Giorno per giorno – 03 Maggio 2018

Carissimi,
“Gli disse Filippo: Signore, mostraci il Padre e ci basta. Gli rispose Gesù: Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: Mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere” (Gv 14, 8-10). Forse, oggi, nessuno si sognerebbe di ripetere la richiesta di Filippo, almeno nei termini posti da lui. Forse, ci accontenteremmo di chiedere di vederci più chiaro su ciò che siamo, ciò che davvero vogliamo, su come va il mondo, e perché, e come potrebbe cambiare. Forse, però, in altre parole, questo e altro ancora è la stessa cosa che chiedeva Filippo. Gesù, con la sua risposta, non ha la pretesa di essere la spiegazione di tutto, però, proprio nel momento in cui sta per andarsene, conferma che la nostra vita si svolge sotto lo sguardo amoroso del Padre, lo stesso sguardo che i suoi hanno potuto sperimentare in lui e che loro sono chiamati a diffondere e moltiplicare. Nel pomeriggio, alla chácara di recupero, ci dicevamo che la fede non consiste in un astratto elenco di verità da credere, ma nell’assumere come proprio progetto di vita, la maniera d’essere di Gesù, se non è (come invece è) pretendere troppo. Un Gesù non a misura delle nostre fantasie, ma nella radicalità controcorrente, con cui ce lo propongono i vangeli, senza fare troppi sconti nella direzione suggerita da certo perbenismo imperante, troppo interessato a riportare il suo annuncio rivoluzionario nei limiti di una soporifera religiosità o di una religione civile a tutela di ordine e progresso dei soliti pochi.

Oggi il calendario ci porta le memorie di Filippo, apostolo, e di Giacomo, fratello del Signore; di Magdalena Blanche Pauline Truel Larrabure, martire dei campi di concentramento nazisti, e quella di Felipe Huete e quattro compagni, martiri della Riforma agraria in Honduras.

Filippo, originario di Betsaida, sul lago di Tiberiade, come Pietro e Andrea, è con loro uno dei primi ad essere chiamato da Gesú. Egli stesso recluterá in seguito un altro discepolo, Natanaele. È a lui che, poco prima della passione, si dirigono alcuni greci per essere presentati a Gesú. È ancora lui che, secondo il racconto di Giovanni, durante la cena chiede al Maestro: “Mostraci il Padre”. Gesú gli risponde: “È tanto tempo che sto con voi e tu non mi conosci, Filippo. Chi vede me, vede il Padre”. Nulla si sa di certo sulla sua vita dopo la Pentecoste. Una tradizione afferma che predicò il Vangelo in Frigia (nell’attuale Turchia), dove sarebbe morto martire, a Hierapolis, crocifisso a testa in giù, durante la persecuzione di Domiziano. Giacomo era cugino di Gesù e fratello di Giuseppe, Simone e Giuda, di Nazareth. Fu il capo della prima comunità di Gerusalemme (At 12,17). Durante il concilio di Gerusalemme, Giacomo propose che i cristiani di origine pagana non fossero tenuti all’osservanza della legge giudaica. La sua proposta passò (cf At 15). Secondo il racconto di Flavio Giuseppe, nelle Antichità Giudaiche, il sommo sacerdote Anano, nell’anno 62, convocò il sinedrio, per giudicare Giacomo e altri cristiani, che finirono per essere condannati a morte e lapidati. In seguito i farisei ottennero la destituzione del sommo sacerdote, perché la seduta non si era svolta secondo la legge ed era stata convocata a loro insaputa. A Giacomo è attribuita una delle sette Lettere, chiamate “cattoliche”. Controversa è la sua identificazione con l’apostolo Giacomo, figlio di Alfeo.

Magdalena Blanche Pauline Truel Larrabure era nata a Lima (Perù) il 28 agosto 1904, ultima di otto figli di Alexandre Léon Truel e di Marguerite Larrabure Othéquy, una coppia di immigrati francesi, giunti in Perù nella seconda metà del secolo XIX. Poco dopo la morte dei genitori, avvenuta prima che Magdalena compisse vent’anni, i fratelli Truel, su richiesta di alcun famigliari, decisero di fare ritorno in Francia, a Parigi, nel 1924. Qui la giovane si iscrisse alla facoltà di filosofia della Sorbona, trovò un impiego in banca, e si impegnò nel contempo nelle attività parrocchiali della Chiesa di San Francesco di Sales. Nel 1940, l’invasione di Parigi da parte delle forze tedesche portò all’organizzazione del movimento di Resistenza, integrata da quanti intendevano lottare contro gli occupanti. Tramite gli amici Pierre e Annie Hervé, anche Magdalena vi aderì, con il compito di falsificare documenti da fornire a profughi ebrei e a soldati alleati paracadutati sulla capitale francese. Il 19 giugno 1944, Magdalena fu arrestata e rinchiusa nella prigione di Fresnes, dove fu ripetutamente torturata perché rivelasse piani e persone della resistenza. Senza per altro che lei cedesse. Trasferita nel campo di concentramento di Sachsenhausen nel 1945, visse, secondo la testimonianza di quanti la conobbero, la carità in maniera eroica. Si privava del poco cibo che le davano per condividerlo con quanti riteneva ne avessero maggior bisogno. Nonostante le difficoltà, riusciva a mantenere e comunicare allegria alle sue compagne di prigione. All’approssimarsi della fine della guerra, le truppe tedesche iniziarono quella che è conosciuta come la “Marcia verso la morte”, il trasferimento forzato di migliaia di prigionieri, per lo più ebrei, dai campi di concentramento verso l’entroterra tedesco. Durante il trasferimento che interessò il campo di Sachsenhausen, Magdalena cadde lungo la strada priva di sensi, a causa delle percosse di un soldato. Poche ore più tardi i soldati abbandonarono i prigionieri e si spogliarono delle loro divise per sottrarsi alla cattura da parte degli eserciti alleati. Trasportata nel villaggio tedesco di Stolpe, Magdalena vi morì poche ore più tardi. Era il 3 maggio 1945, cinque giorni prima della resa della Germania e della fine dell’Olocausto.

Felipe Huete era uno dei molti contadini di Choluteca, che, a metà degli anni settanta (del secolo scorso), aveva lasciato il suo paese, nel sud dell’Honduras, per spostarsi più a nord, in cerca di lavoro e di terre da coltivare. Dopo alcuni sfortunati tentativi, era giunto, nel 1982, a Namasigue, dove si era presto integrato nelle attività della chiesa locale, divenendo tra l’altro delegato della Parola, e partecipando con entusiasmo ai progetti portati avanti dalla Pastorale della Terra. Tra gli altri, quello riguardante alcune terre del municipio di Arizona (Dipartimento di Atlántida), sottratte illegalmente ai piccoli proprietari e rivendute poi da un individuo privo di scrupoli a un coronel residente nella capitale, Leonel Galindo. A metà del 1990, le prime minacce. Il delegato delle forze di polizia di Mezapa si recò a casa di Felipe, per avvisarlo senza mezzi termini: lasciate perdere quelle terre, se no ci sarà un bagno di sangue. Le indimidazioni si ripeterono all’inizio del 1991. Nuove e, se possibile, più brutali minacce furono fatte, il primo maggio, a tre contadini, tra cui il figlio di Felipe. Il 3 maggio, secondo la testimonianza dei sopravvissuti, una pattuglia dell’esercito circondò un gruppo di contadini, che si era recato, all’alba, nelle terre contese, per ripulirle, e, subito, aprì il fuoco su di essi. Restarono a terra, privi di vita, Felipe Huete, suo figlio Ciriaco, suo genero Carlos Salomon, suo nipote, Mártir Huete, e un altro contadino che faceva parte del gruppo, Cruz Chacón. Il corpo di quest’ultimo venne poi portato al suo villaggio, Santa Maria. Gli altri furono trasportati tutti a casa di Felipe, dove le quattro vedove, doña Dominga, sua nuora Bertilla, sua figlia Isidora, e la nipote acquisita, Trinidad, con il resto della famiglia, gli amici e i compagni, si disposero all’ultimo addio. Lungo la giornata cominciò ad affluire gente da Mezapita, Mezapa, Retiro, Matarras e de altre parti ancora. Vennero letti i testi che Felipe aveva scelto per la Celebrazione della Parola della domenica successiva. Tra questi, il brano di Luca che suona: “A voi miei amici, dico: Non temete coloro che uccidono il corpo e dopo non possono fare più nulla” (Lc 12, 4). Gli stessi testi furono letti nell’Eucaristia, presieduta da vescovo, Mons. Jaime Brufau, e dagli otto preti di San Pedro Sula, a cui presero parte oltre quattromila contadini, scalzi, col sombrero in mano, giunti da ogni dove. Felipe, per quindici anni, aveva voluto raccogliere il sogno della sua comunità contadina: che le fosse fatta giustizia, dando la terra a chi la lavora. Tale riconoscimento venne. Ma solo più tardi.

Le letture proposte dalla liturgia odierna sono proprie della festa e sono tratte da:
1ª Lettera ai Corinzi, cap.15,1-8; Salmo19; Vangelo di Giovanni, cap.14,6-14.

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

È tutto, per stasera. E noi, prendendo spunto dalla memoria dei nostri martiri latinoamericani, vi offriamo, nel congedarci, una pagina del teologo della liberazione Jon Sobrino. Tratta dal suo libro “Gesù Cristo liberatore” (Cittadella Editrice), è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Per Gesù, Dio non è solo il bene per gli uomini, ma la sua bontà dev’essere descritta come amore. È risaputo che nel Nuovo Testamento la parola che traduce il termine amore è agápe, non éros, vale a dire un amore che si rallegra del bene dell’altro e solo a motivo del bene dell’altro, mentre éros implica anche in qualche modo una propria gratificazione. In forma assoluta e lapidaria Giovanni dirà che Dio è agápe (1Gv 4, 8), ed è quello che Gesù afferma nel vangelo in forma storicizzata. È un amore che, per mostrare la sfumatura irripetibile che lo caratterizza, si presenta sotto l’aspetto di tenerezza. Isaia descrive Dio più tenero di una madre, Gesù lo paragonerà al padre che corre incontro al figlio che se n’era andato via di casa, lo accoglie, lo abbraccia e festeggia il suo ritorno (Lc 15, 11-31). Al colmo della gioia che prova perché Dio è così, Gesù dirà che Dio è buono perfino verso gli ingrati e i malvagi (Lc 6, 35). Si ha qui ancora una volta la logica del comandamento dell’amore nei sinottici (Mc 12, 28-31; Mt 22, 34-40; Lc 10, 25-28) e del “comandamento nuovo” in Giovanni (Gv 13, 34-35). È indubbiamente un comandamento e così appare già nel decalogo del Levitico. Nella prima lettera di Giovanni lo si può egualmente intendere come un comandamento (“dobbiamo amarci gli uni gli altri”, 1Gv 4, 11). Crediamo tuttavia che questi comandamenti, se non necessariamente da un punto di vista esegetico, si possano, da un punto di vista sistematico, interpretare in maniera più profonda: “Così è Dio, siate anche voi cosí”. Non è dunque che l’amore sia un comandamento imposto arbitrariamente da Dio, che avrebbe benissimo potuto anche non imporlo. Dio impone quello che egli è, lo “impone” perché è il bene dell’uomo. L’ “Io sono il Signore” su cui il Levitico fonda alla fine il comandamento “non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso” (Lv 19, 18) può essere interpretato in questo modo. È su questa base che va egualmente inteso il comandamento di amare i nemici (Mt 5, 43; Lc 6, 27-35), non come la più grande prova – arbitraria – impostaci da Dio, ma perché “così è Dio”, come dicono alla fine Matteo e Luca: il Padre celeste è “totalmente buono (perfetto)” (Mt 5, 48), è buono anche “verso gli ingrati e i malvagi” (Lc 6, 35). […] Questa visione di Dio come bontà, come amore, come tenerezza, è essenziale in Gesù e forma il nucleo essenziale della sua esperienza di Dio. (Jon Sobrino, Gesù Cristo liberatore).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 03 Maggio 2018ultima modifica: 2018-05-03T22:57:19+02:00da fraternidade
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