Giorno per giorno – 04 Maggio 2018

Carissimi,
“Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri’ (Gv 15, 16-17). Stasera, ci si diceva che, certo, fosse dipeso da noi, conoscendoci, non ci saremmo mai sognati di metterci al seguito di Gesù. Lui, però, proprio per il fatto di conoscerci così come siamo, ci ha chiamato, ciascuno nel suo ambiente, di vita, di studio, di lavoro, dimostrando una volta di più che, contrariamente alla prassi in voga negli uffici di collocamento, non è portato, come si dice qui, a scegliere i più idonei, ma a rendere idonei, con maggior o minor tempo, i prescelti. Idonei a portar frutto. Nella linea dell’amarsi gli uni gli altri. Impresa disperante, si sarebbe portati a dire, guardando alle difficoltà e all’altezza della sfida che ci è proposta: “amatevi gli uni gli altri, come io vi ho amati”. Impossibile? Sì, ma lui ci ha anche promosso che se lo chiederemo al Padre nel suo nome, egli ce lo concederà.

La maggior parte delle chiese ne celebrano la memoria a ridosso di quella del figlio, Agostino, noi lo facciamo, assieme alla chiesa maronita, nella data del trapasso. Ricordiamo oggi Monica di Tagaste, testimone di amore e dedizione. Assieme a lei ricordiamo Dorothée Quoniam (Marie-Aimée de Jésus), mistica carmelitana.

Monica era nata a Tagaste (l’attuale Souk Ahras, in Algeria), nel 331 in una famiglia profondamente cristiana. Fu data in sposa a Patrizio, un pagano dal carattere collerico e con una piuttosto scarsa comprensione della fedeltà coniugale, che lei riuscì, comunque, nel corso degli anni, con la sua mitezza e pazienza, ad ammansire fino ad ottenerne la conversione. A 23 anni aveva dato alla luce il primogenito, Aurelio Agostino, cui sarebbero seguiti un altro figlio e una figlia. Rimasta vedova nel 371, presto temette di perdere anche il figlio maggiore, per la vita futile e sregolata che conduceva e le mode culturali e religiose cui lo vedeva aderire. Un sogno tuttavia la esortò a non scoraggiarsi e ad accompagnarlo, con discrezione e sia pure da lontano, con l’affetto materno e la preghiera. Tanta costanza sarebbe stata premiata. Di fatto, fu solo nel 385 che Monica raggiunse a Milano il figlio, chiamato, l’anno precedente, a coprire la locale cattedra di retorica. Qui, favorito da Monica, avvenne l’incontro decisivo di Agostino con il vescovo Ambrogio. Nella Veglia Pasquale del 387, Agostino, il figlio Adeodato e l’amico Alipio ricevettero il battesimo. Poche settimane dopo, sulla via del ritorno per l’Africa, in attesa di imbarcarsi ad Ostia, Monica si ammalò improvvisamente, forse di malaria, e morì all’etá di 56 anni. Aveva ottenuto che si realizzasse ciò che più desiderava e poteva, a questo punto, andarsene.

Dorothée Quoniam era nata il 14 gennaio 1839 a Le Rozel, nel Cotentin (Francia) da una famiglia poverissima. Alla ricerca di migliori condizioni di vita, la famiglia al gran completo, con lei ancora bambina, si trasferì a Parigi, dove però, in pochi anni, morirono il padre, la madre e gli altri fratelli e sorelle. Dorothée finì così in orfanatrofio. Raggiunta la maggior età, il 27 agosto 1859, chiese e ottenenne di entrare nel Carmelo dell’Avenue de Saxe, assumendo il nome di Marie-Aimée de Jésus. Durante il noviziato fu favorita da grazie eccezionali. Grazie mistiche e prove dolorose l’accompagneranno in seguito fino alla morte. Quando, nel 1863, uscì il libro “La vita di Gesù”, di Ernest Renan, in cui l’autore negava la divinità di Gesù, Marie-Aimée, ferita dalle sue affermazioni, pur senza nessuna competenza teologica, decise di mettere per iscritto le ragioni della sua fede. Nacque così il libro “Notre Seigneur Jesus Christ etudié dans le Saint Evangil”, che rimase manoscritto fino al 1909. Alla sua pubblicazione, molti lo considerarono una vera e propria summa teologica. Durante la guerra del 1870, Marie-Aimée seppe sostenere e animare le consorelle con la sua fiducia e la sua inalterabile pace interiore. Durante gli ultimi anni ricoprì l’incarico di maestra delle novizie. Morì di una pleurite il 4 maggio 1874.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap.15, 22-31; Salmo 57; Vangelo di Giovanni, cap.15, 12-17.

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli della Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e ricco in misericordia.

“Il fanatismo è più antico dell’islam, del cristianesimo, dell’ebraismo, più antico di ogni stato o governo, di ogni sistema politico, più antico di tutte le ideologie e di tutte le confessioni del mondo. Il fanatismo è, disgraziatamente, una componente onnipresente della natura umana; un gene perverso, se volete chiamarlo così”: lo crive Amos Oz nel suo libro “Contro il fanatismo” (Feltrinelli). Lo scrittore, saggista, giornalista, docente di letteratura, israeliano, protagonista di molte battaglie per la pace tra Israele e Palestina, compie oggi 79 anni. Scegliamo, per questo, nel congedarci, di cedere la parola a lui, offrendovi in lettura un brano del libro qui sopra citato. Che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Se promettete di prendere quanto segue cum grano salis, posso dirvi, almeno in linea di principio, che credo di aver inventato la cura per il fanatismo. Il senso dell’umorismo è un’ottima terapia. In vita mia non ho ancora visto un fanatico dotato di senso dell’umorismo, e non ho nemmeno mai visto una persona dotata di senso dell’umorismo diventare un fanatico, a meno di non perdere il senso dell’umorismo. I fanatici sono spessissimo sarcastici. Alcuni di loro hanno un profondo senso del sarcasmo, ma niente spirito. L’umorismo implica la capacità di ridere di se stessi. L’umorismo è relativismo, è la facoltà di vedersi come potrebbe vederci il prossimo, è il rendersi conto che, a prescindere da quanto tu sia retto e da che torti tremendi tu abbia subito, esiste immancabilmente un risvolto che è un poco buffo. E che più sei integerrimo, più buffo diventi. E per questo, puoi essere un israeliano dalla parte della ragione, un palestinese dalla parte della ragione, chicchessia dalla parte della ragione, ma fintanto che il tuo senso dell’umorismo tiene, sei almeno in parte immune dal fanatismo. Perfetto: se solo riuscissi a trasformare il senso dell’umorismo in compresse, e poi convincesssi popolazioni intere ad assumere queste mie pillole, immunizzando così tutti dal fanatismo, potrei un giorno o l’altro candidarmi al premio Nobel per la medicina, non per la letteratura. Ma guardatemi! L’idea stessa di ridurre in pillole il senso dell’umorismo, l’idea di somministrarle al prossimo per il suo stesso bene e curarlo in questo modo, questa stessa idea è già di per sé contaminata dal fanatsimo. Bisogna stare molto in guardia: il fanatismo attecchisce con molta facilità, è più contagioso di qualsiasi virus. (Amos Oz, Contro il fanatismo).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 04 Maggio 2018ultima modifica: 2018-05-04T22:31:48+02:00da fraternidade
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