Giorno per giorno – 09 Novembre 2018

Carissimi,
“Non fate della casa del Padre mio un luogo di mercato” (Gv 2, 16). Sì, Gesù parlava del tempio in cui si accingeva ad entrare, ma anche di ogni altro tempio. La cui funzione sarebbe quella di aiutarci a incontrare il mistero della nostra origine, per ritrovare in esso l’orientamento del nostro agire. E fare così del mondo il tempio più vero del Padre che ci vuole tutti suoi figli, doni gli uni agli altri, come Lui lo è a tutti. E, invece, no. Dalle origini, cedendo al suggerimento del serpente, contro ogni evidenza, abbiamo preferito pensare alla realtà ultima come ad una rapina ai nostri danni da parte di un Despota geloso della sua onnipotenza, e ci siamo così ad essa adeguati, facendo della nostra realtà penultima lo spazio di un mercato, in cui fosse possibile trarre un guadagno, quanto maggiore, tanto meglio. A spese della nostra felicità. Ci voleva che Dio nel corpo del Figlio venisse a smascherare ogni mercato giocato sulla pelle dei suoi figli negli spazi sacri e profani del vivere, per ridirsi (e, se lo accettiamo, ridirci) nella verità del dono estremo della vita per la vita di tutti. Ma noi, a duemila anni di distanza, si fa ancora fatica a credergli. Succede così che, spesso, anche i suoi templi preferiscono vendere egoistiche salvezze a buon mercato nell’aldiqua o nell’aldilà, più che coinvolgerci nell’avventura del Regno, che è la salvezza, qui ed ora, di tutti, a partire dagli ultimi.

La chiesa cattolica ricorda oggi la Dedicazione della Basilica del Santissimo Salvatore in Roma.

La Basilica del Santissimo Salvatore (o di S. Giovanni in Laterano) è considerata la chiesa-madre di tutte le chiese cattoliche, per il fatto d’essere la sede del vescovo di Roma e patriarca d’Occidente. I terreni e il primitivo palazzo, che portava il nome della seconda moglie dell’imperatore Costantino – “Domus Faustae” – , sarebbero stati oggetto di una donazione a papa Melchiade (o Milziade), in seguito alla vittoria ottenuta dall’imperatore su Massenzio, alla battaglia di Ponte Milvio, nel 312. L’anno successivo, all’indomani dell’Editto di Milano, che riconosceva la libertà di culto alla religione cristiana, venne lì edificata una chiesa, dedicata al Redentore, ma fu solo il 9 novembre 324 che papa Silvestro la consacrò pubblicamente col nome di Basilica del Santo Salvatore. Nel corso del XII secolo, per via del suo battistero, che è il più antico di Roma, fu dedicata a san Giovanni Battista, e da questo derivò il nome con cui oggi è conosciuta. La celebrazione odierna ci ricorda il ministero della Chiesa di Roma al servizio delle Chiese sorelle: lo vogliamo dedicare perciò alla preghiera per essa.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono propri Dedicazione della Basilica del Santissimo Salvatore e sono tratti da:
Profezia di Ezechiele, cap.47, 1-2. 8-9.12; Salmo 46; 1ª Lettera ai Corinzi, cap. 3, 9c-11.16-17; Vangelo di Giovanni, cap. 2,13-22.

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli della Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e ricco in misericordia.

Noi ricordiamo anche Elisabetta della Trinità, monaca e contemplativa; Nettario di Egina, pastore e monaco; e Barton Stone, pastore fedele all’Evangelo; e i Martiri ebrei della Notte dei Cristalli.

Elisabetta Catez nacque il 18 luglio 1881 a Camp d’Avor, nei pressi di Bourges (Francia). Ragazza molto dotata, musicista di talento, sensibile alle bellezze della natura, visse, in un primo tempo, la vita di tutte le figlie della borghesia del suo tempo. Presto, tuttavia, percepì la chiamata irresistibile per la vita monastica e, a 21 anni, entrò nel Carmelo di Digione, dove l’8 dicembre 1901, vestì l’abito religioso. Scriverà: C’è una parola di san Paolo che è un riassunto della mia vita e che si potrebbe scrivere di ogni suo istante: “Perché Lui mi ha amato troppo”. Elisabetta volle “restituire amore per amore” nel cuore del quotidiano. Morì a soli ventisei anni, il 9 novembre 1906, minata da una malattia incurabile. Nei suoi scritti spirituali espresse la bellezza della dimora trinitaria in noi e della nostra chiamata a vivere nell’intimità di Dio.

Anastasio Kephalas nacque a Selyvria, in Tracia, il 1° Ottobre 1846. Nel 1876 divenne monaco nell’isola di Chio, ricevendo il nome di Lazzaro, che mutò, un anno più tardi, quando, ordinato diacono, assunse quello di Nettario. Nel 1882, con l’aiuto finanziario del patriarca Sofronio di Alessandria, si recò ad Atene, per studiarvi teologia. Terminati gli studi, nel 1885, si trasferì ad Alessandria d’Egitto, dove, il 23 marzo 1886, fu ordinato presbitero, nella cattedrale di san Saba. Nell’agosto dello stesso anno, fu fatto archimandrita nella chiesa di san Nicola al Cairo e, nel 1889, fu eletto metropolita della Pentapoli, nella Libia orientale, che era sotto la giurisdizione di Alessandria. Paradossalmente, la sua modestia e semplicità gli attirarono l’invidia di ecclesiastici ambiziosi che convinsero l’anziano Sofronio che Nettario ambisse alla cattedra patriarcale. Sollevato nel 1890 dalle sue funzioni, Nettario lasciò l’Egitto e fece ritorno in Grecia, dove però le accuse dei suoi avversari l’avevano preceduto. Nonostante la dignità vescovile, accettò dapprima l’incarico di semplice predicatore nella provincia di Euboia e, nel 1894, la direzione di una scuola ecclesiastica ad Atene. Conosciuto in tutta la Grecia per le sue predicazioni e i suoi scritti spirituali, fu ancor più amato per l’integrità di vita, e per la dolcezza, la pazienza e la mansuetudine della sua personalità. Ritiratosi nel 1908 nel monasterio che egli stesso aveva fatto costruire sull’isola di Egina, vi morì il 9 novembre 1920, a settantaquattro anni.

Barton W. Stone nacque a Port Tobacco (Maryland, USA) il 24 dicembre 1772. Studiò come professore e fu ministro della Chiesa presbiteriana, a Cane Ridge, nel Kentucky. Presto cominciò a nutrire alcuni dubbi sulla proposta calvinista, per risolvere i quali fece della Bibbia la compagna di ogni momento, trovando in essa il sostegno prezioso della Parola di Dio. Comprese che Dio ama il mondo, il mondo intero, e che l’unica ragione che può ostacolare la salvezza sta nella chiusura alla parola di Dio e nel rifiuto della verità rappresentata da suo Figlio. Dopo aver ospitato lo storico “Ravvivamento” di Cane Ridge del 1801, un imponente incontro inter-denominazionale, che conobbe momenti di forte esperienza dello Spirito, lui e altri pastori di differenti chiese, formarono il Prebiterio di Springfield, stilando un documento con cui si richiamavano alla Bibbia come unica norma di fede e di comportamento. In seguito, decisero di rinunciare ad ogni altra denominazione, scegliendo di chiamarsi semplicemente “cristiani”. La loro confluenza con il movimento di Thomas e Alexander Campbell diede origine alle Chiese di Cristo, ai Discepoli di Cristo e alle Chiese cristiane. Barton Stone morì a Hannibal Missouri, il 9 novembre 1844.

La notte del 9 novembre 1938, in Germania, fu, per il regime nazista, l’inizio della soluzione finale della questione ebraica. Durante un assalto accuratamente organizzato in tutto il paese, furono bruciate e rase al suolo 191 sinagoghe e distrutti 7500 negozi appartenenti a cittadini ebrei. Lo spettacolo desolante delle migliaia di vetrine distrutte farà ricordare quel progrom come Kristallnacht, la Notte dei Cristalli. Un centinaio di ebrei furono uccisi e ventiseimila arrestati e posti sotto “custodia preventiva”. La metà di essi furono avviati al campo di concentramento di Buchenwald. Insignificanti e di circostanza le proteste che si levarono in Germania e all’estero in tale occasione. È bene non dimenticare.

È tutto, per stasera. Nel luglio 1906, Elisabetta della Trinità, pochi mesi prima di morire, nel luglio 1906, redigeva, su richiesta della sorella, un ritiro strutturato in dieci giorni, cui diede il titolo di “Come si può trovare il cielo sulla terra”. Nel congedarci, scegliamo di proporvi la prima preghiera che lo compone. Tratta da “La doctrine spirituelle de Soeur Elisabeth de la Trinité” (Desclée, De Brouwer et Cie), è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
“Padre, voglio che dove sono Io, siano con Me anche quelli che Tu mi hai dato, affinché contemplino la gloria che Tu mi hai dato, perché mi hai amato prima della creazione del mondo” (Gv 17,24). Tale è l’ultima volontà di Gesù, la sua preghiera suprema, prima di ritornare al Padre suo. Egli vuole che là dov’è Lui, siamo anche noi, non solo nell’eternità, ma già nel tempo che è l’eternità incominciata e sempre in progresso. Importa perciò sapere dove dobbiamo vivere con Lui per realizzare il suo sogno divino. “Il luogo dov’è nascosto il Figlio di Dio è il seno del Padre, l’essenza divina, invisibile ad ogni sguardo mortale, inaccessibile ad ogni intelligenza umana. È ciò che faceva dire ad Isaia: ‘Voi siete veramente un Dio nascosto’ (Is 45,15)” (S. Giovanni della Croce, Cantico “B”, str. 1, 3). E tuttavia la sua volontà è che noi siamo fissi in Lui, che dimoriamo dove Egli dimora, nell’unità dell’amore, che siamo per così dire come l’ombra di Lui stesso. Per il battesimo – dice S. Paolo – “noi siamo stati innestati in Cristo” (Rm 6,5). E ancora: “Dio ci ha fatto assidere nei cieli in Cristo per mostrare ai secoli futuri le ricchezze della sua grazia” (Ef 2,6-7). E più avanti: “Non siete più degli ospiti o degli stranieri, ma siete della città dei santi e della casa di Dio” (Ef 2,19). La Trinità, ecco la nostra dimora, la nostra casa, la casa paterna dalla quale non dobbiamo uscire più. Il Signore l’ha detto un giorno: “Lo schiavo non dimora sempre nella casa, ma il figlio vi dimora sempre” (Gv 8,35). (Élisabeth de la Trinité, La Trinité: voilà votre demeure).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 09 Novembre 2018ultima modifica: 2018-11-09T22:23:40+01:00da fraternidade
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