Giorno per giorno – 30 Giugno 2019

Carissimi,
“Disse loro Gesù: Voi chi dite che io sia? Rispose Simon Pietro: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente. E Gesù: Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa” (Mt 16, 15-18). Per la festa dei santi Pietro e Paolo, la liturgia ci ripropone il vangelo della confessione di Pietro, che noi si era già ascoltato domenica scorsa, nella versione lucana. La domanda che Gesù pone ai discepoli è la stessa che rivolge ogni giorno a noi. Ogni giorno, sì, perché ogni giorno, noi lo sperimentiamo, c’è spazio per una risposta diversa, per un ripensamento. La risposta di Pietro era ancora una semplice forma, dai contenuti in larga parte ignoti, che si sarebbero rivelati soltanto più tardi, in quello che ad uno sguardo umano si sarebbe presentato come un tragico epilogo, sul Golgota, ma che invece rappresentano la sostanza e il vertice della confessione di fede, che siamo chiamati a fare nostra nell’annuncio e nella testimonianza: il come ci ama di Dio, e il come siamo chiamati ad amare noi. Con il dono di tutto noi stessi. Se non arriviamo a questo, in realtà non abbiamo ancora incontrato, né conosciuto il Signore, né perciò possiamo dire di credere in Lui. Crediamo in un feticcio, in cui proiettiamo la nostra identità “contro” gli altri, e a cui attribuiamo magari un qualche potere magico, in grado di soddisfare i nostri desideri, la nostra sete di potere. Che potrebbe però avere un qualunque altro nome, salvo il suo. Quando Pietro avrà dato alla sua professione di fede il contenuto rivelatoci in Gesù, solo allora potrà essere pietra su cui fondare credibilmente la testimonianza della chiesa e noi con lui. Saremo insieme capaci di fare e disfare tutto ciò che favorisce od ostacola l’espansione del Regno e nulla potranno contro noi di noi le forze del male, organizzate nel Sistema del dominio, governato dal padre della menzogna, dell’egoismo, dell’accumulazione, della violenza e della morte.

Come vi avevamo anticipato, da noi, la festa dei Santi Pietro e Paolo Apostoli è celebrata oggi. Questo fa sì che le letture proposte dalla liturgia siano differenti dalle vostre. Sono, infatti, tratte da:
Atti degli Apostoli, cap.12,1-11; Salmo 34; 2ª Lettera a Timoteo, cap.4,6-8.17-18; Vangelo di Matteo, cap.16,13-19.

La preghiera della domenica è in comunione con tutte le Chiese e comunità cristiane.

Il calendario di oggi ci porta le memorie di Raimondo Lullo, mistico e missionario; di padre Eufemio Hermógenes López Coarchita, martire in Guatemala; del prete italiano Leandro Rossi, avvocato dei poveri; e dei Diciotto Martiri ebrei dell’Inquisizione a Madrid.

Raimondo Lullo (Ramon Llull) era nato da nobile famiglia a Palma di Maiorca nel 1232. Amante della vita gaudente e incorreggibile donnaiolo, entrò in crisi, trentenne, in seguito ad alcune visioni. A farne le spese, prima della conversione e dopo, fu in ogni caso la moglie, Bianca Picany, con i due figli nati dal matrimonio, Domenico e Maddalena, che il nostro lasciò. Desideroso di portare l’Evangelo alle popolazioni musulmane, prese a studiare di gran lena filosofia e teologia, ma anche la lingua araba. In un’epoca difficile, piena di contrapposizioni violente, Lullo comprese, pur nei limiti della cultura del suo tempo, l’importanza del rispetto reciproco e la necessità della conoscenza e dell’approfondimento dell’altrui cultura, facendosi portatore dell’esigenza di privilegiare lo strumento del dialogo. Scrisse oltre duecento opere, di filosofia, teologia, mistica, pedagogia, medicina, scienze naturali, fisica, matematica, letterarie e poetiche. Viaggiò molto, a Roma, nel Medio Oriente (Cipro, Rodi, Siria, Palestina) e nelle regioni dell’Africa settentrionale. Più volte preda di crisi psicologiche e di visioni contrastanti che lo perseguitavano e disorientavano, Lullo restò ancorato ad un’unica certezza, quella dell’amore di Dio. Una leggenda vuole che morì in conseguenza di un linciaggio a Bouge, nel Nordafrica. In realtà morì a Maiorca, il 29 giugno 1315, ultraottuagenario.

Eufemio Hermógenes López Coarchita era nato a Ciudad Vieja, nel Dipartimento di Sacatepéquez (Guatemala), il 16 settembre 1928, terzo degli otto figli di Victoria Coarchita Santa Cruz e di Ángel López Hernández. Entrato in seminario a quindici anni, era stato ordinato prete, il 7 novembre 1954. Negli anni successivi all’ordinazione, oltre al servizio pastorale nelle parrocchie a cui fu destinato, si preoccupò di favorire il sorgere e il diffondersi in diverse località del Movimento Rurale di Azione Cattolica. Il vescovo lo volle anche direttore spirituale nel seminario di Città del Guatemala. Nel 1966 fu inviato come parroco a San José Pinula, dove si fece conoscere per il profondo attaccamento al suo ministero, la sua semplicità, la generosità senza limiti nel condividere quanto aveva e una dedizione instancabile a servizio della sua gente. Nel giugno del 1978, benché raggiunto da ripetute minacce di morte, declinò l’offerta dei parrocchiani che si erano disposti a fargli, a turno, da guardie del corpo, non volendo mettere a repentaglio la vita di nessuno. Il 30 giugno, tornando dalla visita a un ammalato, trovò in aperta campagna i suoi assassini che gli spararono addosso con fucili da caccia, finendolo poi con un colpo di grazia. Nei tempi immediatamente precedenti alla sua morte, aveva denunciato la maniera brutale usata dall’esercito nel reclutamento dei giovani per il servizio militare; si era opposto al progetto di una grande impresa che avrebbe lasciato senz’acqua i piccoli coltivatori della zona; aveva protestato per l’alto costo del latte; aveva denunciato la campagna di sterilizzazione delle donne, finanziata da multinazionali straniere. I nemici, dunque, non gli mancavano. Parteciparono ai suoi funerali almeno quattromila persone, alcune giunte persino da località a 350 chilomentri di distanza. Molti, durante il rito presieduto da diversi vescovi e oltre 50 preti, dovettero restare fuori della chiesa, sotto una pioggia torrenziale. Era l’ultimo saluto al buon pastore che aveva dato la vita per amore di coloro che gli erano stati affidati.

Leandro Rossi era nato a Guardamiglio (Lodi), il il 3 agosto 1933, ed era stato ordinato prete il 15 giugno del 1957. Laureato in Diritto canonico e in Teologia morale, fu docente di quest’ultima disciplina presso il Seminario di Lodi e presso lo Studentato teologico del Pime a Milano, dedicandosi altresì ad approfondirne la problematica in numerosi scritti, pubblicati in quegli anni. Parroco del Tormo e di Cadilana, decise di dedicarsi all’accoglienza e al recupero dei tossicodipendenti. Nel 1997 si trasferì nel Piacentino e venne nominato parroco di San Lorenzo Martire a Gazzola, dove rimase fino al luglio del 2000. Morì il 30 giugno 2003. Il teologo Giannino Piana lo ricorda così: “Le due grandi fasi in cui si divide la vita di don Leandro, pur nella radicale diversità degli impegni, sono tra loro unite da un denominatore comune: la passione per l’uomo, che si è manifestata tanto nell’atteggiamento di grande comprensione con cui ha affrontato, sul piano dottrinale, alcune delicate questioni morali dietro cui si celano situazioni esistenziali problematiche (spesso cariche di grande sofferenza) quanto nel coinvolgimento diretto in un’opera di giustizia (e di carità) volta a riaccendere la speranza in persone umanamente alla deriva. Non è difficile intravedere, dietro a tutto questo, il segno di un’adesione incondizionata alla parola del Vangelo: ‘Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me’ (Mt 25, 40). La ricchezza di umanità, che si rendeva trasparente soprattutto nel dono dell’amicizia, la schiettezza dei comportamenti (e della parola) – forse la causa principale delle difficoltà incontrate nei rapporti con chi esercitava il potere – il senso profondo del servizio reso sia attraverso la ricerca (e la divulgazione culturale) che attraverso l’azione a favore dei poveri fanno di don Leandro un interprete autorevole di quella ‘civiltà dell’amore’ che è la ‘cifra’ più alta della presenza del regno nella storia degli uomini”.

Nel 1680, nel corso del maggiore autodafé nella storia dell’Inquisizione spagnola, svoltosi a Madrid, 72 persone sono accusate di essere giudaizzanti, discendenti cioè di ebrei, battezzati a forza, due secoli prima, ma che hanno continuato segretamente a praticare la loro religione (che poi era la religione di Gesù). L’Inquisizione condanna al rogo diciotto di loro ed è lo stesso re di Spagna, Carlo II, che, nel giorno dell’esecuzione, il 30 giugno di quello stesso anno, appicca il fuoco alla pira. Gli altri 54 inquisiti sono condannati alla prigione perpetua.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura il brano di un articolo di don Leandro Rossi, apparso con il titolo “Fare leva sul positivo” in Famiglia oggi, n. 2 febbraio 2000. Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
La Chiesa è tra ieri e domani in cammino con l’umanità. La Chiesa è il popolo di Dio pellegrinante nella storia, sotto la guida dello Spirito Santo. Ma siamo un popolo di peccatori! La grande tentazione della Chiesa è da sempre la tentazione del potere (il trionfalismo). Eppure ha qualche motivo per non vantarsi gloriosamente di tutta la propria storia, né può nascondere i propri caratteri umani. È la Chiesa dei santi, ma anche la Chiesa dei peccatori. La sua è tanto la storia della fedeltà a Dio quanto quella dei fallimenti umani. Perciò ogni cristiano e l’intero popolo di Dio è costantemente sottoposto all’esigenza della conversione. “Ravvedetevi, perché il regno dei cieli è vicino” (Mt 4,17). È il popolo di Dio in cammino. Il suo compito non è quello di camminare nel futuro con lo sguardo rivolto indietro. Al contrario, non è orientato al passato, bensì al futuro. Non ci meravigliamo quindi se troviamo nella Chiesa molte cose condizionate dai tempi. Abbiamo bisogno della capacità di discernimento tra ciò che è duraturo e ciò che può mutare nella Chiesa. Duraturo è il suo amore e la sua fedeltà, la sua parola e il suo mandato, il suo corpo e il suo Spirito. (Leandro Rossi, Fare leva sul positivo).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 30 Giugno 2019ultima modifica: 2019-06-30T22:03:59+02:00da fraternidade
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