Giorno per giorno – 01 Maggio 2018

Carissimi,
“Gesù, venuto nella sua patria, insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi? Non è costui il figlio del falegname? Da dove gli vengono allora tutte queste cose?». Ed era per loro motivo di scandalo” (Mt 13, 54-57). Per celebrare la festività di oggi, la liturgia ha trovato solo questo breve vangelo, in cui si fa menzione, tacendone il nome, del falegname, ritenuto il padre di Gesù. Una volta di più, Dio, la sua parola che entra nella storia, si manifesta dove, come e a chi vuole, senza rispettare gerarchie religiose o sociali. Per dirla con dom Pedro Casaldáliga: “Nel ventre di Maria / Dio si è fatto uomo. / Ma, nell’officina di Giuseppe, / Dio si è fatto anche classe”. E le scelte di Dio non avvengono per caso e sono, tra l’altro insindacabili, anche e soprattutto quando vanno contro l’immaginario e la logica correnti. E parlano non tanto per informarci su di Lui, che se ne potrebbe stare felicemente tranquillo nel più alto dei cieli, ma per dirci qualcosa riguardo a noi e alle nostre scelte, dato che la vocazione inscritta nel nostro Dna è quella di essere come Lui. Tutti falegnami, dunque, o tutti operai? Beh, non necessariamente. L’importante è che si sappia ciò che è oggetto delle scelte di Dio, e perciò nella prospettiva di chi si debba noi guardare alle cose, in merito all’organizzazione del mondo, perché questo sia espressione del regnare di Dio in mezzo a noi. Sempre che si creda in Dio, nell’Abba di Gesù, che chiamò, potremmo metterla così, come precettore di suo figlio, un semplice falegname. Il quale, certo con Maria, sua sposa, deve aver insegnato da subito a quel cucciolo divino la sostanza di quello che sarebbe stato, al divenire adulto, il preambolo della sua predicazione: “Felici i poveri, perché Dio sta con loro!”, per liberarli, ovvio, da ogni schiavitù e oppressione. E avrebbe insegnato anche i primi rudimenti di quella sapienza con cui Dio si prende gioco della sapienza e intelligenza del mondo e che scandalizzarono, come abbiamo ascoltato oggi, i suoi increduli concittadini. Ma anche molti di noi, a duemila anni di distanza.

Oggi la Chiesa celebra la Festa di san Giuseppe operaio.

Per esprimere il valore e la dignità del lavoro, attraverso il quale – come affermerà nel Concilio la Costituzione Pastorale Gaudium et Spes – “gli uomini e le donne, nel procurare il sostentamento per sé e per la famiglia, prestano conveniente servizio alla società, prolungano l’opera del Creatore, si rendono utili ai propri fratelli e donano un contributo personale alla realizzazione del piano provvidenziale di Dio nella storia” (GS 34), la Chiesa volle istituire, nel 1955, la festa di san Giuseppe Operaio, nel contesto della Giornata Internazionale del Lavoro. In lui i cristiani sono chiamati a riconoscere il modello di lavoratore a cui è affidata la difesa della Buona Notizia che Gesù – per lungo tempo operaio lui stesso – è venuto ad annunciare: la liberazione da ogni forma di oppressione e sfruttamento, e, perciò, la contestuale affermazione della dignità del lavoro, dei diritti ad esso connessi ai fini di una sua umanizzazione, del dovere di contribuire tutti, secondo le proprie capacità alla costruzione della città dell’uomo.

Il calendario ci porta, sempre oggi, la memoria di Takashi Nagai, testimone di pace.

Takashi Nagai era nato a Matsue City, in Giappone, il 3 febbraio 1908, primo dei cinque figli di Hiroshi e Tsune Nagai. Terminato il liceo, s’iscrisse alla Facoltà di Medicina di Nagasaki, vivendo a pensione nella casa dei Moriyama, una famiglia cristiana da diverse generazioni. Nel 1932, conseguita la laurea, si specializzò in radiologia al Medical College di Nagasaki. L’anno successivo, arruolato in fanteria, fu inviato sul fronte della guerra cino-giapponese, con cui il Giappone, sfruttando l’incidente di Mukden (1931), volle annettersi la Manciuria. Fu allora che ricevette in dono, speditogli dalla figlia dei Moriyama, Midori, un piccolo catechismo, che lo portò a interessarsi al cristianesimo. Tornato nel 1934 in Giappone chiese di essere battezzato, scegliendo il nome di Paolo. Due mesi dopo sposava Midori, da cui avrebbe avuto due figli. Nel 1937, fu inviato nuovamente in Cina, dove restò fino al 1940, quando, tornato a Nagasaki, riprese il suo lavoro universitario. Nel giugno 1945, fu diagnosticata a Nagai una grave forma di leucemia, conseguenza dell’attività di radiologo, che svolgeva e gli dissero che aveva solo tre anni di vita. Il 9 agosto 1945, alle 11:02 del mattino, una bomba atomica sganciata da un B-29 americano esplodeva su Nagasaki, seminando morte e distruzione. Nagai si trovava nel suo studio all’Università di Nagasaki, a circa 700 metri dall’epicentro dell’esplosione che provocò la morte di oltre 80 mila persone, tra cui sua moglie. Nonostante la malattia e le nuove terribili lesioni che lo colpirono, Nagai continuò a dedicarsi finché potè a portare soccorso ai superstiti, a fare attività di ricerca, a insegnare e a pubblicare libri. Nel marzo 1948, ottenuta la pensione, si trasferì nel Nyokodo, “il piccolo eremiterio”, costruito nei pressi delle rovine della cattedrale di Urakami. Sapendo che i suoi figli, Makoto e Kaiano, dopo aver perso la madre, sarebbero presto rimasti orfani anche di lui, scrisse numerosi racconti a loro dedicati, per poter in qualche modo continuare il dialogo anche dopo la sua morte. La maggior parte dei proventi dei suoi lavori fu destinato a quanti, bambini e adulti, stavano soffrendo le conseguenze della bomba atomica. Uomo di profonda preghiera, cercò di approfondire il significato che, alla luce della fede cristiana, poteva avere questo insostenibile cumulo di sofferenze. Pensò di aver trovato la risposta: Nagasaki era stata scelta come città vittima e testimone della causa della pace tra i popoli. E volle in questo leggere anche il significato della sua vita e della sua morte. La fine sopraggiunse improvvisa la mattina del 1° Maggio 1951, subito dopo aver invitato i presenti a pregare. Aveva 43 anni. Sulla tomba volle fossero incise le parole del Vangelo: “Siamo servi senza valore; abbiamo fatto ciò che dovevamo” (Lc 17,10).

I testi che la liturgia propone alla nostra riflessione sono propri della memoria liturgica di san Giuseppe Operaio e sono tratti da:
Libro di Genesi, cap. 1,26-2, 3; Salmo 90; Vangelo di Matteo, cap.13,54-58.

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.

Il 20 luglio 1889, il Congresso della Seconda Internazionale, riunito in quei giorni a Parigi, fissò la data del Primo Maggio, per ricordare le grandi manifestazioni operaie svoltesi nei primi giorni di Maggio, tre anni prima, a Chicago, che erano state soffocate nel sangue. Così, a partire dal 1º Maggio 1890, con esiti alterni e con alcune interruzioni, in diversi paesi, cominciò a celebrarsi la Festa dei Lavoratori, o la Festa del Lavoro. Come momento di riflessione, coscientizzazione, rivendicazione e lotta del e sul mondo del lavoro. Che ci sia chi la snobba, è nell’ordine delle cose. Noi, nel nostro piccolo, continueremo a crederci e a celebrarla.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui e, prendendo spunto dall’odierna Festa del Lavoro, vi offriamo in lettura il messaggio che il Card. Carlo Maria Martini inviò ai lavoratori e lavoratrici della chiesa di Milano, il 1º maggio 1983. È una riflessione che ci pare sempre valida, ed è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Carissime lavoratrici e lavoratori, […] “La Chiesa avverte la necessità di sempre nuovi movimenti di solidarietà degli uomini del lavoro e di solidarietà con gli uomini del lavoro. Tale solidarietà deve essere sempre presente dove lo richiedono la degradazione sociale del soggetto del lavoro, lo sfruttamento dei lavoratori e le crescenti fasce di miseria e addirittura di fame” (Laborem exercens 8). Lo avvertiamo soprattutto in questo momento di grave crisi del lavoro. Questa crisi acuisce ulteriormente la durezza del vostro cammino, accrescendo insieme la responsabilità di voi lavoratori, che sempre più siete e dovete essere protagonisti di cambiamenti sociali carichi di promozione umana. Ad esempio avete di fronte i problemi della quantità del lavoro: il dramma della disoccupazione richiede risposte adeguate che salvaguardino la necessità di un lavoro per tutti. Più volte sono intervenuto a ribadire questo principio, il quale però va difeso e applicato con scelte concrete di solidarietá e creatività sociale. Il movimento dei lavoratori deve portare alla società questo patrimonio di valori legato al diritto del lavoro come bene sociale da redistribuire nella giustizia. Si richiederanno certamente strategie nuove, una rinnovata capacità di conquistare, anche attraverso il negoziato tra le parti coinvolte, forme piú avanzate di solidarietà… tenendo presente che “la sollecitudine per il bene comune” richiede in questo momento che chi ha di più si sacrifichi maggiormente, abolendo privilegi discutibili… Vorremmo che tutti i lavoratori indistintamente sentissero la nostra sincera solidarietà e partecipazione a questi loro problemi. Voi avete nella vostra storia valori profondamente umani: mi riferisco per esempio ai grandi valori della democrazia, della partecipazione, della vera libertà, della speranza attiva. Anche e soprattutto da voi lavoratori e lavoratrici dipenderà infatti “ricuperare un genere diverso di vita, demolendo gli idoli che ci siamo costruiti, riscoprendo i valori del bene comune, della tolleranza, della solidarietà, della giustizia sociale, della corresponsabilità, ritrovando fiducia nel progettare insieme il domani e avendo la forza di affrontare i sacrifici necessari con un nuovo gusto di vivere” (CEI, 23.10.81). A Gesù, figlio di Maria, affido tutti voi, le vostre famiglie, il vostro lavoro e le vostre speranze. (Card. Carlo Maria Martini, Messaggio per la Festa del Lavoro, Iº Maggio 1983).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 01 Maggio 2018ultima modifica: 2018-05-01T22:53:56+02:00da fraternidade
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