). Anche stamattina, come già ieri, richiamavamo le immagini, ormai quasi quotidiane, delle imbarcazioni di migranti che non esitano ad affrontare i marosi in cerca di una terra che compia la promessa che si portano dentro. E ci dicevamo che, una volta di più, essi ci fanno da specchio, fanno da specchio alla nostra fede, di volta in volta capace di ridestare in noi l’energia di cura, di vita, di risurrezione, di salvezza, o che, preda dell’ignavia, dell’indifferenza, dell’egoismo, tutte espressioni di un idolo che non interferisce nella storia, né ci cambia la vita, la lascia dormire in noi. La stessa fede capace di suscitare la compassione nell’eretico Samaritano, e che è invece un guscio vuoto nei personaggi apparentemente religiosi, quali il sacerdote e il levita della parabola. Che tipo di fede è la nostra? Fede che lascia morire o che comunica vita?

Oggi facciamo memoria di Antonio Fortich, pastore e testimone di giustizia e di pace, e di Carlo Carlevaris, preteoperaio.

Antonio Fortich, figlio maggiore di Ignacio Fortich e di Rosalia Yapsutco, era nato l’11 Agosto 1913 a Dumaguete, nella provincia di Negros Oriental, nelle Filippine. Ordinato prete il 4 marzo 1944, fu consacrato vescovo di Bacolod il 24 febbraio 1967. Probabilmente, non erano molti ad aspettarsi ciò che avrebbe da subito messo in cantiere. Nella sua prima lettera pastorale rivolse un deciso richiamo ai proprietari delle piantagioni di canna al dovere di pagare giusti salari ai loro lavoratori, rivendicando nel contempo il diritto di questi a costituire i loro sindacati. Decise che il Palazzo vescovile si sarebbe chiamato “casa del popolo” e fece in modo che lo diventasse davvero. Diede avvio inoltre a numerosi progetti: dalla realizzazione immediata della riforma agraria nelle proprietà della chiesa, all’apertura di un Centro di Azione Sociale, che favorisse la riflessione, il confronto e la mobilitazione delle forze popolari; all’acquisto di un vecchio mulino, con il trasferimento delle sue strutture, su un convoglio di ottanta camion, ad una remota valle di montagna per la creazione di una Cooperativa di zucchero, riso e cereali, a Daconcogon; e, ancora, alla costituzione di un programma di assistenza legale gratuita per i non abbienti; al permesso accordato a due sacerdoti di dedicarsi alla creazione del sindacato dei lavoratori della canna, e così via. Ma, probabilmente, più importante di tutto fu convincere la maggior parte dei suoi preti che il servizio ai poveri era condizione indispensabile per lo svolgimento del loro ministero. Le “incomprensioni” che incontrò in altri membri della gerarchia e, in primo luogo, neanche a dirlo, nel nunzio apostolico, l’italiano mons. Bruno Torpigliani, il nostro vescovo le aveva messe in conto e le subì in silenzio e con grande umiltà. Frequenti furono le minacce alla sua vita da parte delle oligarchie e della destra politica. Le dimissioni, presentate al compimento del settantacinquestimo anno, furono accolte il 31 gennaio 1989. Benché pensionato, non smise di lavorare, dedicando gli ultimi anni al servizio della pace nel suo Paese. Morì il 2 luglio 2003. Vescovo, per dirlo con le parole di uno dei suoi più stretti collaboratori che “aveva deciso una volta per tutte che la Chiesa non è chiesa se non è madre dei poveri”.

Carlo Carlevaris era nato il 16 aprile 1926 a Cardè, fu ordinato prete nel 1950. In seguito fu cappellano degli stabilimenti Fiat dal 1952 al 1962, quando venne licenziato perché giudicato non funzionale alla politica dell’azienda. Maturò così la sua scelta di impegnarsi in fabbrica come operaio e militante sindacale, dal 1967 al 1986. Venne assunto prima alla Lamet, azienda della cintura torinese, poi in Fiat, alla Grandi Motori, alla Lancia e alla Michelin. La nomina di Michele Pellegrino ad arcivescovo di Torino, con la centralità che il tema del mondo del lavoro venne ad occupare nella pastorale diocesana, ne fece uno dei principali collaboratori del nuovo arcivescovo e uno degli ispiratori della lettera pastorale “Camminiamo insieme”, che il cardinale pubblicò l’8 dicembre 1971. Ha compiuto la sua pasqua il 2 luglio 2018, a Torino.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro di Genesi, cap.19, 15-29; Salmo 26; Vangelo di Matteo, cap. 8, 23-27.

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali africane.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura una citazione di don Carlo Carlevaris, tratta da un suo articolo apparso sulla rivista Itinerari, del marzo 1998. Citazione che troviamo riportata in Adista Segni Nuovi n° 27 del 21/07/2018 e che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
L’istituzione Chiesa, il suo atteggiamento precettistico, la rigidità di alcuni aspetti della sua morale, il timore di perdere la sua presenza autoritativa, paiono mostrare un cristianesimo che non è capace di far lievitare le molte potenziali risorse che l’uomo di oggi sarebbe in grado di esprimere. Può darsi che i preti operai siano stati deboli testimoni di speranza e di vita in questi decenni, che non abbiano avvenire. Oggi vivono nelle loro carni le paure e i disagi di questo tempo esaltante per i suoi risultati scientifici, ma angosciante per il futuro dei più deboli della società. Da questa situazione totalmente condivisa essi lanciano un grido alla Chiesa, alle comunità dei credenti, perché insieme trovino il coraggio di un annuncio che sia testimonianza e denuncia dei mali, e insieme voce di speranza nella fede e nella radicalità evangelica. Con i miei fratelli, i pretioperai, siamo partiti a piantare la nostra tenda tra le popolazioni da cui la nostra Chiesa si era allontanata con l’avvento del capitalismo. È stata una migrazione senza ritorno. Ora che lavoro sono diverso, membro di un popolo, non vicino né sopra, ma dentro. Le sue gioie e pene sono le mie, io sono passato dall’altra parte del muro. Il mio problema non è più cercare di raggiungere questo mondo e come risolverlo: la gente non è là in basso: essi sono là e io pure. (Don Carlo Carlevaris, “Essere come”. L’avventura dei preti operai).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 02 Luglio 2019ultima modifica: 2019-07-02T22:12:54+02:00da fraternidade
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