Giorno per giorno – 12 Luglio 2018

Carissimi,
“Se qualcuno poi non vi accoglierà e non darà ascolto alle vostre parole, uscite da quella casa o da quella città e scuotete la polvere dai vostri piedi. In verità vi dico, nel giorno del giudizio il paese di Sòdoma e Gomorra avrà una sorte più sopportabile di quella città” (Mt 10, 13-15). Gesù lo diceva di quei missionari, inviati a portare l’annuncio della venuta del Regno (v.7), che è “giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo” (Rm 14, 17), ai territori di un Impero, basato su una logica radicalmente contraria a quei valori. Quell’annuncio, non tutti erano interessati a udirlo, men che meno i detentori del potere e quanti, addomesticati in seno al popolo, se ne facevano sostenitori. Gesù, nel rimprovero che rivolge loro, li dice peggiori degli antichi abitanti di Sodoma, le cui colpe, secondo la denuncia del profeta Ezechiele, erano state “orgoglio, abbondanza di pane, quieto benessere, e il non stendere la mano al povero e all’indigente” (Ez 16, 49). L’annuncio della venuta – o del tardare – del Regno, è quello di cui si fanno, anche oggi, latori i poveri del mondo, veri e propri missionari della buona notizia di Gesù, anche se spesso inconsapevoli, dato che in gran parte non sono cristiani. Poveri, che bussano alle porte della società opulenta, rivendicando le briciole delle enormi ricchezze, che sono state e continuano ad essere costruite sulla rapina delle loro risorse e sullo sfruttamento del loro lavoro. Paradossalmente, sono proprio i paesi cosiddetti di tradizione cristiana del primo mondo a fare la parte, spesso con un cinismo spaventoso, della Sodoma del nostro tempo. E in questo sono già giudicati. Dovremmo, forse, ricordare più spesso quanto scriveva tempo fa, nel suo libro “Il mio Dio sovversivo”, il vescovo Desmond Tutu: “Se credessimo veramente che ogni essere umano senza alcuna eccezione è creato a immagine di Dio, e quindi è un portatore di Dio, allora qualunque maltrattamento di un altro essere umano ci farebbe inorridire, perché è non solo ingiusto, ma anche oltraggiosamente blasfemo. È davvero come sputare in faccia a Dio”.

Il nostro calendario ecumenico ci segnala oggi le memorie di Giovanni Gualberto, monaco e profeta di una Chiesa rinnovata; di Nathan Söderblom, vescovo luterano, al servizio della pace e dell’ecumenismo; di Sergej Nikolaevic Bulgakov, sacerdote e teologo ortodosso; e di p. André Louf, monaco trappista e autore spirituale.

Giovanni Gualberto nasce a Firenze all’inizio del sec. XI. Dopo aver perdonato, per amore a Cristo, l’assassino del fratello, entrò nel monastero benedettino di san Miniato, da cui ben presto dovette allontanarsi, per le minacce rivoltegli dall’abate e dallo stesso vescovo di Firenze, da lui accusati di corruzione. Dopo una sosta tra gli eremiti di Camaldoli, si rifugiò nella foresta di Vallombrosa, dove, nel 1038, fondò un monastero secondo la regola di san Benedetto, che darà origine alla Congregazione benedettina Vallombrosana, basata sulla vita in comune, la povertà, il rifiuto di privilegi e protezioni. La Chiesa dell’epoca viveva una situazione drammatica, essendo il clero composto, per lo più, da individui senza scrupoli, affaristi e immorali, legati a filo doppio all’aristocrazia dominante. Ma, nel contempo, cominciava ad affermarsi, con sempre maggior forza, l’esigenza di por fine a tanto scempio. Avviata per iniziativa dei ceti popolari, che presero a cacciare i chierici indegni, l’opera di riforma trovò appoggio e incoraggiamento nei monaci di Vallombrosa, che si dedicarono, tra l’altro, alla formazione di nuove leve di uomini, che testimoniassero, nelle file del clero, una ritrovata fedeltà al Vangelo. La morte di Giovanni Gualberto, il 12 luglio 1073, fu di poco preceduta dall’elezione a papa del monaco Ildebrando, Gregorio VII, che avrebbe fatto sua la lotta contro le degenerazioni del mondo ecclesiastico.

Lars Olof Jonathan (chiamato Nathan) Söderblom nacque a Trönö, in Svezia, il 15 gennaio 1866, da Jonas Söderblom e Sophia Blume. Ordinato pastore nel 1893, nello stesso anno conobbe e sposò Anna Forsell, una studentessa assai dotata, che sarà sua preziosa collaboratrice e che gli darà, nel corso della vita in comune, tredici figli. Fu poi cappellano all’Ambasciata svedese a Parigi, dal 1894 al 1901. Laureatosi alla Sorbona, divenne professore di Storia delle religioni all’Università di Uppsala e, nel 1914, arcivescovo di quella stessa città e Primate della Chiesa di Svezia. Benché luterano, di una chiesa che mantiene l’istituto dell’episcopato nella sua forma storica, Söderblom seppe apprezzare la liturgia e le diverse espressioni del culto e della devozione proprie della Chiesa cattolica, e nello stesso tempo riconoscere il valore della riflessione teologica protestante. Convinto fosse suo dovere darsi da fare per l’unità dei cristiani, cattolici ed evangelici, pensò che la collaborazione su concreti problemi potesse costituirne i primi promettenti passi. Durante la Prima Guerra Mondiale, lavorò instancabilmente per alleviare le condizioni dei prigionieri di guerra e dei rifugiati. Per questo e per tutto l’azione a favore della pace del mondo e dell’unità delle Chiese, ricevette il Premio Nobel per la Pace nel 1930. A Stoccolma, nel 1925, aveva fondato il Movimento internazionale cristiano Vita e Azione. Nello stesso tempo uno dei maggiori gruppi anglicani aveva costituito una Conferenza interconfessionale su Fede e Ordine. Nel 1948 i due gruppi si sarebbero uniti per formare il Consiglio Mondiale delle Chiese. Come arcivescovo primate della Chiesa svedese, si preoccupò di approfondire i canali di comunicazione tra la Chiesa e le masse lavoratrici, cosí come tra Chiesa e intellettuali. Morì il 12 luglio 1931.

Sergej Nikolaevic Bulgakov nacque a Livny, in Russia, il 16 giugno 1871. Educato religiosamente, conobbe a partire dai tredici anni una fase di ateismo che lo accompagnò fino ai trent’anni. Frequentò la facoltà di giurisprudenza dell’Università di Mosca, dedicandosi alle scienze sociali e lavorando, poi, per due anni, presso la cattedra di economia politica e statistica. Durante un soggiorno in Europa conobbe Karl Kautsky, Rosa Luxemburg e altre personalità del socialismo europeo. Fu professore di economia politica e sociale dapprima a Kiev, poi a Mosca. Sotto l’influsso di Solov’ëv e di Florenskij, passò dapprima dal marxismo all’idealismo, e in seguito si convertì all’Ortodossia. Nel 1907 lo troviamo deputato (“socialista cristiano”) alla seconda Duma. Nel 1909 gli morì il figlio di quattro anni. È a partire da allora che Bulgakov cominciò a dirigere la sua riflessione alla contemplazione della kenosi del Cristo e, in Lui, iconicamente, della kenosi intradivina. Il giorno di Pentecoste del 1918 venne ordinato diacono, il giorno successivo sacerdote. Benché membro del soviet supremo ecclesiastico, fu costretto ad autoesiliarsi in Crimea, dove presto fu escluso dall’insegnamento. Espulso dall’Unione Sovietica alla fine del 1922, dopo un breve soggiorno a Costantinopoli e a Praga, fu chiamato a Parigi dal metropolita Evlogij all’Istituto di Teologia ortodossa di san Sergio, dove ccominciò per lui un periodo di lavoro intenso e di attivo ministero spirituale. Morì il 12 luglio 1944. Pavel Evdokimov considerò Bulgakov il maggior teologo del nostro tempo. La sua opera è stata paragonata a quelle di Origene, di Tommaso d’Aquino, di Teilhard de Chardin.

Jacques Louf era nato a Leuven (Belgio), il 29 dicembre 1929, terzo e ultimo figlio di una famiglia assai religiosa. Sedicenne conobbe il monastero trappista di Notre-Dame di Mont-des-Cats, nell’estremo nord della Francia, e ne fu subito affascinato. Due anni più tardi, il 15 ottobre 1947, vi fece il suo ingresso come novizio, assumendo il nome di André. Dopo gli studi biblici a Roma, e la professione solenne, avvenuta il 2 febbraio 1954, fu ordinato presbitero il 19 luglio 1955. Poi, a sorpresa, a soli trentatre anni, il 10 gennaio 1963, venne eletto abate, nonostante di norma l’età minima richiesta sia trentacinque anni. Resterà in carica per 34 anni, “guidando la sua comunità con sapienza e discernimento negli anni del Concilio Vaticano II e del successivo ‘aggiornamento’ in vista di una rinnovata fedeltà del monachesimo alle istanze evangeliche. Della sua esperienza di fede, confesserà un giorno: “Ero inginocchiato tra i banchi dell’abbazia, quando ho compreso chiaramente l’amore infinito di Dio per me. È stata un’esperienza sconvolgente. Da allora ho capito che Dio supera infinitamente qualunque cosa si possa dire di lui”. Nel 1997, lasciata la carica abbaziale, si ritirò in un eremo presso il monastero benedettino di Saint-Lioba, nel sud della Francia. Uomo di preghiera e di studio, scrittore e conferenziere prolifico, si è spento il 12 luglio 2010, nel monastero di Mont-des-Cats. Nel 2004, Giovanni Paolo II gli aveva chiesto di comporre le meditazioni per la Via Crucis che si tiene il Venerdì Santo al Colosseo.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Osea, cap.11,1-4. 8c-9; Salmo 80; Vangelo di Matteo, cap.10,7-15.

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura un brano di P. André Louf, tratto dal suo libro “Sotto la guida dello Spirito” (Edizioni Qiqajon). Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
È sempre illusorio credersi convertiti una volta per tutte. No, non siamo mai dei semplici peccatori, ma dei peccatori perdonati, dei peccatori-in-perdono, dei peccatori-in-conversione. Non è data un’altra santità quaggiù perché la grazia non può agire diversamente. Convertirsi significa ricominciare sempre questo rivolgimento interiore, per mezzo del quale la nostra povertà umana – quella che Paolo chiama la carne – si volta verso la grazia di Dio. Dalla legge della lettera, passa alla legge dello Spirito e della libertà, dall’ira alla grazia. Questo ribaltamento non è mai concluso, perché non fa altro che ricominciare sempre. Antonio il Grande, patriarca e padre di tutti i monaci, lo diceva in modo lapidario: “Ogni mattina mi dico: oggi comincio”. E abba Poemen, il più famoso dei padri del deserto dopo Antonio, quando in punto di morte veniva lodato per aver vissuto una vita beata e virtuosa che lo metteva in condizione di presentarsi a Dio con estrema tranquillità, rispose: “Devo ancora cominciare, stavo appena iniziando a convertirmi”, e pianse. La conversione infatti è sempre una questione di tempo: l’uomo ha bisogno di tempo e anche Dio vuole avere bisogno di tempo con noi. Ci faremmo un’immagine dell’uomo assolutamente errata se pensassimo che le cose importanti nella vita di un uomo possono realizzarsi immediatamente e una volta per tutte. L’uomo è fatto in modo tale che ha bisogno di tempo per crescere, maturare e sviluppare tutte le proprie capacità: Dio lo sa meglio di noi e per questo aspetta, non desiste, è indulgente, longanime. Dio ci aspetta come un pescatore paziente, per usare l’espressione di un poeta. “Tò chrestòn toû theoû eis metánoián se ághei”, scrive Paolo (Rm 2,4): “La bontà di Dio ti spinge alla conversione”. Non la collera ma, al contrario, “tò chrestón”, il suo affetto, la sua bontà, la sua pazienza. Nel prologo della sua regola, Benedetto ne fa un commento pregnante: Dio è ogni giorno alla ricerca del suo operaio, e il tempo che ci dà è “ad inducias”, è una dilazione, un dono, un tempo di grazia che ci viene accordato gratuitamente. È un tempo che possiamo utilizzare per incontrare Dio ancora una volta, per incontrarlo sempre meglio nella sua stupenda misericordia. Sarà solo più tardi, dopo la nostra morte, che potremo vivere fuori del tempo, e per sempre. (André Louf, Sotto la guida dello Spirito).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 12 Luglio 2018ultima modifica: 2018-07-12T22:36:41+02:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo