Giorno per giorno – 16 Maggio 2019

Carissimi,
“In verità, in verità vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un apostolo è più grande di chi lo ha mandato. Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica. Non parlo di tutti voi; io conosco quelli che ho scelto; ma si deve adempiere la Scrittura: Colui che mangia il pane con me, ha levato contro di me il suo calcagno” (Gv 13, 16-18). Di quali cose parla Gesù? Di ciò che ha appena compiuto, durante l’ultima cena, come è specificato nei versetti che precedono immediatamente il brano che abbiamo ascoltato oggi: “Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi” (Gv 13, 14-15). Che era infinitamente di più dell’invenzione di un rito. Era una rivoluzione nella concezione stessa di Dio. Ora, se Dio sceglie l’ultimo posto, inginoccchiato ai piedi dei poveri, degli emarginati, degli insignificanti, rifiutati da tutti, dovremo cercare di non essere da meno di Lui, scegliendoci almeno penultimi nel servizio ai fratelli. Sapendo che Gesù non rifiutò di darsi come alimento e di lavare i piedi anche a colui che sapeva l’avrebbe tradito, immagine di una chiesa che, pur alimentandosi del suo corpo, non esita a levare il calcagno contro la sua presenza reale nei poveri del mondo. Gesù ama sempre ad oltranza, anche quei discepoli, che, negandosi alla beatitudine del Regno (“sarete beati, se metterete queste cose in pratica”), si conformano alla logica mondana del potere. Questo, nella speranza che possano “conoscere l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza” (Ef 3, 19), e, nel ravvedimento, si aprano finalmente alla dimensione dell’amore e del dono di sé.

Il calendario ci porta anche le memorie di Teodoro di Tabennesi, monaco, e di Teodosio delle Grotte di Kiev, fondatore della vita cenobitica in Russia.

Teodoro era nato verso il 314 da una ricca famiglia a Shne, in Egitto. Si racconta che, quattordicenne, tornando a casa da scuola, vedendo la famiglia riunita a banchettare, fu colpito da un pensiero improvviso: “Se ti perdi dietro a questi cibi e a questi vini, non conoscerai mai l’allegria vera della vita di Dio”. Il giovane si ritirò allora in un angolo tranquillo della casa, si prostrò a terra e, piangendo, disse: “Signor mio Gesù Cristo, tu sai che non desidero nulla, ma solo te e la tua grande misericordia che amo”. Il giorno seguente lasciò la sua casa e la sua città e si recò in monastero a Tabennesi, dove Pacomio (lo abbiamo ricordato ieri) aveva dato vita alla prima comunità monastica in terra d’Egitto. Pacomio fece di lui, ben presto, il suo discepolo prediletto, ma questo non gli evitò di dover combattere per molti anni la tentazione dell’orgoglio e del potere, che accompagnò da subito il suo radicalismo ascetico. Pacomio percepì la sua fragilità e non lo volle perciò a succedergli nell’ufficio di abate. Solo dopo la morte di quello, il monaco Orsiesi, che gli era subentrato, non riuscendo a mantenere l’unità nella comunità lacerata da antagonismi e divisioni, chiese a Teodoro di prendere il suo posto. Cosa che egli fece, mettendo a frutto la lezione dell’umiltà e della mitezza appresa dal suo maestro. Mantenne questo incarico dal 350 al 368, anno della sua morte. Teodoro è definito dalla liturgia “il santificato”, per mettere in rilievo le difficoltà incontrate e il lungo cammino che gli fu necessario per arrivare a vivere in conformità con l’Evangelo. Il che ci consola non poco.

Teodosio era nato nel 1029 in una famiglia benestante di Vasilev, nelle regione di Kiev, in una famiglia benestante. Ancor giovane, desideroso di abbracciare la vita religiosa, si era unito ad Antonio (cf il 23 luglio), un santo monaco che, sull’esempio degli antichi padri del deserto, era andato a vivere in una grotta sulle colline nei pressi della città di Kiev, ed era così divenuto uno dei suoi primi discepoli. Quando Antonio decise di stabilirsi in una grotta ancora più lontana, in completa solitudine, separato anche dai suoi discepoli, Teodosio trascorse alcuni anni sotto il governo spirituale del suo successore l’egumeno Barlaam. Nel 1062, tuttavia, egli stesso divenne egumeno della comunità monastica. Questa poi, con l’incremento del numero dei monaci, aveva visto aumentare anche donazioni, possedimenti e costruzioni. Per organizzare più adeguatamente la vita del monastero, Teodosio fece tradurre e adottò la regola di S. Teodosio Studita, che da allora reggerà tutta la vita cenobitica del monachesimo russo. Guidato per tutta la vita dai princípi di un ascetismo austero, e animato da uno spirito di semplicità e di amore per la povertà, il lavoro e la preghiera, Teodosio morì il 3 maggio 1074 (data del calendario giuliano, corrispondente al 16 maggio del nostro calendario). Fu canonizzato nel 1108.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap.13, 13-25; Salmo 89; Vangelo di Giovanni, cap.13, 16-20.

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

Per stasera è tutto. Noi ci si congeda qui e, prendendo spunto dalla memoria di Teodoro di Tabennesi, vi offriamo in lettura un brano della “Vita copta di Pacomio e Teodoro”, scritta da un anonimo monaco che ebbe la sorte di conoscere entrambi. È, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Quel giorno, una domenica, il nostro padre Pacomio chiamò Teodoro e gli disse: “Quando i fratelli usciranno dal pasto della sera, tu affiderai il tuo servizio ad un altro e ti recherai dove ci riuniamo per la catechesi”. Teodoro fece così. Raggiunto il nostro padre che in piedi rivolgeva la parola di Dio ai fratelli, questi lo prese per mano in mezzo ai fratelli e gli disse: “Mettiti qui, e rivolgici la santa parola di Dio”. Controvoglia Teodoro cominciò a parlare, davanti a tutti i fratelli in piedi. Il nostro padre Pacomio, ugualmente in piedi, ascoltava anch’egli volentieri la parola di Dio, come gli altri. Alcuni si indignarono per orgoglio e tornarono nelle loro dimore senza ascoltare la parola di Dio, dicendo: “È troppo giovane, mentre noi siamo vecchi. Ma è a lui che ha dato l’ordine di parlare”. Teodoro aveva infatti trent’anni, quando il nostro padre lo mise a fare la catechesi, sapendo che era superiore agli altri per i progressi fatti. Accortosi che alcuni se ne erano andati per non ascoltare la parola di Dio dalla bocca di Teodoro, Pacomio si sedette e si rivolse agli altri così: “Che cosa significa questo vostro pensiero: ‘Ha designato un ragazzo a tenerci la catechesi?’. Che grande e vana sciocchezza! Le parole che pronuncia non sono forse quelle del Signore dell’universo? Osserviamo infatti che nostro Signore dice a proposito di un fanciullo: Chiunque accoglierà un fanciullo come questo nel mio nome, accoglierà me. D’altra parte, non c’ero anch’io, in mezzo a voi, come uno di voi? Sì, ve lo dico, non fingevo, ma ascoltavo con tutto il cuore, simile a colui che ha sete di acqua pura, nei giorni d’estate. La parola di Dio è veramente degna dell’intero assenso come sta scritto: Infelici quelli che tornano indietro, che si sono resi estranei alla misericordia di Dio e alla sua bontà. Ve lo giuro, se non si convertono dal loro orgoglio, sarà difficile per loro vivere, perché il Signore è vicino agli afflitti di cuore e vivificherà gli umili di spirito”. Detto ciò, alzatosi, pregò e congedò i fratelli. Tornò ognuno alla propria dimora. Quando poi ebbe termine la raccolta della canapa, anch’egli raggiunse il monastero. (Vita copta di Pacomio e Teodoro, 69).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 16 Maggio 2019ultima modifica: 2019-05-16T22:33:16+02:00da fraternidade
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