Giorno per giorno – 30 Maggio 2018

Carissimi,
“Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai sommi sacerdoti e agli scribi: lo condanneranno a morte, lo consegneranno ai pagani, lo scherniranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo uccideranno; ma dopo tre giorni risusciterà” (Mc 10, 33-34). Stasera ci dicevamo che, forse, si può dire che l’intera storia dell’umanità rappresenti una salita verso Gerusalemme, con Gesù che ci precede e noi che lo si segue, di volta in volta, con stupore, apprensione, timore (cf v. 32). O, spesso, anche distratti, presi da altri pensieri, desideri, sogni, aspirazioni fuori luogo, come accadde allora a Giovanni e Giacomo (cf v. 35), indifferenti a ciò che Gesù viene dicendo. Ciò che egli dice di se stesso, come Figlio dell’uomo, lo constata con sofferenza e amarezza nelle generazioni che l’hanno preceduto e in quelle che lo seguiranno: “lo condanneranno a morte, lo consegneranno ai pagani, lo scherniranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo uccideranno”. E se i discepoli potevavo avere una qualche giustificazione per distrarsi e pensare ad altro, perché Gesù ne parlava come di eventi futuri (“straparla”, si saranno forse detti), noi che ne abbiamo ricevuto la notizia a suo riguardo da millenni e la vediamo perpetuarsi nei massacri direttamente o indirettamente perpetrati dai potenti della terra (i “sommi sacerdoti” della religione del mercato unico), sempre più famelici e voraci nel rapinare con ogni mezzo le risorse altrui per dominare incontrastati, non abbiamo davvero scuse per la nostra indifferenza, che si traduce in connivenza, anche se c’è chi si illuda di mascherarla con le foglie di fico di una qualche devozione. Siamo chiamati a cambiare la storia, introducendo in essa la logica del Figlio dell’uomo, che “non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10, 43-45). Dare la vita, giorno per giorno, perché anche gli altri vivano. Tutti, a partire dagli ultimi.

Oggi facciamo memoria di Emmelia e Basilio, coniugi e genitori secondo il cuore di Dio; di Girolamo di Praga, riformatore della Chiesa e martire; e dei Martiri ortodossi, ebrei e rom del regime ustascia.

Emmelia e Basilio erano una coppia della Cappadocia (nell’attuale Turchia). Durante la persecuzione, iniziata con Diocleziano e proseguita sotto l’imperatore d’Oriente, Galerio Massimino, (305-311), la più dura che il cristianesimo si trovò ad affrontare, per mantenersi fedeli al Vangelo del Regno, dovettero lasciar la loro terra, provando la durezza dell’esilio, la solitudine e le molte difficoltà legate a questa condizione. Esempio di dedizione reciproca, di coerenza e fedeltà, diedero vita a dieci figli, tra i quali san Basilio il Grande, san Gregorio di Nissa, san Pietro di Sebaste, santa Macrina (chiamata con questo nome in omaggio alla nonna, anch’essa santa), ai quali, morendo (verso l’anno 370), lasciarono in eredità la ricchezza della loro testimonianza di fede.

Girolamo nacque a Praga verso il 1370. Compì i suoi studi universitari nella cittá natale, dove subì l’influenza del riformatore Jan Hus. Recatosi, nel 1398 a Oxford, in Inghilterra, rimase colpito dagli insegnamenti di John Wicliffe e se ne fece sostenitore. Insegnò in molte città, nelle università di Parigi, Colonia, Heidelberg, Vienna, Cracovia, ma da tutte fu allontanato per i sospetti di eresia che pesavano su di lui, e, più ancora, per il suo zelo nel denunciare la corruzione dilagante nella Chiesa. Nel 1412, organizzò assieme a Hus una protesta contro la decisione dell’antipapa Giovanni XXIII di finanziare la guerra attraverso la vendita delle indulgenze. Hus e i suoi seguaci furono raggiunti dalla scomunica dell’antipapa. Nel 1415, Girolamo si recò al Concilio di Costanza per difendere Hus, dalle accuse di eresia, mosse contro di lui dai teologi Pietro d’Ailly e Jean Gerson. Difensore della chiesa invisibile dei credenti, che costituisce, assai più di quella istituzionale, il vero Corpo mistico di Cristo, critico feroce del lusso delle gerarchie e delle ingiustizie sociali, fautore delle teorie di Wyclif sulla paritá tra clero e laicato, e assertore della necessità di predicare nelle lingue nazionali, Hus fu condannato al rogo. Gerolamo, allora, si decise a fuggire. Giunto però in Baviera, fu riconosciuto, arrestato e inviato nuovamente a Costanza. Processato, in un primo momento ritrattò le tesi che aveva condiviso con l’amico e maestro, ma, quando, il 16 Maggio 1416, fu portato nuovamente davanti al giudice, dichiarò di averlo fatto solo per paura della morte. Il processo si concluse con la sua condanna a morte e Girolamo fu bruciato sul rogo. L’umanista Poggio Bracciolini presente in quei giorni a Costanza, scrisse ad un amico dell’esecuzione: “Quando giunse nel luogo del supplizio, si spogliò da solo dei vestiti e, inginocchiatosi, salutò il palo al quale fu poi legato con molte funi e fu stretto, nudo, con una catena. Dopo che gli fu posta intorno al petto e alle reni molta legna, mista a paglia, e fu appiccato il fuoco, Girolamo cominciò a cantare un certo inno, che fu interrotto dal fumo e dalle fiamme”. Era il 30 Maggio 1416.

Nel Maggio 1941, subito dopo la creazione del cosiddetto “Stato libero di Croazia”, ad opera del leader ustascia Ante Pavelic, che godeva dell’appoggio di Hitler e Mussolini, ebbe inizio nel Paese la sistematica eliminazione delle minoranze etniche e religiose, oltre che degli oppositori politici. Si calcola che furono circa 800.000 i serbi eliminati durante la seconda guerra mondiale. Tra essi 6 vescovi, più di 300 preti e 222 religiosi. Con loro, ricevettero lo stesso trattamento cinquantamila ebrei croati e ottantamila rom. Furono anche distrutte tutte le sinagoghe e circa 300 chiese ortodose presenti sul territorio. Tale persecuzione mirava alla completa eliminazione della presenza ortodossa (oltre che di quella ebrea e gitana) in quelle regioni tradizionalmente cattoliche. Questo è ciò che potrà forse in qualche modo spiegare il silenzio, quando non l’esplicito assenso e, più di qualche volta, tragicamente, la diretta complicità, che caratterizzarono l’atteggiamento dei cattolici, dei loro preti e di gran parte della gerarchia, di fronte alle deportazioni, le torture e i massacri. Una rivista ortodossa, facendone memoria, così scrive: “Dobbiamo fornire gli orribili dettagli di queste atrocità? I ventri di donne gravide furono squarciati; furono arrostiti uomini su graticole da animali (vi furono casi in cui alcuni furono forzati a mangiare le membra arrostite dei propri familiari). Furono compiuti maligni esperimenti medici. Vi furono persone impalate, segate in due, occhi cavati dalle orbite. I cuori di vittime innocenti furono strappati e mangiati dai loro avversari. Morti lente e agonizzanti potevano durare per settimane intere. Ogni tipo di tortura che il diavolo poteva instillare nei confronti di altri esseri umani si manifestò in pieno in quegli anni di tribolazione”. La memoria di tali vicende dovrebbe mettere in guardia i cristiani dalle manipolazioni e strumentalizzazioni di cui il Vangelo di Gesù può essere fatto oggetto da parte di movimenti e di ideologie, che hanno tutto l’interesse a fare di esso, invece che l’Evento con cui Dio abbraccia il mondo intero, la semplice espressione di un’identità e di una cultura che, per giunta, fomenta il disprezzo e l’odio per l’altro e teorizza, invece che l’incontro e il dialogo, lo scontro delle civiltà, in vista del proprio dominio.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
1ª Lettera di Pietro, cap.1, 18-25; Salmo 147; Vangelo di Marco, cap.10, 32-45.

La preghiera del mercoledì è in comunione con quanti ricercano l’Assoluto della loro vita nella testimonianza per la pace, la fraternità e la giustizia.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda, offrendovi in lettura la pagina di un libro, donatoci tempo fa dalla nostra amica Marisa di Firenze. Dice del mistero della chiesa e dà una ragione anche del nostro rifarci ogni giorno alla memoria dei santi, canonizzati e no, che formano una comunità vivente che ci precede e ci accoglie. Tratta dal libro di Francesco Rossi De Gasperis “La roccia che ci ha generato. Un pellegrinaggio nella Terra Santa come esercizio spirituale” (Edizioni ADP), è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
È molto bello l’ultimo capitolo di Giovanni: la chiesa è la barca di Pietro che pesca sul lago, e di notte non prende niente. Poi, quando viene l’alba, Gesù si presenta sulla riva. O non piuttosto spunta l’alba quando Gesù si fa vedere? La chiesa è, anch’essa, una realtà sensibile: c’è Pietro, la sua barca, i Sette, la pesca, quello che si prende e quello che non si prende, ma non è questa la realtà ultima e più vera della chiesa. Fin qui la chiesa è segno del regno. La chiesa è, in realtà, determinata dal Signore risorto. Il capo della chiesa non è il papa, non sono i vescovi; il papa e i vescovi sono solo dei sacramenti – l’ordine è un sacramento – della presenza del Signore risorto. Il Nuovo Testamento non ha nessun dubbio: il pastore della chiesa è il Cristo risorto. I Dodici sono le colonne della chiesa; la chiesa è apostolica. Ancor oggi la chiesa è fondata sui Dodici; al centro c’è Maria, e la pietra angolare è ancora il Cristo risorto. Quando parliamo della chiesa, dobbiamo intendere questa realtà di cui quello che si vede alla superficie, sì certo, siamo noi, i nostri sacramenti, le chiese, i vescovi, le missioni, i movimenti. Questo, però, è soltanto l’aspetto più esteriore della chiesa, l’unico che conoscono i giornalisti, i politici, i quali ne rimangono spesso ingannati. La chiesa è del Signore, le sue radici non sono in questo mondo, ma essa viene dall’alto. Noi dovremmo vivere in costante colloquio con i santi. Non so se a voi capita, ma a me capita spesso che quando muore uno di noi, con cui magari non ci si è sempre capiti, si può finalmente cominciare a parlare seriamente con lui, si ritrova un contatto vero; così avviene pure con i nostri genitori e con i nostri parenti; soltanto allora, finalmente, qualcuno ci conosce dal di dentro e il colloquio può farsi totalmente vero. Noi non siamo mai soli, perché sempre in contatto con i fratelli e le sorelle che ci hanno preceduto, siamo sempre in contatto con i santi. L’arcivescovo melchita di Gerusalemme ci illustrava un giorno la sua chiesa patriarcale, dove alle pareti sono rappresentati tanti santi e tante scene di “misteri” biblici. Lo scopo di queste icone è far sì che chi entra in chiesa si senta accolto da una comunità vivente di santi, che già esiste prima di lui; egli è un ospite della chiesa dei santi; si deve quindi tener presente questa popolazione di santi che ci precedono e ci accolgono. L’eucaristia è un piccolo segno che viene celebratato dalla piccola chiesa terrena, in seno alla grande chiesa del cielo. Queste non sono soltanto delle belle idee. Noi dovremmo vivere costantemente alla presenza di queste realtà, ed entrare nel mistero di questa comunione. (Francesco Rossi De Gasperis, La roccia che ci ha generato).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 30 Maggio 2018ultima modifica: 2018-05-30T22:28:11+02:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo