Giorno per giorno – 11 Maggio 2019

Carissimi,
“Molti dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato, dissero: Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo? Disse allora Gesù ai Dodici: Volete andarvene anche voi? Gli rispose Simon Pietro: Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio” (Gv 6, 60. 67-69). Già, chi poteva capire ciò che Gesù aveva appena finito di dire: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna” (v. 54)? Ad essere sinceri, non lo capiamo a fondo neppure noi, duemila anni dopo. Eppure, pur senza capirlo, sentiamo anche noi di poter protestare con Pietro: da chi altri andremo, Signore, tu solo hai parole di vita eterna. Ti tradiremo, ti rinnegheremo, ma torneremo ogni volta da te, consapevoli che le tue parole “sono spirito e vita” (v.63). E la tua pazienza saprà compiere in noi ciò che da soli non riusciamo a fare. Stasera, mentre due dei nostri, già avanti con gli anni, sedevano a un tavolinetto sul lungofiume, in attesa di un caffè, dopo aver consumato una tapioca vegetariana, un lusso più unico che raro, si è avvicinato, male in arnese, scalzo, barcollante e timido, Divino, una vecchia conoscenza della chácara di recupero, che si è seduto senza tanti complimenti accanto ai due. Subito sono sopraggiunti due camerieri, invitandolo ad alzarsi e ad andarsene senza disturbare gli avventori. Ma lui ha detto, indicando uno dei due: questo è mio broder, mio amico, e, additando l’altra, lei, se è amica del mio amico, e pure amica mia. Così, a un cenno di assenso dei due, è stato lasciato tranquillo. Ne è venuta fuori una lunga conversazione, con il racconto, lucido nonostante tutto, di avventure e disavventure di questi anni; poi, alla fine, una sorta di confessione di fede: eppure io so che Dio, un giorno, farà il miracolo. Io non ho mai perso la fede in Dio. Lo crediamo anche noi, per lui, per noi, per i molti cristiani che, nei modi più diversi, rinnegano la buona notizia che Gesù ha inteso essere per tutti, senza però decidere di lasciarlo definitivamente. Per via della speranza, che è loro, nostra e di Dio, che un miracolo, prima o poi, possa avvenire, e si giunga finalmente a testimoniare la vita buona a cui Dio ci chiama.

Oggi il calendario ci porta le memorie di Matteo Ricci, il “saggio d’Occidente”, missionario in Cina; Carlos Mugica, prete dei poveri e martire in Argentina; Alfonso Navarro e Luis Torres, martiri in Salvador; Johann Arndt, teologo e mistico.

Matteo Ricci era nato a Macerata il 6 ottobre 1552. Dopo aver studiato nel collegio dei gesuiti della sua città, fu dal padre inviato a Roma per studiarvi diritto. Nel 1571 interruppe gli studi e decise di entrare nella Compagnia di Gesù. Sei anni più tardi, trasferitosi a Lisbona, in vista di una sua partenza per le missioni, studiò teologia per un anno nel collegio di Coimbra. Nel marzo 1578 s’imbarcò per l’India, con destinazione Goa, dove giunse dopo un viaggio di quasi sei mesi. Lì, proseguì i suoi studi teologici e fu ordinato sacerdote nel 1580. Nel 1582 fu inviato a Macao, per aiutare un suo confratello, padre Ruggeri, nel tentativo di entrare in Cina. Vi riuscirono insieme nel settembre 1583 e fondarono così la prima residenza di Zhaoqing. Cominciava in questo modo la grande avventura di questo giovane gesuita dalla cultura eccezionale e dalla memoria prodigiosa, sotto il segno del “farsi cinese con i cinesi”, in un processo di inculturazione linguistica, culturale, sociale e religiosa, che parve a molti rivoluzionario e ai limiti della tollerabilità per quei tempi, ma che ha ancora da insegnare ai nostri. Introdusse in Cina le conoscenze scientifiche dell’Occidente, nel campo della matematica, della geometria, della geografia e dell’astronomia. E, con i suoi scritti, fornì all’Europa una conoscenza ampia ed esaustiva della cultura cinese in tutti i suoi aspetti. Il rispetto che nutrì e mostrò nei confronti della civiltà millenaria che l’aveva accolto fu ampiamente ricambiato dall’ atteggiamento di stima e di benevolenza che lo circondò, al punto di essere nominato mandarino e di ottenere un vitalizio a spese dello stato. Alla sua morte, avvenuta a Pechino l’11 maggio 1610, l’imperatore proclamò un lutto generale e consentì, cosa mai concessa ad uno straniero, che fosse sepolto nella capitale.

Carlos Francisco Sergio Mugica Echagüe era nato a Buenos Aires, il 7 ottobre 1930, terzo di sette figli di Adolfo Mugica (che sarà deputato e successivamente ministro degli esteri argentino) e di Carmen Echagüe. Studente brillante, appassionato di sport e giovane dai molteplici interessi culturali, dopo un viaggio a Roma, in occasione dell’anno santo 1950, maturò la vocazione sacerdotale. Lasciò allora gli studi di Diritto per il seminario. Ordinato sacerdote il 21 dicembre 1959, fu da prete che si accorse dell’esistenza dei poveri. Cominciò allora a compiere scelte che lo avrebbero posto sovente in esplicito contrasto con una gerarchia, perlopiù retriva e conservatrice, in tempi di ingiustizia, violenza e repressione, che richiedevano invece attitudini profetiche. Pregava così: “Signore, voglio vivere d’ora in avanti come uomo libero. Voglio ricordare, una volta per tutte, che il mio futuro è nelle tue mani e che tu sei mio Padre. E quando mi assaliranno paura, scoraggiamento, sfiducia, ricordami, mio Dio, che mi sei vicino e che le fila della mia vita sono nelle tue mani, mani di padre, mani di amico, che mai mi hanno abbandonato”. Nel 1967 fu mandato a Parigi a studiare e seppe della nascita del Movimento Sacerdoti del Terzo Mondo, cui aderì da subito. Tornato, l’anno successivo in Argentina, fu destinato a Villa Retiro, un sobborgo povero di Buenos Ayres, dove con l’aiuto del fratello Alessandro costruì un centro polivalente dedicato a Cristo Operaio. Accusato di contiguità con gli ambienti dei Montoneros, fu più volte minacciato di sospensione a divinis, minaccia che il prete confessava di vivere con tristezza e angoscia. Il 2 luglio 1971 una bomba esplose, fortunatamente senza far vittime, nella casa dove, in una cameretta all’ultimo piano, abitava padre Carlos. Questi dichiarò: “Niente né nessuno mi impedirà di servire Cristo e la sua Chiesa, lottando insieme ai poveri per la loro liberazione. Se il Signore mi concederà il privilegio, che non merito, di perdere la vita in questa impresa, sono a sua disposizione”. E, il privilegio gli fu dato. L’11 maggio 1974, mentre saliva in macchina dopo aver celebrato messa nella Chiesa di san Francesco Solano, fu colpito a morte da cinque colpi sparati da Rodolfo Eduardo Almirón, un killer della Triplice A, un’organizzazione dell’estrema destra peronista. Il peggio, per l’Argentina, sarebbe arrivato di lì a poco. I resti mortali di padre Mujica furono trasferiti, il 9 ottobre 1999, dal cimitero della Recoleta alla parrocchia di Cristo Obrero, nella Villa 31, con una cerimonia presieduta dall’arcivescovo di Buenos Ayres, Jorge Mario Bergoglio.

Alfonso Navarro era un prete salvadoregno, parroco a San Juan de Opico, dove si era dedicato a rafforzare la locale cooperativa dei piccoli contadini e a formare operatori di pastorale, soprattutto giovani. La sua predicazione e la sua attuazione indispettirono presto i latifondisti della zona, che presero ad accusarlo di essere sovversivo e comunista, minacciandolo di morte. Questo spinse il suo vescovo a trasferirlo alla parrocchia di Colônia Miramonte, in una zona residenziale di San Salvador. Ma anche lì, padre Alfonso continuò quello di sempre, propondendosi di aiutare la gente a scoprire la dimensione fraterna della comunione. E questo suonava male all’orecchio dell’oligarchia locale. Nel gennaio 1977 una bomba fu collocata nel garage della casa parrocchiale, la sua automobili finì distrutta, ma il prete si salvò per una questione di attimi. L’11 maggio dello stesso anno, quattro uomini armati penetrarono in casa. Con un colpo di karaté gli spezzarono un braccio, lo crivellarono con sette proiettili e, prima di uscire, spararono a bruciapelo alla testa di Luis Torre, Luisito, di 14 anni, uccidendolo sul colpo. Un altro dei giovani compagni che era subito accorso per prestare assistenza al prete, lo udì sussurrare: “Muoio per aver annunciato il Vangelo. So chi mi ha ucciso. Sappiano che li perdono”. Alfonso Navarro aveva 35 anni.

Johann Arndt, nato, il 27 dicembre 1555, a Ballenstedt, in Anhalt (Germania), studiò teologia a Tubinga, completando poi i suoi studi a Strasburgo. È ritenuto l’ispiratore del pietismo tedesco: i suoi libri, infatti, esercitarono una profonda influenza su Philipp Jakob Spener, fondatore del movimento. (1533-1588). Il suo lavoro più famoso, “Quattro (in realtà, alla fine, sei) libri sul vero Cristianesimo” rappresenta una ponderosa raccolta di meditazioni e di preghiere, in cui Arndt, sviluppando in maniera quasi esclusiva gli elementi mistici della dottrina di Lutero e unendoli a motivi tratti dai mistici tedeschi ma anche da teologi cattolici, e da una mistica come Angela da Foligno, contrappone l’unione mistica in Cristo come fine ultimo del cristianesimo, all’ordine di salvezza, la dottrina luterana ortodossa della giustificazione per fede e della riconciliazione dell’uomo con Dio per mezzo del sacrificio di Cristo. Accomunato ai più famosi mistici del luteranesimo, come Sebastian Franck, Caspar Schwenckfeld von Ossig, Jakob Boehme e Valentin Weigel, Arndt morì l’11 maggio 1621.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap.9,31-42; Salmo 116, 12-17; Vangelo di Giovanni, cap.6, 60-69.

La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

È tutto, per stasera. Noi ci congediamo qui, offrendovi in lettura il brano di un suo scritto dal titolo “Jesús y la política”, che troviamo nel sito “Carlos Mugica, Martir de los Pobres” e che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
L’atteggiamento profondamente trascendente di Gesù, lo porta a scartare tutto ciò che si oppone al mondo del suo messaggio escatologico, così come lo ha portato a confrontarsi con i difensori della lettera della legge e con gli zeloti, nazionalisti settari. Questo, perché Gesù viene ad annunciare il disegno divino non solo a Israele, pur riconoscendo la sua posizione peculiare nella redenzione, ma a tutti. Da qui il fatto che la sua apertura fraterna verso i pagani e samaritani scandalizza gli ebrei, e soprattutto gli zeloti, il cui odio per gli stranieri era sconfinato. Quanti oggi lottano per estirpare le classi che dividono gli uomini in sfruttatori e sfruttati, e si oppongono al neocolonialismo e all’imperialismo, stanno riconoscendo in pratica, forse inavvertitamente, la forza del messaggio che Cristo ha portato duemila anni fa. I Vangeli mostrano con chiarezza che Gesù stigmatizza senza pietà i ricchi e predica con inusitata violenza contro l’ingiustizia sociale. Gesù annuncia, da un lato, che alla luce del Regno che viene, la differenza tra ricchi e poveri è contraria alla volontà divina. Questo giudizio sull’ordine sociale del suo tempo è, in quanto tale, un giudizio rivoluzionario. Gesù, tuttavia, non mira a trasformare direttamente l’ordine sociale. Richiede qualcos’altro dai suoi discepoli: ognuno di essi deve applicare da subito individualmente le regole del Regno futuro. Ogni uomo, come individuo, deve essere cambiato dalla legge dell’amore. Gesù si preoccupa di far sparire nell’individuo l’egoismo, l’odio, l’ingiustizia, la falsità. Questo insegnamento di Gesù è ancora oggi indispensabile. Se tutti noi che oggi ci definiamo cristiani, realizzassimo la nostra rivoluzione interiore in profondità, passassimo dall’ingiustizia all’amore, certamente la configurazione della nostra società sarebbe ben diversa. (Carlos Mugica, Jesús y la política).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 11 Maggio 2019ultima modifica: 2019-05-11T22:54:46+02:00da fraternidade
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