Giorno per giorno – 04 Febbraio 2019

Carissimi,
“Mi chiamo Legione, gli rispose, perché siamo in molti” (Mc 5, 9). Gesù era giunto nella regione dei Geraséni, popolazione pagana. Che sarebbe come dire: qui da noi, o lì da voi, in tempi di risorgenti idolatrie, variamente mascherate, anche di cristianesimo (ma non è stato del resto così anche in passato?). Idolatrie che venerano gli idoli di sempre: dominio, ricchezza, prosperità, accumulazione, lucro, benessere (dei nostri), a cui si è disposti a sacrificare ogni altra persona, cosa, vita, valore (degli altri). Gesù giunge, dunque, e si imbatte nelle vittime delle molteplici forme di male (“Legione”), generate dal Principe del Sistema. Vittime che fanno del male tanto a sé quanto agli altri, ma che è tuttavia più economico, oltre che inevitabile, date le premesse, mantenere in quello stato. Vittime che spesso sono alienate a tal punto da percepire come nemica la parola della libertà recata da Cristo: “Che hai tu in comune con me, Gesù, Figlio del Dio altissimo?”(v. 7). Nulla hanno in comune, come del resto la società che le circonda, che di Gesù e della sua prassi di liberazione ha tanta paura quanta le sue vittime. Operare per la cura, la liberazione, la salute, l’educazione, la vita dignitosa di tutti, comporta infatti un costo intollerabile per un Sistema organizzato in vista del privilegio di pochi. Come il costo rappresentato per i Gerasèni dalla perdita dei porci, precipitati dal burrone in mare (v. 13). Così che “essi si misero a pregarlo di andarsene dal loro territorio” (v.17). E in molti continuano, nei fatti, a pregarlo così anche oggi. Cristiani, qualche volta, con il vangelo e il rosario in mano. E la comunione in bocca. Ma è solo una bestemmia.

Il calendario ci porta oggi le memorie del Massacro di Chimaltenango, in Guatemala; e di Hans Schlaffer, martire anabattista.

Gli anni tra il 1978 e il 1983 coincisero con il periodo più violento della repressione messa in atto dal regime al potere in Guatemala, quando le operazioni militari si concentrarono nelle regioni del Quiché, Huehuetenango, Chimaltenango, Alta y Baja Verapaz, la costa meridionale e Città del Guatemala. Queste azioni, denominate “operazioni di terra spianata”, avevano come obiettivo le comunità degli indigeni maia, considerati “nemico interno”, e consistevano in indiscriminati massacri di popolazioni indifese, nella distruzione delle loro coltivazioni, vettovaglie, raccolti, bestiame, delle loro istituzioni sociali, economiche e politiche, dei loro simboli, valori e pratiche culturali e religiose. Secondo la “Comisión para el Esclarecimiento Histórico”, circa 626 massacri furono eseguiti in quegli anni. Tra questi, quello di cui noi facciamo memoria oggi. Il 4 febbraio 1981, nei villaggi di Papa-Chalá, Patzaj e Panimacac, furono massacrati dall’esercito 168 contadini, dopo che gran parte di essi erano stati torturati. Numerose donne furono impiccate, mentre i soldati incendiavanno case e raccolti e saccheggiavano scuole e oratori. Le persone che, terrorizzate, cercavono di fuggire nelle campagne circostanti e di nascondersi nei valloni, furono bombardate dagli elicotteri. Tutto era cominciato quando gli abitanti di Papa-Chalá avevano reagito con indignazione all’uccisione a calci di un neonato strappato alla madre. I massacri si ripeterono nei villaggi di Petén, San Marcos e Huehuetenango.

Di Hans Schlaffer non si conosce con precisione l’anno e il luogo della nascita. Si sa invece che fu ordinato prete nel 1511 e che, sotto l’influsso della riforma di Lutero, lasciò il ministero nel 1526, rifugiandosi nel castello del Barone di Zelkin, protestante, a Weinberg, nell’Alta Austria. Attratto dalla predicazione degli anabattisti di Hans Hut, che risiedevano nella vicina città di Freistadt, si recò nel 1527 a Nikolsburg (oggi Mikulov, nella Repubblica Ceca), quando si svolse il dibattito tra i “sostenitori della spada” (Schwertler) e “sostenitori del bastone” (Stäbler). Schlaffer si schierò con questi ultimi, optando quindi per un radicale rifiuto dell’uso delle armi anche solo a scopo difensivo. Trasferitosi poi in Baviera, iniziò una serie di peregrinazioni che lo misero in contatto di numerosi leader del movimento anabattista. Il 5 dicembre 1527 fu arrestato, assieme al correligionario Linhard Frick, nella città di Schwatz, in Tirolo, dove si era recato per partecipare a un convegno di anabattisti. Incarcerato nel castello di Frundsberg, lungi dal disanimare, scrisse otto dei nove testi che ancora si conservano, preghiere e canti spirituali. Tra essi una lunga orazione di 18 pagine, composta la notte precedente la sua esecuzione, considerata uno dei documenti più profondi e commoventi della letteratura devozionale. Il processo, svoltosi con numerose irregolarità e vere e proprie falsificazioni delle prove, si concluse con la condanna a morte di Schlaffer e di Frick, che furono decapitati il 4 febbraio 1528. Schlaffer aveva scritto che la Cena del Signore manifesta il nostro impegno ad essere sempre “pronti a dare il nostro corpo per i fratelli come Cristo si diede per noi, e a versare il nostro sangue per Cristo e la sua chiesa, nella misura in cui la fede e la prova d’amore lo esigano. Chiunque dà il suo corpo e versa il suo sangue como è stato indicato, non dà la sua vita né versa il suo sangue, ma il corpo e il sangue di Cristo, poiché noi siamo realmente membra del suo corpo”. Nei suoi scritti aveva sostenuto che l’accesso alla grazia, intesa come la Luce di Dio presente nel cuore di ogni essere umano, si estende anche agli ebrei, ai musulmani e in genere ai pagani. Era, evidentemente, un pericoloso eretico!

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera agli Ebrei, cap.11, 32-40; Salmo 31; Vangelo di Marco, cap.5, 1-20.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con i fedeli del Sangha buddhista.

“Chiediamo a tutti di cessare di strumentalizzare le religioni per incitare all’odio, alla violenza, all’estremismo e al fanatismo cieco e di smettere di usare il nome di Dio per giustificare atti di omicidio, di esilio, di terrorismo e di oppressione. Lo chiediamo per la nostra fede comune in Dio, che non ha creato gli uomini per essere uccisi o per scontrarsi tra di loro e neppure per essere torturati o umiliati nella loro vita e nella loro esistenza. Infatti Dio, l’Onnipotente, non ha bisogno di essere difeso da nessuno e non vuole che il Suo nome venga usato per terrorizzare la gente”. È un paragrafo del “Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune”, firmato oggi ad Abu Dhabi da Papa Francesco e dal Grande Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyebabi. Esso vuole essere “un invito alla riconciliazione e alla fratellanza tra tutti i credenti, anzi tra i credenti e i non credenti, e tra tutte le persone di buona volontà; un appello a ogni coscienza viva che ripudia la violenza aberrante e l’estremismo cieco; appello a chi ama i valori di tolleranza e di fratellanza, promossi e incoraggiati dalle religioni; una testimonianza della grandezza della fede in Dio che unisce i cuori divisi ed eleva l’animo umano; un simbolo dell’abbraccio tra Oriente e Occidente, tra Nord e Sud e tra tutti coloro che credono che Dio ci abbia creati per conoscerci, per cooperare tra di noi e per vivere come fratelli che si amano”. Che questo documento rappresenti davvero un contributo decisivo all’affermazione di una cultura di dialogo, accoglienza e pace, tra popoli, culture e religioni.

Il 4 febbraio 1906 nasceva a Breslavia (allora in Germania, oggi in Polonia) Dietrich Bonhoeffer, pastore luterano, tra i fondatori della Chiesa confessante, che in tempi di viltà generalizzata seppe esprimere con forza la sua opposizione al nazismo, perdendo così (no, ritrovando) la sua vita. Noi ne celebriamo la memoria nella data del martirio, il 9 aprile, ma gli rendiamo omaggio anche in questa occasione, offrendovi, nel congedarci una sua citazione. Tratta dal suo libro “Libertà di vivere” (Gribaudi), è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
La gratitudine non sgorga da una capacità propria del cuore umano, / ma solo dalla parola di Dio. / Pertanto la gratitudine va imparata ed esercitata. / La gratitudine va in cerca del donatore che c’è oltre il dono. / Nasce dall’amore che la concepisce. / La gratitudine è abbastanza umile da lasciarsi donare qualcosa. / L’orgoglioso prende solo ciò che gli spetta. / Si rifiuta di accogliere un regalo. / Per colui che è grato ogni cosa diventa un dono, / poiché sa che per lui non esiste assolutamente un bene meritato. / La gratitudine rende la vita davvero ricca. / E’ facile sopravvalutare l’importanza del proprio agire ed operare / rispetto a ciò che si è diventati solamente grazie agli altri. (Dietrich Bonhoeffer, Libertà di vivere).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 04 Febbraio 2019ultima modifica: 2019-02-04T22:33:30+01:00da fraternidade
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