Giorno per giorno – 17 Luglio 2018

Carissimi,
“Guai a te, Corazin! Guai a te, Betsàida. E tu, Cafarnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai! Perché, se in Sòdoma fossero avvenuti i miracoli compiuti in te, oggi ancora essa esisterebbe! Ebbene io vi dico: Nel giorno del giudizio avrà una sorte meno dura della tua!” (Mt 10, 21. 23-24). È il lamento di Gesù sulle città del lago, in cui aveva predicato e operato prodigi, senza che esse ne avesssero inteso il messaggio e le sue implicazioni. È un lamento che, se suona come minaccia, è solo perché egli ha davanti agli occhi le conseguenze che comporta la scelta di relazioni umane sotto il segno contrario alla proposta del Regno. Non a caso gli esempi che menziona, tratti dagli antichi racconti, sono quelli di Tiro, Sidone, Sodoma, centri mercantili ricchi e potenti, la cui distruzione, era stata annunciata o interpretata dai profeti come castigo di Dio, per il loro orgoglio arrogante, il loro arricchirsi a spese di altri popoli, l’aver trafficato schiavi, il chiudersi ai bisogni dei poveri e l’infragere le norme dell’ospitalità agli stranieri. Dio, ci fa sapere Gesù, non si fa complice del male inflitto ai suoi figli, e denuncia la colpa di coloro che lo compiono, colpa che risulterà, in chi lo ha conosciuto, oggi diremmo i cristiani, maggiore di quanto lo sia in chi da lui prescinde. Additandocelo come male e mostrandoci i rischi che comporta ogni scelta egoista, che neghi l’universale e solidale fraternità umana, intende convertirci a questa, come principio dell’accadere del Regno. Stamattina, ci dicevamo che ciò che è detto da Gesù sulle città del lago, vale anche per ciascuno di noi, individualmente. A tutti noi, nel nostro agire, capita, di volta in volta, di accoglierne la Parola e di operare in conformità ad essa, o, invece, di cedere, vuoi attivamente, vuoi anche solo col nostro silenzio, alla logica di un Sistema che, al di là di ogni etichetta, si rivela anticristiano e disumano, nel suo fomentare spirito di superiorità, intolleranza, odio, violenza, disprezzo e rifiuto dell’altro. E questo è già l’inferno, quell’assenza di amore che è, nel profondo, negazione di Dio. Possa egli, in forza della Parola che afferma che “pur essendo noi infedeli, egli rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso” (2 Tm 2, 13), convertirci ogni volta e salvarci.

Oggi noi facciamo memoria di Bartolomeo de las Casas, pastore e difensore della causa dei popoli indigeni e dei negri, Andrei Rublev monaco iconografo, François Varillon, gesuita e guida spirituale.

Bartolomeo, nato a Siviglia l’11 novembre 1484 da Pedro de Las Casas e Isabel de Sosa, entrambi di ascendenza ebraica, quando, diciottenne, risolse di seguire il padre per il Nuovo Mondo, sognava di arricchirsi con i proventi delle piantagioni paterne, come un qualunque colono, sfruttando la mano d’opera schiava. Tuttavia, toccare con mano la crudeltà dei coloni e le indicibili sofferenze inflitte alle popolazioni indigene, fecero maturare una profonda crisi religiosa in lui, che nel frattempo aveva abbracciato lo stato ecclesiastico ed era stato ordinato, verso il 1510, sacerdote. A partire dal 1514, resosi conto del crudele sfruttamento a cui erano sottoposti gli indigeni, vista la corruzione imperante tra i funzionari reali e toccato dalla predicazione profetica del domenicano Antonio di Montesinos, che denunciava gli abusi e le crudeltà della conquista “cristiana”, Bartolomeo mutò radicalmente di vita. Liberati gli indigeni alle sue dipendenze e distribuite le sue terre, divenne da allora l’instancabile difensore dei diritti calpestati di quelle popolazioni oppresse. Nel 1523, entrò nell’ordine domenicano, per mettersi in qualche modo al riparo dalle persecuzioni dei conquistadores, ma anche di buona parte della gerarchia ecclesiastica spagnola. Per nulla intimorito, frei Bartolomeo continuò la sua azione di denuncia, presso il governo centrale, sugli abusi degli spagnoli e le sofferenze degli indigeni. Scrisse la Brevissima Relazione della Distruzione delle Indie con cui intese documentare la tragedia che si svolgeva sotto i suoi occhi. Nominato a sessant’anni vescovo del Chiapas (Messico), rimase solo tre anni in quell’ufficio, invariabilmente osteggiato dai colonizzatori spagnoli e dal suo stesso clero. Tornò in Spagna nel 1547, continuando da lì la sua lotta a favore degli indios, fino alla morte, avvenuta a Madrid, il 17 luglio 1566.

Andrej Rublev nacque in Russia verso il 1360. Divenne monaco nel mostastero di Serpuchov, dove emise la professione religiosa e ricevette l’ordinazione presbiterale. Alla Laura di Radonez, dove visse a lungo, apprese l’arte dell’iconografia da Teofane il Greco e conobbe il suo migliore amico, il bulgaro San Daniele il Nero, con cui convisse e lavorò fino alla morte, sopraggiunta per i due nello stesso anno. A lui si devono i dipinti dell’iconostasi nella cattedrale dell’Annunciazione del Cremlino a Mosca, gli affreschi nella cattedrale della Dormizione di Vladimir, alcune tavole dell’iconostasi della stessa chiesa, gli affreschi della cattedrale del Salvatore nel monastero di Andronik, e la famosa icona della Trinità, ispirata alla scena biblica dell’ospitalità offerta da Abramo ai tre angeli. Dal punto di vista spirituale Rublev fu senza dubbio un esicasta, praticava, cioè, il metodo ascetico della spiritualità ortodossa, che si serve soprattutto della “preghiera di Gesù”. Morì il 29 gennaio (11 febbraio del calendario gregoriano) 1427 (o 1430). Fatto oggetto di venerazione a livello locale, nei secoli XV e XVI, fu canonizzato dalla Chiesa Ortodossa Russa nel 1988. La sua festa è celebrata oggi, 4 luglio (17 luglio del calendario gregoriano).

François Varillon nacque a Bron, alla periferia di Lione, il 28 luglio 1905. A ventidue anni, nel 1927, decise di lasciare la fidanzata, Simona, per entrare nella Compagnia di Gesù. Pronunciò i suoi primi voti nel 1930 e ricevette l’ordinazione presbiterale nel 1937. In seguito fu professore di lettere classiche e di filosofia e poi, per molti anni, assistente ecclesiastico di diversi movimenti dell’Azione cattolica, e, dal 1972 al 1978, direttore della Casa di Ritiri di Châtelard. Morì il 17 luglio 1978. I suoi scritti di spiritualità hanno segnato intere generazioni di cristiani.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Isaia, cap.7, 1-9; Salmo 48; Vangelo di Matteo, cap.11, 20-24.

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.

Oggi compie sessantasei primavere il Pastore Raimundo Aires, vescovo di questa città per il Ministério Nova Terra della Chiesa di Cristo. Un uomo di Dio come pochi, che onora della sua amicizia noi e un buon numero di voi, e che mettiamo, perciò, nella vostra preghiera bene augurante.

E, per stasera, è tutto. Noi ci congediamo qui, offrendovi in lettura un brano di François Varillon, tratto dal suo libro “Gioia di credere, gioia di vivere” (EDB), che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Il misericordioso, secondo l’etimologia della parola, è il cuore misero, infelice. È colui che soffre della sofferenza altrui. Chi non sa “soffrire con” non può accogliere il dono di Dio, perché Dio per primo, Dio in persona soffre con l’uomo. La sofferenza di Cristo, la sua passione e morte in croce sono il segno sensibile della profondità dell’amore in Dio, che possiamo sicuramente chiamare sofferenza, qualcosa di misterioso senza il quale l’amore non sarebbe tale e che unicamente ci può essere rivelato dalla sofferenza di Cristo. La misericordia implica una preferenza per i piccoli, i deboli, i miserabili, i malati, quelli che sono soli (è una delle più grandi sofferenze umane!), per coloro che vengono umiliati, a cui vien fatta violenza, per chi è vittima dell’ingiustizia, per chi è tormentato, inquieto. E proprio il tipo di esistenza che visse Gesù: lavorare per liberare coloro che sono schiavi, di qualunque tipo di schiavitù; testimoniare che non si può essere uomini liberi se non si opera per liberare i fratelli perché si può accedere alla libertà solo passando all’amore. Non esiste libertà al di fuori dell’amore. Essere liberi e amare è esattamente la stessa cosa. (François Varillon, Gioia di credere gioia di vivere).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 17 Luglio 2018ultima modifica: 2018-07-17T22:05:47+02:00da fraternidade
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