Giorno per giorno – 27 Gennaio 2019

Carissimi,
“Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore” (Lc 4, 18-19). Sono i versetti della profezia di Isaia che Gesù, inaugurando il suo ministero, fa suoi, per definire la missione sua e, perciò, in prospettiva, anche nostra. Non c’è verso di scappare. Qui nasce la Chiesa dei poveri e per i poveri, qui è la più vera teologia della liberazione. Senza questo riferimento fondante non c’è Chiesa di Cristo; nel migliore dei casi avremmo una qualunque associazione filantropica, nel peggiore, un comitato d’affari. Oggi, la nostra Chiesa, così come il nostro Paese, è in lutto, al suo terzo giorno di lutto, per il crimine ambientale e la strage di uomini e animali di Brumadinho, di cui forse neanche sarà dato di trovare tutti i corpi, sepolti dalla marea di fango avvelenato, fuoriuscita dalla rottura della diga (una delle 450 esistenti nello Stato di Minas Gerais), che raccoglie i rifiuti delle attività estrattive del ferro. Sfidando consapevolmente ogni margine di sicurezza, e negandosi a investire in processi più rispettosi dell’ecosistema, la Vale S.A., nata, nel 1997, dalla dissennata politica di privatizzazione delle risorse industriali pubbliche del Paese ad opera di Fernando Henrique Cardoso, agisce criminalmente come e più di una qualunque banda di terroristi al servizio del lucro dei suoi azionisti. Senza suscitare uguale indignazione e compianto. Che si compia, presto la promessa di Gesù. Che si inauguri il tempo della Grazia. Dopo il tempo della disgrazia, dell’oppressione, della violenza, dello sfruttamento, della morte, a carico dei più, con cui il Sistema del Dominio scandisce la storia dell’umanità a vantaggio di pochi privilegiati.

I testi che la liturgia di questa III Domenica del Tempo Comune propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Libro di Neemia, cap.8, 2-4a. 5-6. 8-10; Salmo 19; 1ª Lettera ai Corinzi, cap.12, 12-30; Vangelo di Luca, cap.1, 1-4; 4, 14-21.

La preghiera della Domenica è comunione con tutte le chiese e comunità cristiane.

Il calendario ci porta oggi la memoria di Angela Merici, fondatrice della Compagnia di sant’Orsola.

Angela Merici nacque il 21 marzo 1474 a Desenzano sul Garda (Brescia). Ancora giovane, desiderando seguire più radicalmente il cammino del Vangelo, si fece terziaria francescana, vivendo per il resto, negli anni successivi, come gran parte delle donne di modesta condizione del suo tempo, del suo lavoro di cucito, di filatura e di servizi domestici. Trasferitasi a Brescia, acquisì via via una profonda influenza spirituale sulle molte persone con cui veniva in contatto. Decisa a riproporre in maniera originale l’esperienze delle primitive comunità cristiane, attenta però alle sfide della sua epoca, nel 1533, a quasi 60 anni, presso la chiesa di Sant’Afra, costituì la “Compagnia delle dimesse di Sant’Orsola”, con la finalità di offrire alle ragazze del suo tempo quell’istruzione a cui spesso solo difficilmente avevano accesso, assieme alla proposta di un approfondimento delle esigenze implicate nella scelta cristiana. Lasciò scritto alle sue discepole: “Vi supplico di voler ricordare e tenere scolpite nella mente e nel cuore, tutte le vostre figliole ad una ad una; e non solo i loro nomi, ma ancora la condizione e indole e stato e ogni cosa loro. Il che non vi sarà difficile, se le abbracciate con viva carità… Impegnatevi a tirarle su con amore e con mano soave e dolce, e non imperiosamente e con asprezza, ma in tutto vogliate essere piacevoli. Soprattutto guardatevi dal voler ottenere alcuna cosa per forza; perché Dio ha dato a ognuno il libero arbitrio e non vuole costringere nessuno, ma solamente propone, invita e consiglia…”. Morì il 27 gennaio 1540.

Il 27 gennaio 1945, i soldati dell’Armata Rossa entravano ad Auschwitz. Per rimediare ai pericolosi vuoti di memoria di lì da voi, hanno creato la “Giornata della memoria”, celebrata, appunto, oggi, ed istituita, dal Parlamento del vostro Paese, il 20 luglio del 2000, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”. È doveroso ricordare che assieme alla sistematica eliminazione degli ebrei, era stata avviata quella di sinti, rom e handicappati. Con la risoluzione 60/7 del 1º novembre 2005, anche l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha deciso che gli Strati membri dell’Onu celebrassero in tale data il Giorno della Memoria dell’Olocausto.

È tutto per stasera. Prendendo spunto dalla Memoria dell’Olocausto, scegliamo di congedarci, offrendovi in lettura la testimonianza di Elie Wiesel, sopravvissuto alla Shoah e Premio Nobel per la Pace. Il brano è tratto dal suo libro “Il mondo sapeva. La Shoah e il nuovo Millennio” (Giuntina) ed è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Leggo tutto ciò che viene pubblicato sull’Olocausto, e più leggo, meno capisco. Non capisco gli assassini, e non capisco nemmeno le loro vittime. Le due categorie manifestavano una demenza quasi assoluta. Cosa significa la logica oscura, dura e implacabile dei vecchi malinconici che mormoravano preghiere ardenti che Dio non ascoltava? E quei bambini terrorizzati che non piangevano nemmeno più? E quelle donne giovani e belle che scuotevano la testa come per dire no alla vita? Folli e prìncipi dall’aria smarrita che formavano cortei ammutoliti diretti, sotto un cielo di piombo, verso un altare in fiamme – chi oserebbe dire “io capisco”? Certi documenti, redatti dagli assassini stessi, insistono sulla loro stessa incapacità di capire. Perché quegli ebrei non si dispersero? Perché non si diedero alla fuga, anche a costo di farsi massacrare nelle strade e tra i campi? Perché andavano a morire con tanta rassegnazione? A Babi Yar, dove sono stato, ho visto… Babi Yar – un tempo ne ero convinto – doveva trovarsi lontano, molto lontano da Kiev. Ma non è così. Babi Yar era a Kiev. C’era una strada che conduceva verso quella gola, e trentatremila uomini, donne, bambini, nel settembre del ’41, poco tempo dopo l’arrivo dei tedeschi, trentatremila persone che formavano una sorta di processione infinita percorrevano quella strada. Ora, c’era gente che abitava in delle case, in quella strada. E quando sono stato a Kiev, ho posto la domanda al presidente dell’Ucraina: “Mi dica se una sola porta si è aperta per far entrare un bambino, dicendogli: Sbrigati!”. Allora si sentivano le mitragliatrici crepitare, si sentivano, a volte, le grida, e anche il silenzio. Eppure, salvo qualche rara eccezione, i condannati ci andavano. Ci andavano. Ci andavano. E io ho letto un documento in cui uno degli assassini affermava di diventare pazzo. Lui diventava pazzo. È possibile che gli ebrei di Babi Yar e di Ponar e di Treblinka e di Minsk e di Pinsk e di ogni dove abbiano semplicemente voluto esprimere il loro sdegno, il loro disprezzo verso la società, come se avessero voluto dichiarare: “Ascoltate, brava gente, se questo è il vostro mondo, tenetevelo, noi non lo vogliamo”? All’epoca non sapevamo. Non sapevamo che il mondo libero sapeva. Altrimenti, credetemi, non avremmo potuto resistere. (Elie Wiesel, La Shoah e il nuovo Millennio).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 27 Gennaio 2019ultima modifica: 2019-01-27T22:55:04+01:00da fraternidade
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