Giorno per giorno – 10 Giugno 2019

Carissimi,
“Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: Donna, ecco il tuo figlio! Poi disse al discepolo: Ecco la tua madre! E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa” (Gv 19, 25-27). Con la festa di Maria, madre della Chiesa, voluta da papa Francesco, rientriamo nel Tempo comune della liturgia, come si trattasse, dopo il prolungato e festivo Tempo pasquale, del ritorno alla settimana lavorativa, la cui fatica è però affrontata con la baldanza che ci è derivata dall’incontro con il Cristo risorto. Beh, questo è il messaggio della liturgia. Nella vita reale, come ci si diceva stamattina, non sempre, né per tutti, è davvero così. Sì, nella vita reale tutto è molto più difficile e a volte la sensazione è di non avere forze sufficienti per riuscire a far fronte a ciò che accade, tanto sembra intollerabile. Poi, però, in un modo o nell’altro, si trovano forza, motivazioni, risorse, per tornare a una serenità che si pensava perduta. Fino alla prossima volta. I tempi che viviamo non facilitano certo le cose e la fede è una povera compagna che non sempre riesce a illuminare la strada che la speranza insiste ostinatamente ad additare. Anche la carità, in questi casi, diventa triste, al punto di apparire senza senso, dato che l’invito della Parola è “che si doni con gioia” (2Cor 9, 7). Tutto fa parte della miseria umana. Davanti a cui echeggia, tuttavia, per coloro che sono disposti ad ascoltarlo, il “Ti basti la mia grazia” (2Cor 12, 9), pronunciato dal Salvatore. Ritorno al Tempo comune, dunque, sotto il segno della croce. Un dramma che non rimane tale, dato che, in attesa del mistero della risurrezione, quasi ad anticiparlo, intenderlo e inverarlo ogni volta di nuovo, c’è il dono di Cristo morente, che ce ne scopre il significato, in quel duplice affidamento che, confidando la madre alle nostre cure e noi alle sue, è capace di generarlo nuovamente al mondo nella cura degli altri, perpetuandone nel tempo l’avventura, nel nostro farci quotidianamente Chiesa.

Il lunedì che segue la solennità di Pentecoste, per decreto della Sede apostolica dell’11 febbraio 2018, si celebra la memoria della Beata Vergine Maria Madre della Chiesa.

Il significato di tale memoria è spiegato dal Decreto come segue: “La gioiosa venerazione riservata alla Madre di Dio dalla Chiesa contemporanea, alla luce della riflessione sul mistero di Cristo e sulla sua propria natura, non poteva dimenticare quella figura di Donna (cf Gal 4, 4), la Vergine Maria, che è Madre di Cristo e insieme Madre della Chiesa. Ciò era già in qualche modo presente nel sentire ecclesiale a partire dalle parole premonitrici di sant’Agostino e di san Leone Magno. Il primo, infatti, dice che Maria è madre delle membra di Cristo, perché ha cooperato con la sua carità alla rinascita dei fedeli nella Chiesa; l’altro poi, quando dice che la nascita del Capo è anche la nascita del Corpo, indica che Maria è al contempo madre di Cristo, Figlio di Dio, e madre delle membra del suo corpo mistico, cioè della Chiesa. Queste considerazioni derivano dalla divina maternità di Maria e dalla sua intima unione all’opera del Redentore, culminata nell’ora della croce. Papa Francesco, considerando attentamente quanto la promozione di questa devozione possa favorire la crescita del senso materno della Chiesa nei Pastori, nei religiosi e nei fedeli, come anche della genuina pietà mariana, ha stabilito che la memoria della beata Vergine Maria, Madre della Chiesa, sia iscritta nel Calendario Romano nel Lunedì dopo Pentecoste e celebrata ogni anno. Questa celebrazione ci aiuterà a ricordare che la vita cristiana, per crescere, deve essere ancorata al mistero della Croce, all’oblazione di Cristo nel convito eucaristico, alla Vergine offerente, Madre del Redentore e dei redenti”.

Il nostro calendario ecumenico ci porta oggi la memoria di Abraam di al-Fayyoum, pastore, amico e padre dei poveri, e il ricordo dei Martiri ebrei delle milizie cosacche.

Abraam, il cui nome era Boulos (Paolo), nacque a Gilda, nel distretto di Mallawi (governatorato di al-Minya, Egitto), nel 1829 (1545 dell’Era dei Martiri), da genitori cristiani. Ordinato diacono da Anba Yousab, vescovo di Sunabbo, a diciannove anni entrò nel monastero di al-Muharrak, e subito si distinse per la grande umiltà, la purezza e l’amore alla preghiera. Quando Anba Yakoubos, vescovo di al-Meniah, ne udì parlare, lo volle alla sua residenza, e dopo qualche tempo lo ordinò prete, rimandandolo poi in monastero. Lì, nel 1866, i monaci lo elessero quale loro abate. Durante i cinque anni che mantenne questo incarico, fece di tutto per incrementare la vita spirituale dei monaci, migliorare la produzione dei loro terreni agricoli, ma soprattutto per andare incontro alle necessità dei poveri della regione, che, a migliaia, presero a bussare alle porte del monastero. Ma fu proprio questo suo atteggiamento che suscitò l’ira di un gruppo di monaci, che lo accusarono presso Anba Morcos, vescovo di al-Behira, facente le funzioni del patriarca dopo la morte di papa Demetrius II. Questi accolse le proteste dei monaci e depose l’abate. Dal monastero di al-Muharrak, con altri monaci, più vicini alla sua spiritualità, Boulos si trasferì al monastero di al-Baramous, dove era abate Youhanna lo Scrivano, che nel 1874 sarebbe diventato il 112º papa di Alessandria, col nome di Kyrillos V. Nel 1881 Kyrillos consacrò Boulos vescovo di al-Fayyoum e di al-Giza. Il monaco, assunse allora il nome di Abraam e, nel suo servizio episcopale, continuò con lo stile di sempre, semplice e povero, facendo della sua residenza il rifugio dei poveri, alimentandosi alla loro stessa mensa, rifiutando ogni segno di distinzione esteriore. Abba Abraam morì il 10 giugno 1914 (corrispondente al 3 Baouna 1630 dell’era dei martiri). Oltre diecimila persone, cristiane e musulmane, accompagnarono i suoi funerali. La sua tomba, nel monastero della Vergine Maria a al-Elzab, è ancora oggi meta di continui pellegrinaggi.

Il 10 giugno 1648 le milizie dei cosacchi di Bodan Chmielnicki, sotto la guida del comandante Ganja, assediarono la città fortificata di Nemirov, in Polonia, dove avevano trovato rifugio seimila ebrei. Spazzata via ogni resistenza, i cosacchi entrano in città, sterminando tutta la popolazione ebraica. Nemirov rappresenta solo una delle centinaia di comunità ebraiche annientate dalle orde cosacche. Anche se resta difficile avere un quadro preciso sul numero delle vittime, le statistiche oscillano da un minimo di centomila a oltre seicentomila morti. Il tutto nel quadro di una rivolta dei cosacchi (di fede ortodossa), contro il dominio dei polacchi (cattolici), al fine di unificare l’Ucraina con la Russia.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono propri della memoria odierna di Maria, Madre della Chiesa, e sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap.1, 12-14; Salmo 87; Vangelo di Giovanni, cap.19, 25-34.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con i fedeli del Sangha buddhista.

Non sappiamo se la “bomba” scoppiata ieri sera produrrà davvero un qualche sconvolgimento nella vita politica e non solo del nostro Paese. Già in passato è successo, infatti, che rivelazioni che tutti avrebbero pensato foriere di sicuri ribaltamenti non sono riuscite a scuotere l’immobilismo delle istituzioni né l’apatica rassegnazione dei più a livello sociale. La pubblicazione di una serie di documenti assai compromettenti (finora solo il 2% del totale), ripassati da una fonte anonima al giornale The Interceptor, riguardanti conversazioni tra l’ex giudice Sergio Moro (“premiato” da Bolsonaro col superministero della Giustizia) e il pubblico ministero Deltan Dallagnol, protagonisti dell’operazione Lava Jato (una sorta di Mani Pulite in versione brasiliana), e del processo che si concluse con la condanna (senza prove) dell’ex presidente Lula, ha portato alla luce inequivocabilmente la conduzione politica del processo, nonché l’attività in congiunto di giudice, pubblico ministero, organi di stampa, imprenditori, per pilotare l’esito del processo, in modo da impedire la partecipazione di Lula alle elezioni svoltesi lo scorso settembre, elezioni in cui era ampiamente favorito. Ripetiamo, non è dato sapere se tutto questo produrrà un qualche risultato. Se così non fosse, avremo in ogni caso materiale a iosa per disegnare negli annali di storia, la vergogna del Brasile di questi anni nel suo precipitare una volta di più in un’avventura segnata dal naufragio della democrazia.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura un testo di Matta el-Meskin, monaco della stessa chiesa di Abraam di al-Fayyoum, di cui abbiamo fatto memoria l’altro ieri. Tratto dal suo libro “L’ascesi cristiana” (Edizioni San Macario), che troviamo nel sito di spiritualità ortodossa “Nati nello Spirito”, è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
La conversione è uno dei misteri della Chiesa. In realtà, si tratta della porta per tutti gli altri misteri dal momento che nessun mistero può avere efficacia in noi se non siamo in uno stato di pentimento: “Se non vi convertite, perirete tutti” (Lc 13,3). Se guardiamo alla vita cristiana a partire dall’esperienza spirituale e dalla vita secondo il vangelo, ci renderemo conto che è una conversione continua, cioè un continuo ritorno a Dio. Il peccato, infatti, penetrando nell’essere umano lo ha reso tendente ad allontanarsi da Dio. “Adamo si nascose” (Gen 3,8) spaventato da Dio, una paura che non faceva parte della sua natura: “Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto” (Gen 3,10). Adamo provò paura a causa della trasgressione. La trasgressione continua ad esistere e il peccatore continua a essere impaurito e ad allontanarsi da Dio. Cristo è venuto a togliere questo stato di paura e a riportare l’uomo a Dio annullando il peccato in noi. Il togliere il peccato e le sue tracce velenose è un atto divino che trae la sua potenza dal sangue versato da Cristo: “Il sangue di Gesù, il Figlio suo, ci purifica da ogni peccato” (1Gv 1,7). Questo è in sintesi il mistero della redenzione e dell’amore. Convertirsi, dunque, come stato di ritorno fiducioso a Dio, significa immergersi nel mistero della redenzione e accogliere l’efficacia dell’amore che dimora stabilmente nel sangue di Cristo. Per questo la conversione è, in breve, un mistero divino. (Matta el Meskin, L’ascesi cristiana).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 10 Giugno 2019ultima modifica: 2019-06-10T22:07:54+02:00da fraternidade
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