Giorno per giorno – 16 Agosto 2018

Carissimi,
“Allora Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte? E Gesù gli rispose: Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette” (Mt 18, 21-22). Questa, prima che una regola per la comunità, è ciò che Gesù ci insegna a riguardo di suo Padre. Dio, infatti, il Padre di Gesù, è colui che, per primo, perdona settanta volte sette, cioè sempre, ed è colui che, se ci comanda di amare i nemici e di pregare per i persecutori, è perché Lui lo fa per primo (se no, sarebbe un dio, come spesso quello delle religioni, simile ai peccatori e ai pagani, che sono vendicativi). Ed è sempre un Dio, un Padre, cui Gesù sa di potersi rivolgere, dall’alto della croce, non sapendo inventare altro a discolpa dei suoi crocifissori, con il suo: Abba (Babbo), perdonali perché non sanno quello che fanno. E lo sapevano benissimo: avevano appena finito di crocifiggere un uomo. Per tutta la vita, ad ogni sera, come succede al servo crudele della parabola (Mt 18, 23-34), che Gesù fa seguire all’istruzione, saremo spediti all’inferno (perché si sappia in cosa consiste il male, di cui il mancato perdono è una delle forme più comuni), ma sempre ogni sera, fino all’ultima, ascolteremo poi la voce che ci dice: Su, ora vieni nella gloria di tuo Padre! Che è un padre migliore di quello che a volte dimostriamo di essere noi, nell’immaginarci capaci di goderci il paradiso, mentre per l’eternità il nostro figlio (o fratello o che altro) brucia nel fuoco, o sguazza nella spazzatura, capro coi capri (per citare un’altra parabola), come esigerebbe l’animo “religioso” di qualcuno. Diceva un santo che Gesù se ne starà fuori dal paradiso fino a che l’ultimo peccatore non vi sia entrato. Di un Dio così, concludevamo, stasera, ci si può appassionare, l’altro lo si può solo temere. Non ci passeremmo l’eternità con questo. Detto questo di Dio, come ci comporteremo noi nella vita di famiglia, nelle nostre comunità e negli ambienti in cui viviamo?

Oggi facciamo memoria di Roger Schutz, fondatore di Taizé e profeta di pace, e di Shri Ramakrishna, mistico hindu.

Roger Louis Schutz era nato a Provenza, in Svizzera, il 12 maggio 1915, figlio di un pastore riformato. Per diversi anni, durante la giovinezza soffrì di tubercolosi polmonare e durante la malattia, maturò in lui il desiderio di creare una comunità, in cui “la semplicità e la benevolenza del cuore potessero essere vissute come realtà essenziali del Vangelo”. L’occasione gli venne data dallo scoppio della Seconda Guerra mondiale. Convinto di dover fare qualcosa per salvare le vite in pericolo, nel 1940, lasciò il Paese per stabilirsi in Francia, a Taizè, dove, raggiunto dalla sorella Geneviève, grazie ad un piccolo prestito, comprò una casa abbandonata da anni con annessi alcuni edifici, cominciando ad accogliere quanti fuggivano dalla guerra o dalle deportazioni, soprattutto ebrei. Dopo una breve interruzione, dovuta al fatto che la rete di aiuti era stata scoperta dalle autorità filogermaniche, la comunità riprese a formarsi nel 1945. Nel giorno di Pasqua del 1949, quanti vi si erano via via integrati si impegnarono insieme a vivere per sempre nel celibato, nella vita comune e in semplicità di vita. Oggi la comunità è formata da un centinaio di fratelli, evangelici e cattolici, provenienti da più di venticinque nazioni. I fratelli vivono esclusivamente del loro lavoro, rinunciando ad ogni donazione e anche alle proprie eredità familiari, che la comunità destina ai più poveri. A partire dagli anni 50, la Comunità di Taizé ha aperto alcune fraternità in Asia, Africa, America Latina. Condividendo la vita della gente più povera, esse cercano di essere una presenza d’amore e segno di riconciliazione e di pace. Roger Schutz morì pugnalato da una povera squilibrata, la sera del 16 Agosto 2005, mentre partecipava ad una veglia di preghiera.

Shri Ramakrishna era nato a Kamarpukur, nel Bengala, il 18 febbraio 1836, nella famiglia di un bramino povero, e ricevette il nome di Gadadhar. All’età di sei anni ebbe la sua prima esperienza mistica. L’iniziazione braminica, all’età di nove anni, approfondì ulteriormente la sua inclinazione spirituale. Vishnuita fervoroso, Ramakrishna passerà tutta la vita a Calcutta, nel tempio di Dakshineshvar, consacrato alla dea Kali, la Madre, come, in quella tradizione, è chiamato l’Assoluto, da cui derivano tutte le differenze che separano gli esseri umani. Nella convinzione che l’Onnipotente Differenziazione è lo stesso volto di Dio e che tutte le religioni conducono allo stesso Dio UNICO, volle conoscere tutte le strade che portano a Dio e, imboccandole, una dopo l’altra, si arricchì di tutte le loro esperienze. Si può dire che passò gran parte della sua vita in estasi. Raccontò che un giorno vide venire verso di lui una figura con occhi bellissimi, piena di pace. Sentì una voce che gli diceva: “Guarda Gesù che ha sparso il sangue del cuore per la salvezza del mondo, ha sofferto un oceano d’angoscia per l’amore degli uomini. Lui è il Maestro in eterna unione con Dio.” Ramakrishna morì il 16 agosto 1886 di un tumore alla gola. Dopo la sua morte un gruppo di discepoli fondò un Ordine monastico col suo nome, a cui si aggiunse successivamente la Missione Ramakrishna, che coniuga ricerca spirituale e lavoro sociale. Swami Shiwananda, abate dell’ordine, scrisse tempo fa: “Spero che [la conoscenza di Ramakrishna] contribuisca a fare dei cristiani dei veri cristiani, degli indù dei veri indù, dei musulmani dei veri musulmani. Possa egli mostrarci il cammino sul quale inoltrarci per riconoscere che siamo tutti figli dello stesso Padre”.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Ezechiele, cap.12, 1-12; Salmo 78; Vangelo di Matteo, cap.18,21 – 19,1.

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

Oggi, come ogni anno, la comunità di Fé e Luz ~ “Noi… la Sua tenda”, che riunisce persone con disabilità mentale o fisica (ma abilissime ad amare), i loro famigliari, amici e amiche, ci siamo recati assieme al nostro vescovo, dom Eugenio, in pellegrinaggio al Santuario del Divino Padre Eterno, nella città di Trindade, a un centinaio di chilometri da qui. I momenti di preghiera, con la celebrazione dell’Eucaristia, si sono alternati ai tempi di allegro convivio, a quello del pranzo e, poi, alla visita alla Vila São Cottolengo, una struttura filantropica di prim’ordine, che accoglie oltre trecento interni, dispone di ambulatori di circa trenta specialità mediche, conta su ottocento collaboratori, tra medici, infermieri e funzionari, offre trattamento a circa centotrenta cittadine del circondario. Noi siamo stati accolti da una simpatica orchestra degli interni, e da una creativa e allegra rappresentazione dei giovanissimi alunni della scuola. Che Dio continui a far sentire la sua presenza amorosa attraverso tutto il personale che lì lavora.

Per stasera è tutto. Noi ci congediamo qui, lasciandovi ad una pagina di frère Roger Schutz, tratta dal suo “Dinamica del provvisorio” (Morcelliana). Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Di dove viene che, pur affermando di conoscere Dio, tanti cristiani vivono come se non l’avessero mai scoperto e restano senza misericordia? Si appellano al Dio di Gesù Cristo e conservano tuttavia un cuore indurito. Di dove nasce invece il fatto che tanti agnostici, seguendo i pubblicani e i gabellieri, “ci vanno avanti nel Regno”, ci aprono un cammino di pace, sono uomini di riconciliazione, testimoniano un’attenzione maggiore di molti cristiani per una pacificazione delle relazioni tra tutti? È possibile credere che tali uomini, senza professare una fede esplicita, siano tuttavia portatori di Cristo a loro insaputa. La preghiera di tanti cristiani attraverso i secoli, non troverebbe forse questo sbocco? Degli uomini capiscono Dio, gli obbediscono, vivono in una carità viva. Come non applicar loro la parola del Cristo: “ci vanno avanti nel Regno”? Ci aprono delle porte e dei sentieri. Numerosi sono quelli che professano di amar Cristo, ma non lo conoscono affatto. E numerosi quelli che l’amano, affermando di non conoscerlo. Numerosi quelli che sono figli della luce senza saperlo: tuttavia si riconoscono facilmente: pieni di attenzioni per il prossimo, fuggono ciò che è opera della notte, ciò che è torbido e senza limpidezza. Sta a noi comprenderli, a noi anche aiutarli a far sbocciare ciò che Dio ha messo in loro. Superamento di se stessi, gesti manifesti di carità, sono già segni del Cristo, segni di una fede implicita. Il dialogo con colui che non crede permette di scoprire in lui quello che neppure egli stesso conosce, il mistero di una presenza nascosta. Essere capace di scoprire l’immagine di Dio in ogni uomo resta il segno di un vero dialogo. Un cristiano che sa cogliere nel prossimo i valori più ecumenici, che ricerca in lui l’uomo creato da Dio, favorisce una restaurazione reciproca legata ad ogni dialogo. Non può parlar così, è sottinteso, se non colui che in ogni istante si ristora con la Parola di Dio, con l’Eucaristia, con una pietà profonda. Altrimenti sarebbe condotto ad un relativismo senza beneficio per nessuno. Dire che alcuni senza conoscere Dio lo seguano a loro insaputa potrebbe costituire un invito a non combattere più per il Cristo: a che scopo pregare ancora, stare alla presenza di Dio, meditare? Se la generosità non poggia su di un fondamento solido si espone al marasma o all’atonia spirituale. Solo colui che vive della pace del Cristo, radicato e fondato nella Parola viva, può riconoscere l’immagine di Cristo in coloro che non professano alcuna fede. (Roger Schutz, Dinamica del provvisorio).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 16 Agosto 2018ultima modifica: 2018-08-16T22:04:19+02:00da fraternidade
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