Giorno per giorno – 06 Giugno 2019

Carissimi,
“Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato. E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano come noi una cosa sola” (Gv 17, 20-22). Con queste parole, la preghiera di Gesù raggiunge e include anche noi. Quanti di noi non comprendono sino a far proprio questo anelito del Maestro non sono davvero degni di essere chiamati cristiani: “Che tutti siano una cosa sola”, senza discriminazioni o barriere, ma nella bellezza, nella varietà e nella valorizzazione delle differenze. Per essere di esempio per il mondo, anticipazione dei tempi futuri, in cui regnerà tra tutti, nell’accoglienza, nel servizio, nel dono reciproci, la gloria, cioè l’amore incondizionato, del Padre, che Gesù ci ha manifestato. E che costituisce il “mistero nascosto da secoli nella mente di Dio” (Ef 3, 9).

Oggi il calendario ecumenico ci porta la memoria di Martin Buber, maestro e testimone di dialogo, di György Bulányi, fondadatore delle Comunità di base Bokor, e quella dei Martiri ebrei di Siviglia.

Martin Mordechai Buber nacque a Vienna, l’8 febbraio 1878, in una famiglia ebrea. Nella sua visione filosofica e religiosa è centrale la categoria del “dialogo”: con il mondo e con Dio. Questo segnó profondamente tutta la sua riflessione, il suo lavoro e la sua vita. Oltre alle sue opere più specificamente filosofiche, dobbiamo a lui l’organizzazione e la riformulazione degli insegnamenti dei grandi maestri del chassidismo, nonché di numerosi lavori di critica biblica. Nel 1938, fuggendo dalla dittatura e dalla persecuzione nazista, emigrò in Eretz Israel, dove, coerentemente, fece ogni sforzo per favorire il dialogo tra israeliani e palestinesi. Scrisse: “Uno può credere che Dio esiste e vivere alle sue spalle, ma colui che crede in Lui, vive dinanzi al suo volto”. E ancora: “Fede è provare fede nella pienezza della vita, nonostante il corso sperimentato del mondo”. Morì il 6 giugno 1965.

Prete scolopio (della congregazione dei “Chierici Regolari Poveri della Madre di Dio delle Scuole Pie”, fondata da S. Giuseppe Calasanzio), György Bulányi era nato a Budapest il 9 gennaio 1919. Alla fine della seconda guerra mondiale, il giovane prete prese a organizzare piccole comunità ecclesiali di base, che consentissero la sopravvivenza e la trasmissione dell’annuncio evangelico, nel clima di persecuzione o di intimidazione instaurato dal regime stalinista nei confronti delle attività religiose. Arrestato per questo, nel 1952, fu processato e condannato all’ergastolo per attività antistatali. Fu liberato nel 1960, ma non essendogli consentito di esercitare il suo ministero nella chiesa, si mise a lavorare come addetto ai trasporti. Nel frattempo curò la stesura dei sei volumi che raccolgono il suo pensiero teologico, dal titolo “Cercate il Regno di Dio!”, dove, analizzando le parole di Gesù nei Vangeli, concluse che Gesù voleva che la società umana – fondata sul dominio e la violenza – si trasformasse già qui, sulla terra, in un mondo basato sull’amore, seguendo gli ideali della nonviolenza, il servizio agli altri, la condivisione e il dono di sé. Ispirandosi al modello della comunità di Gesù, Bulányi operò per ridare vita e slancio alle comunità (più tardi conosciute come Bokor, il “Roveto”), dove la coscienza di ogni membro era rispettata dai suoi compagni, e dove tutti si sentivano impegnati ad approfondire la parola di Dio nelle Scritture e ad applicarla nella vita. Caratteristico di queste comunità fu anche la scelta dell’obiezione di coscienza al servizio militare, la denuncia dell’alleanza fra trono e altare, l’invito alla chiesa ad abbandonare ogni struttura di potere, per rivivere la dimensione originaria della comunità di fratelli. Molti giovani obiettori di coscienza furono, all’epoca, processati e condannati a lunghe pene detentive. Il regime esercitò pressioni sulla Chiesa perché adottasse misure punitive nei confronti di padre Bulányi. Il che, effettivamente, avvenne. Il cardinale László Lékai lo sospese a divinis, forte dei risultati di un processo intentato alle sue tesi dalla Congregazione per la dottrina della fede, non molto dissimile da quelli sperimentati in quegli anni dai teologi latinoamericani. Le misure canoniche furono ritirate soltanto nel 1997. Padre György Bulányi morì il 6 giugno 2010.

Il 6 giugno 1391, gli abitanti di Siviglia, in Spagna, circondarono il quartiere ebreo e lo incendiarono. Massacrarono circa cinquemila famiglie ebree, vendendo poi molte donne e bambini ai musulmani come schiavi. La maggior parte delle 23 sinagoghe di Siviglia furono distrutte o trasformate in chiese.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap.22, 30; 23, 6-11; Salmo 16; Vangelo di Giovanni, cap.17, 20-26.

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

E, per stasera, è tutto. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura una pagina di Martin Buber, tratta dal suo “Il cammino dell’uomo” (Qiqaion), che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Nessuna unificazione dell’anima è definitiva. Come l’anima più unitaria per nascita è pur tuttavia assalita a volte da difficoltà interiori, così anche l’anima più accanita nella lotta per la propria unità non può mai raggiungerla pienamente. Però ogni opera che compio con un’anima unificata agisce di rimando sulla mia anima, agisce nel senso di una nuova e più elevata unificazione; ognuna di queste opere mi conduce, anche se con diverse deviazioni, a un’unità più costante di quella antecedente. Alla fine si giunge così a un punto in cui ci si può affidare alla propria anima perché il suo grado di unità è ormai cosi elevato che essa supera la contraddizione come per gioco. Anche allora, naturalmente, è opportuno restare vigilanti, ma è una vigilanza serena. In uno dei giorni di Chanukkà, Rabbi Nahum, figlio del Rabbi di Rizin, entrò all’improvviso nella ieshivà e trovò gli studenti che giocavano a dama, com’è d’uso in quei giorni. Quando videro entrare lo zaddik, si confusero e smisero di giocare; ma questi scosse benevolmente la testa e chiese: “Ma conoscete anche le leggi del gioco della dama?”. E siccome essi non aprivano bocca per la vergogna, si rispose da sé: “Vi dirò io le leggi del gioco della dama. Primo: non è permesso fare due passi alla volta. Secondo: è permesso solo andare avanti e non tornare indietro. Terzo: quando si è arrivati in alto, si può andare dove si vuole”. Ma significherebbe fraintendere completamente il significato di “unificazione dell’anima” il tradurre il termine “anima” diversamente da “l’uomo intero”, corpo e spirito fusi insieme. L’anima è realmente unificata solo a condizione che tutte le forze, tutte le membra del corpo lo siano anch’esse. Il versetto della Scrittura: “Tutto ciò che la tua mano trova da fare, fallo con tutte le tue forze!” il Baal-Shem lo interpretava così: “quello che si fa, va fatto con tutte le membra”, cioè: bisogna coinvolgere anche tutto l’essere corporale dell’uomo, nulla di lui deve restare fuori. Quando l’uomo diventa una simile unità di corpo e di spirito insieme, allora la sua opera è opera d’un sol getto. (Martin Buber, Il cammino dell’uomo)

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 06 Giugno 2019ultima modifica: 2019-06-06T22:18:51+02:00da fraternidade
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