Giorno per giorno – 13 Aprile 2018

Carissimi,
“Gesù salì sulla montagna e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei. Alzati quindi gli occhi, Gesù vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare? Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva bene quello che stava per fare”. (Gv 6, 3-6). Stamattina, ci dicevamo che, a pensarci bene, questa è la domanda che Gesù ci rivolge ad ogni eucaristia, dopo aver “alzato gli occhi” sulla fame (in tutti i sensi) dell’umanità. Che, poi, è ciò che fa da sempre Dio: darsi conto delle sofferenze e dei bisogni dei suoi figli. E sollecitarci a offrir loro una risposta, contro ogni nostra facile tendenza a svicolare. Se le nostre eucaristie mancano di questo aspetto, se cioè si limitano ad aspettare il suono del campanello, che, qui e là, è tornato in uso, per avvertire i distratti del momento clou della celebrazione e portarli a ripetere la confessione di fede di Tommaso, e poi ad accostarsi quand’anche devotamente alla comunione, sarà servito a niente. Solo a deludere una volta di più il Signore, che si aspetta da noi la disponibilità non di grandi cose, ma dei cinque pani e due pesci del ragazzino di allora, capace di scatenare un movimento in grado di saziare quella moltitudine. Ognuno di noi sa ciò che ha e ciò che è e come mettersi in gioco per fare della nostra intera giornata un’eucaristia: dono di sé agli altri, per cercare di ricambiare, prolungandolo, il dono di sé che Lui ha fatto a tutti. Di cui la celebrazione eucaristica è segno e memoria. Ogni giorno in questo modo sarà pasqua, e noi i risorti.

Oggi il nostro calendario ecumenico ci porta la memoria di Rabbi Giacobbe Isacco, detto “il Santo ebreo”.

Rabbi Yaacov Yitzchak nacque a Przedborz (Polonia), nel 1766, nella famiglia di Rabbi Asher, discendente di una famosa genealogia di rabbini e lui stesso predicatore. Da ragazzo, non voleva partecipare alla preghiera comunitaria; ed inutili erano stati rimproveri e percosse, finché il padre scoprì che, tutti i giorni, dopo la chiusura della sinagoga, il ragazzo si arrampicava sul muro e vi entrava per il tetto e se ne stava lì a recitare la sua preghiera. Durante il giorno, poi, aveva l’abitudine di pregare in un granaio, dove nessuno lo vedeva. Anche al bagno rituale, se ne andava tutto solo a mezzanotte, tuffandosi nell’acqua gelida, senza accendere il fuoco, come facevano invece gli altri durante il giorno. Poi, tornato a casa, si metteva a studiare la Kabbalà. A volte la giovane moglie lo trovava svenuto davanti al libro. Abitava ad Apta (Opatow), presso i suoceri. Lo conobbe Rabbi Moshe Löb di Sasow, e poi Rabbi Abramo Jehoshua Heschel, che ne vinsero per primi la ritrosia e lo convinsero ad unirsi ai chassidim. Manteneva sé e la famiglia, facendo il maestro elementare nei villaggi vicini, ma finiva per distribuire gran parte del suo salario ai poveri. Rabbi Davide di Lelow, che esercitò pure una grande influenza su di lui, gli fece incontrare Rabbi Giacobbe Isacco, detto il Chozeh, il “Veggente” di Lublino, di cui divenne il più stretto discepolo. Per evitare di confondere i due, per via dell’omonimia, il nostro fu presto chiamato Ha-Yehudi, “l’Ebreo” e, più tardi, Ha-Yehudi ha-Kadosh, “il Santo Ebreo”. Il Chozeh , intuendone le doti spirituali, fece di lui il consigliere spirituale dei discepoli più giovani, a cui diede sempre esempio di grande umiltà, e ne insegnò il cammino. Alcune divergenze e incomprensioni che si manifestarono tra il discepolo e il maestro, indussero il nostro ad aprire una sua comunità, con l’aiuto del suo compagno e scolaro Rabbi Bunam. Nacque così la scuola di Pžysha (l’attuale Przysucha, in Polonia), che poneva una particolare enfasi sullo studio della Torah accompagnato dalla preghiera. Evitando però di trasformare questa nell’esecuzione di un arido precetto, con orari e modi predeterminati. Questa impostazione alimentò però la diffidenza dei seguaci del Veggente di Lublino nei confronti della Scuola di Pžysha. Inutilmente il Santo Ebreo tentò un riavvicinamento all’antico maestro. Morì a quarantotto anni, nel 1813, quando le sue forze erano ancora nel pieno vigore. L’insegnamento a cui ispirò la sua vita lo riassunse egli stesso in questa parole: “Il perseguimento della giustizia deve avvenire con giustizia e non con menzogna”.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap.5, 34-42; Salmo 27; Vangelo di Giovanni, cap.6, 1-15.

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli dell’Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e misericordioso.

Al tramonto di oggi le comunità musulmane sono entrate nel 27 del mese di Rajab, data in cui celebrano Lailatul Miraj (“Notte dell’ascensione”). Questa festa ricorda l’esperiena mistica del profeta Mohammed, di cui parla il Corano, Sura 17,1: il viaggio notturno dalla Mecca a Gerusalemme e la sua ascensione al Cielo –

È tutto per stasera. Noi ci si congeda qui, lasciandovi alla lettura di un insegnamento di Rabbi Giacobbe Isacco di Pžysha, lo “Jehudi”, tratto da “I racconti dei Chassidim” (Garzanti) di Martin Buber. Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
A proposito del versetto dei salmi: “Quanto a lungo terrò consigli nella mia anima, affanno nel mio cuore”, lo Jehudi disse: “Fino a che tengo consigli nella mia anima, il dolore sarà tutto il giorno nel mio cuore. Soltanto quando non so più che consigliarmi e rinunzio a tutti i consigli e non conosco altro aiuto che da Dio, mi verrà aiuto”. (Martin Buber, I racconti dei Chassidim).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 13 Aprile 2018ultima modifica: 2018-04-13T22:07:53+02:00da fraternidade
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