Giorno per giorno – 23 Giugno 2019

Carissimi,
“Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, esser messo a morte e risorgere il terzo giorno” (Lc 9, 22). Dopo che Pietro, un po’ impulsivamente (ma l’impulso non era suo), lo ha riconosciuto come il Messia di Dio, Gesù chiarisce subito, a scanso di equivoci, che, messia, lo è, sì, e i discepoli si guardino bene da spifferarlo in giro, ma lo è in maniera ben diversa da come l’immaginario religioso del tempo poteva disegnarselo. Dio, che è in Gesù il diretto interessato, si vuole nella figura del “servo sofferente” della profezia di Isaia, assimilando nel contempo l’apocalittico Figlio dell’uomo ad ogni afflitto figlio d’uomo, vittima del potere economico, religioso e culturale di ogni tempo. Non per adeguarsi a questo con lui, ma per riscattarlo da ogni male, con lui risorgendo alla prospettiva di una nuova società, in cui le relazioni si vadano dispiegando sotto il segno di una ritrovata fraternità. Preludio di un’eternità beata. In questo processo, mai definitivamente concluso, Gesù cerca degli alleati, pronti a seguirlo, disposti a perdere la propria vita, abbandonare la cura affannosa dei propri interessi, la ricerca del successo e della propria affermazione, per investirsi nella liberazione-salvezza di tutti. È la missione della Chiesa. La profezia di Zaccaria, proclamata nella prima lettura diceva: “Guarderanno a colui che hanno trafitto. Ne faranno il lutto come si fa il lutto per un figlio unico, lo piangeranno come si piange il primogenito” (Zc 12, 10). Non stava alludendo alla processione del Cristo morto, stava invitando a piangere (e ad agire di conseguenza) su tutti i trafitti della storia, della nostra storia, come si trattasse dei nostri stessi figli. Perché solo così scaturirà “una sorgente zampillante per lavare il peccato e l’impurità” (Zc 13, 1), perché la nostra generazione sia perdonata dei suoi molti crimini.

I testi che la liturgia di questa 12ª Domenica del Tempo Comune propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Zaccaria, cap.12,10-11;13,1; Salmo 63; Lettera ai Galati, cap.3,26-29; Vangelo di Luca, cap.9, 18-24.

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le comunità e chiese cristiane.

Le memorie di questa giornata sono tutte all’insegna dell’ebraismo e della coraggiosa testimonianza al Dio dei Padri e alla Torah, suggellata con il martirio. Ricordiamo infatti: Rabbi Chanania ben Teradion, maestro e martire della repressione romana, in Eretz Israel; i Martiri ebrei della persecuzione di Rindfleish in Germania; Samuele e compagni, martiri del fanatismo religioso, a Trento.

Rabbi Chanania fu uno dei Dieci Rabbini Martiri, messi a morte durante la violenta persecuzione antigiudaica scatenata dall’imperatore Adriano, dopo la rivolta antiromana di Simone Ben Kochbá. Visse a Sichnin, nella Bassa Galilea. Ebbe due figli e due figlie. Uno di essi si associò ad una banda di ladri e fu condannato a morte, l’altro fu invece uno studioso della Torah. Una delle figlie, alla sua morte, fu spedita dai Romani in un bordello, ma fu presto liberata dal cognato, Rabbi Meir, che ne aveva sposato la sorella Beruriah, una donna di cui il Talmud decanta la saggezza e la bontà. Uomo di straordinaria generosità con i poveri, Chanania fu condannato a morte per aver continuato a insegnare pubblicamente la Torah, nonostante l’esplicito divieto delle autorità romane. Fu bruciato vivo, avvolto nel rotolo della Legge (Sefer Torah), da cui non aveva voluto separarsi, il 27 Sivan dell’anno 135.

Tra le innumerevoli calunnie diffuse ad arte nel Medioevo per colpire gli ebrei vi erano quelle dell’omicidio rituale e quelle del sacrilegio delle ostie consacrate. Proprio in relazione a quest’ultimo addebito, si scatenarono nel 1298, nella Germania meridionale, terribili persecuzioni contro le comunità ebraiche. In questo giorno, a Röttingen, un cavaliere di nome Rindfleisch, che vantava di essere inviato da Dio, massacrò, con la sua banda di sgherri, tutti gli ebrei della cittá. Poi, attraversando la Franconia, la Baviera e l’Austria, saccheggiò e distrusse altre centoquaranta comunità, portando il numero delle vittime a circa centomila, tra donne, uomini, vecchi e bambini.

A Trento, il 23 giugno 1475, muoiono sul rogo, vittime dell’odio per la loro fede (che era poi la stessa fede di Gesù), il commerciante Samuele e altri trenta compagni, accusati dell’omicidio rituale del piccolo Simone, un bimbo il cui cadavere straziato era stato abbandonato a bella posta nei pressi di una casa ebraica qualche mese prima. Nei confronti del bambino ucciso da mano ignota si sarebbe sviluppato negli anni successivi, autorizzato dalla stessa chiesa, un vero e proprio culto in chiave anti-ebraica, cui pose fine soltanto l’intervento del papa Paolo VI negli anni 60.

È tutto, per stasera. Prendendo spunto dalle memorie dei martiri ebrei di questo giorno, scegliamo di congedarci, offrendovi in lettura un insegnamento, espressivo della fede e della cultura ebraica, raccolto da Martin Buber, nel suo “I racconti dei Chassidim” (Garzanti). Che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Rabbi Mendel diceva: “Quando un uomo vorrebbe servire rettamente Dio e non riesce, e mura si alzano davanti a lui, la sua preghiera è senza suono e il suo studio senza luce; quando il suo cuore si solleva contro di lui, ed egli, come uno respinto dal proprio cuore, viene tremando dallo zaddik, per cercare aiuto, allora, nella sua umiltà, egli reca umiltà anche allo zaddik. Poiché chi deve largire l’aiuto vede l’anima di colui che cerca l’aiuto, quell’anima prona e fervida, e pensa: ‘Costui è migliore di me!’. E in quel momento il suo servizio lo solleva in alto ed è in suo potere di sciogliere ciò che è legato. Da questo viene il detto: ‘L’arca portò i suoi portatori’”. (Martin Buber, I racconti dei Chassidim).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 23 Giugno 2019ultima modifica: 2019-06-23T22:59:07+02:00da fraternidade
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