Giorno per giorno – 03 Febbraio 2019

Carissimi,
“C’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova in Sarepta di Sidone. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo, ma nessuno di loro fu risanato se non Naaman, il Siro” (Lc 4, 25-27). Stamattina, ci dicevamo che quando Gesù decide di provocare ci riesce perfettamente. Al punto da trasformare, da un momento all’altro, la meraviglia iniziale suscitata con la sua parola negli astanti (v.22), nello sdegno omicida che questa sua considerazione apparentemente gratuita determinò. Se pure aveva letto bene nel pensiero delle persone riunite in sinagoga, bisogna riconoscere che esse non chiedevano niente di straordinario, nulla di più o di meglio di quanto avevano saputo che egli aveva operato nella città vicina. Insomma, una distribuzione equa di grazie e di prodigi tra chiese, parrocchie, santuari o religioni, che non giustificasse le pretese e dispute a cui assistiamo ancora ai nostri giorni su dove si ottengano più miracoli. Miseria delle religioni, che riducono Dio al maghetto di turno, pronto a favorire solo i suoi, come costituissero una sorta di consorteria al suo servizio, e non fosse Lui invece il Padre misericordioso di tutti. Che si prende cura, nel caso, a partire proprio da quelli che noi si considera indegni, stranieri, nemici, pagani, atei, miscredenti e peccatori. Per insegnarci ad agire anche noi così. Gratis e per amor suo. Già, ma a che serve la religione, se non ci garantisce un trattameno migliore rispetto a chi religioso non è? Beh, Gesù è venuto proprio a sfatare questo mito. Religione, nella sua accezione migliore, serve, non a garantirci i favori di Dio, ma a sapere come egli agisce nella sua dedizione incondizionata e ad agire noi di conseguenza, come suoi testimoni.

Le letture che la liturgia di questa IV Domenica del Tempo Comune propone alla nostra riflessione sono tratte da:
Profezia di Geremia, cap.1, 4-5. 17-19; Salmo 71; 1ª Lettera ai Corinzi, cap.12, 31 – 13, 13; Vangelo di Luca, cap.4, 21-30.

La preghiera della Domenica è comunione con tutte le chiese e comunità cristiane.

Oggi, il calendario ci porta le memorie di Biagio di Sebaste, medico, vescovo e martire; di Alois Anditzki, presbitero e martire del totalitarismo nazista; e dei quattro cappellani militari del Dorchester, che diedero la vita per salvare dei loro commilitoni.

Biagio presiedeva la Comunità di Sebaste, in Armenia, durante l’impero di Licinio (che si occupava dell’Oriente), cognato di Costantino (che invece governava l’Occidente). I due, non si sa bene perché, entravano spesso in conflitto. Nessuno dei due, del resto, era uno stinco di santo. Tanto è vero che Costantino fece strangolare Licinio a Salonicco nel 325. Ora, mentre Costantino, nel 313, aveva emesso il decreto che concedeva la libertà di culto ai cristiani, Licinio, tergiversava e lasciava mano libera ai suoi governatori, che bruciavano chiese, condannavano i cristiani ai lavori forzati e facevano fuori i loro vescovi. Tra loro, Biagio. Imprigionato, ripetutamente torturato, infine condannato alla decapitazione, raccontano di lui che mentre si recava al luogo del supplizio, vide un ragazzo tra i curiosi che assistevano al suo passaggio che stava morendo soffocato a causa di una lisca di pesce conficcatasi nella trachea. Dribblate le guardie, Biagio raggiunse il ragazzo, soccorrendolo tempestivamente. Poi riprese il suo posto nel corteo che lo portava all’arena. Il racconto ne avrebbe fatto a lungo il protettore contro le malattie della gola.

Alois Anditzki era nato nel 1914 a Radibor, un villaggio rurale del circondario di Bautzen, in Sassonia (Germania). Il desiderio di porsi al servizio del prossimo, lo portò ad entrare nel seminario di Meißen. Nel 1938 venne ordinato diacono, e un anno dopo presbitero. Svolse il suo ministerio pastorale come cappellano nella parrocchia Hofkirche di Dresda, dedicandosi soprattutto all’evangelizzazione e all’animazione dei giovani. Lì, si fece conoscere come “sacerdote umile, semplice e sempre disponibile ad aiutare il prossimo”. Nell’inverno del 1941, per aver messo in scena una rappresentazione teatrale in cui mostrava come sarebbero finiti i cristiani nella Seconda Guerra Mondiale, fu convocato in questura e arrestato, sotto l’accusa di dichiarazioni ostili nei confronti dello Stato, che ne mettevano a repentaglio la sicurezza. Venne per questo inviato dalla Gestapo nella prigione politica di Dresda, dove rimase due mesi. Allo scadere della pena, invece di essere liberato, fu inviato nel campo di concentramento di Dachau. Inutilmente la famiglia presentò ricorso alle autorità. Padre Alois fu assassinato il 3 febbraio 1943, con un’iniezione letale. Aveva ventinove anni. I suoi compagni di prigionia testimoniarono in seguito che egli passò tra loro come un santo, seminando gioia, fiducia e speranza e conquistando l’amicizia e la simpatia di tutti.

Nel ribadire che sogniamo il giorno in cui preti, pastori, rabbini, inquadrati negli organici militari, lasceranno le loro stellette (e i relativi stipendi), per testimoniare la loro obiezione ad ogni esercito e ad ogni violenza ed essere soltanto annunciatori della Parola di Pace, fedeli ad un’unica patria, quella della comune umanità, scegliamo, nondimeno, di far memoria di alcuni di loro, che hanno saputo fare la cosa giusta, anche se con la divisa [come lo è ogni divisa] sbagliata. Si chiamavano: Clark Poling (nato il 7 agosto 1910 a Columbus, nell’Ohio), ministro congregazionalista; George Fox (nato a Lewistown, in Pennsylvania, il 15 marzo 1900), pastore metodista, Johnny Washington (nato a Newark, nel New Jersey, il 18 luglio 1908.), prete cattolico e Alexander Goode (nato a Brooklyn, New York, il 10 maggio 1911), rabbino ebreo, ed erano tutti e quattro cappellani militari sull’incrociatore Dorchester, della marina Usa, durante la Seconda Guerra mondiale. La mattina del 3 febbraio 1943, la nave fu silurata. I cappellani stavano indossando i loro giubbotti di salvataggio, quando si accorsero che molti dei 900 marinai ne erano sprovvisti. Decisero unanimente di privarsene, perché almeno altri quattro potessero vivere. I sopravvissuti dissero poi che quando la nave s’inabissò, videro i cappellani con le braccia legate pregare insieme sul ponte.

Il 3 febbraio 1909 nasceva a Parigi, Simone Weil, una delle voci più alte del secolo scorso e testimone di una fede vissuta con radicalità estrema. Noi ne facciamo memoria il 24 agosto, giorno della sua scomparsa, ma vogliamo renderle omaggio anche in questo giorno, offrendovi, nel congedarci, un brano tratto dal suo scritto “Riflessioni senza ordine sull’amore di Dio”. Che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
In ogni istante il nostro essere ha come stoffa e sostanza l’amore che Dio nutre per noi. L’amore creatore di Dio che ci tiene in vita non è solo generosità sovrabbondante: è anche rinuncia, sacrificio. Non solo la passione, ma anche la creazione è rinuncia e sacrificio da parte di Dio. La passione ne è solamente la conclusione. Già come creatore, Dio si svuota della sua divinità, prende la forma di uno schiavo, si sottomette alla necessità, si abbassa. Il suo amore mantiene nell’esistenza, in un’esistenza autonoma e libera, degli esseri diversi da lui, diversi dal bene, degli esseri mediocri. Per amore li abbandona all’infelicità e al peccato: senza un tale abbandono essi non esisterebbero. La sua presenza li priverebbe dell’essere come una fiamma brucia una farfalla. La religione insegna che Dio ha creato gli esseri finiti a livelli diversi di mediocrità. Noi, creature umane, constatiamo che ci troviamo al limite, all’estremo limite oltre il quale non è più possibile né concepire né amare Dio. Sotto di noi vi sono soltanto gli animali. Noi siamo mediocri e lontani da Dio quanto lo può essere una creatura ragionevole; e questo è un grande privilegio. È per noi che Dio deve fare il cammino più lungo se vuole giungere fino a noi. Quando ha preso, conquistato e trasformato i nostri cuori, tocca a noi fare il cammino più lungo per giungere a nostra volta fino a lui. L’amore è proporzionato alla distanza. È stato un amore inconcepibile a spingere Dio a creare degli esseri così lontani da lui. E grazie a questo amore inconcepibile egli discende fino a loro. È per un amore altrettanto inconcepibile che essi in seguito risalgono fino a lui. Si tratta dello stesso amore: essi possono risalire a Dio solo grazie all’amore che Dio ha immesso in loro quando egli stesso è andato a cercarli. Ed è lo stesso amore che ha fatto sì che egli li creasse così lontani da sé. La passione non è concepibile senza la creazione. Anche la creazione è passione. La mia stessa esistenza è come una lacerazione di Dio, una lacerazione che è amore. Più io sono mediocre, più è evidente l’immensità dell’amore che mi mantiene nell’esistenza. (Simone Weil, Riflessioni senza ordine sull’amore di Dio).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 03 Febbraio 2019ultima modifica: 2019-02-03T22:32:16+01:00da fraternidade
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