Giorno per giorno – 12 Aprile 2018

Carissimi,
“Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa. Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio incombe su di lui” (Gv 3, 35-36). È ciò che il Battista risponde ai suoi discepoli che l’avvertono che anche Gesù si è messo a battezzare e “tutti vanno da lui” (v. 26). A loro egli aveva prontamente ribattuto: “Nessuno può prendersi qualcosa se non gli è stato dato dal cielo” (v. 27), ed ora specifica che Dio ha messo tutto nelle sue mani. E meno male, perché, in genere, chi si arroga il monopolio di Dio e della sua verità tende a dire e a fare proprio il contrario, mentre di Gesù sappiamo con certezza che “quale il Padre, tale il Figlio”. E non c’è verso di sbagliare. Ma, appunto, bisogna conoscere il Figlio, per sapere come agisce Dio e come deve procedere l’uomo. E non semplicmente conoscere, ma credere, cioè aderire profondamente con tutto noi stessi alla verità del Padre che egli incarnò. Solo così ci è dato di accedere alla vita divina, che è l’esistenza spesa nel dono di sé per la vita degli altri. Diversamente dovremo rassegnarci a sperimentare quella che impropriamente è chiamata l’ira di Dio, ma che è solo l’infelicità determinata dalla sua assenza, dall’esilio a cui l’abbiamo condannato, avendo scelto come criterio delle nostre azioni, non il suo amore incondizionato, ma la rapina a nostro vantaggio di tutto ció che (persona o cosa) ci è venuto a portata di mano, e che abbiamo immaginato ci potesse (illusoriamente) fare grandi a danno degli altri. Che è la storia come la conosciamo di un mondo non ancora redento.

Il calendario ci porta la memoria di don Primo Mazzolari, profeta di pace e di non-violenza, e di Valdes (o Valdo), riformatore della Chiesa.

Primo Mazzolari era nato al Boschetto, frazione di Cremona, il 13 gennaio 1890, da Luigi e Grazia Bolli, una famiglia di piccoli affittuari contadini. Entrato in seminario dodicenne, fu ordinato prete il 24 agosto 1912. Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, chiese ed ottenne di essere arruolato e, nel 1918 fu mandato come cappellano militare sul fronte francese, dove restò fino alla fine della guerra. Nel 1920, fu nominato parroco a Bozzolo e, due anni più tardi, a Cicognara, un paese a forte tradizione socialista, dove rimase per dieci anni. Qui iniziò la sua opposizione al fascismo. Ritornato a Bozzolo, nel 1932, prese a pubblicare i suoi scritti, in cui, con coraggio e onestà, segnalava limiti e manchevolezze della Chiesa, nonché l’esigenza per l’Italia di una profonda riforma morale e culturale. Il che, dati i tempi, si tradusse in grane, a livello ecclesiastico e politico. Durante la drammatica e opprimente esperienza della Repubblica Sociale Italiana, don Primo approfondì i suoi contatti con la Resistenza, al punto di essere arrestato. Rilasciato, passò l’ultimo periodo in clandestinità. A partire dal 1945, sue preoccupazioni maggiori furono l’impegno per l’evangelizzazione, la pacificazione, la costruzione di una società più giusta, il dialogo con i lontani. Nel gennaio 1949 fondò e diresse il periodico “Adesso” la cui pubblicazione fu sospesa, per l’intervento del Vaticano, nel febbraio 1951, riprendendo solo nel novembre, con la direzione di un laico. Nel 1955 apparve anonimo Tu non uccidere, con cui il parroco di Bozzolo si faceva sostenitore dell’obiezione di coscienza, pronunciando un durissimo atto di accusa contro tutte le guerre. Nel novembre del 1957, chiamato da mons. Montini, predicò alla Missione di Milano. Nel febbraio 1959, infine, il nuovo papa, Giovanni XXIII, lo ricevette in udienza in Vaticano. L’accoglienza ricevuta, come ebbe a dire ritornando a Bozzolo, lo ripagava di ogni amarezza sofferta. Morì poco tempo dopo, il 12 aprile 1959.

Valdes era nato a Lione nel 1140. Divenuto mercante, praticando l’usura senza troppi scrupoli, si era ben presto arricchito. Una domenica, udì raccontare da un trovatore le vicende e la morte di sant´Alessio, che era vissuto come mendicante nella casa del proprio padre. Commosso, l’indomani mattina si recò ad una scuola di teologia per chiedere quale fosse la via più sicura che portasse a Dio. Gli risposero con la frase del Vangelo: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi tutto ciò che hai e, il ricavato, dallo ai poveri”. Fu ciò che egli fece. Attorno a lui si radunarano presto molti seguaci, i “poveri di Lione”, con un programma di vita basato sulla povertà e sulla predicazione dell’evangelo, in uno stile di vita che intendeva seguire da vicino quello degli apostoli di Gesù. Le critiche mosse alle ricchezze del clero e la pratica della predicazione da parte dei laici, gli attirarono però la sconfessione delle autorità ecclesiastiche. Nel Concilio Lateranense (1179), papa Alessandro III, pur approvando le norme di vita dei suoi seguaci, aveva proibito loro la predicazione e la diffusione dei testi biblici. Nel 1184, tuttavia, Lucio III ritenne più sicuro scomunicarli, dando inizio ad un’aperta repressione, che costrinse i poveri di Lione a rifugiarsi nelle ospitali e sicure valli del Piemonte e del Delfinato. La condanna ufficiale e definitiva della Chiesa venne divulgata nel 1215. Due anni dopo, il 12 aprile 1217, Valdes moriva. Dall’esempio e dalla predicazione sua e dei poveri di Lione nacque la Chiesa Valdese, di cui furono caratteristiche lungo i secoli la rinuncia al potere politico, all’uso della forza e all’alleanza con le potenze del mondo.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap. 5, 27-33; Salmo 34; Vangelo di Giovanni, cap.3, 31-36.

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

Il 27 Nissan, che coincide quest’anno con il 12 aprile, segna il ricordo dello Yom haShoah, il Giorno della Catastrofe, o la Memoria dell’Olocausto, che vide lo sterminio di sei milioni di ebrei (un milione e mezzo bambini) ad opera della barbarie nazista e dei suoi complici. Se è vero che gli ebrei non furono le sole vittime del regime di Hitler (che, infatti, eliminò anche milioni di altre persone, tra cui zingari, disabili fisici e mentali, polacchi, prigionieri di guerra sovietici, sindacalisti, avversari politici, obiettori di coscienza, omosessuali e altri), essi furono però il solo gruppo che i nazisti cercarono di distruggere per intero. Questo è ciò che disegna l’unicità di Auschwitz, la cui esistenza rappresenta un’onta irrimediabile per la storia del nostro tempo, che smentisce tra l’altro da sé la favola delle radici cristiane dell’Europa. Anche se è vero che ci furono qua e là cristiani (e non solo essi) che non esitarono a mettere a repentaglio la loro vita e la sicurezza delle loro famiglie per opporsi alla macchina dello sterminio messa in moto dai nefasti regimi dell’epoca.

Per stasera, è tutto. Noi ci congediamo, offrendovi in lettura una parola di don Primo Mazzolari. Tratta dal suo libro “Tu non uccidere” (La Locusta), è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Il cristiano che non si scopre in contraddizione con il vangelo di pace, o non si è mai guardato in colui che – essendo segno di contraddizione – svela i pensieri degli uomini oppure ama ingannare se stesso. La misura della nostra elevazione spirituale viene fornita dalla maggiore o minore consapevolezza delle nostre contraddizioni, la quale ci distoglie dal sentirci soddisfatti e dal legare lo Spirito al nostro corto passo e ai nostri brevi traguardi. Non è forse una contraddizione che dopo venti secoli di Vangelo gli anni di guerra sono più frequenti degli anni di pace? Che sia tutt’ora valida la regola pagana “si vis pacem, para bellum”? Che l’omicida comune sia al bando come assassino, mentre chi, guerreggiando, stermina genti e città sia in onore come un eroe? Che nel Figlio dell’uomo, riscattato a caro prezzo dal Figlio di Dio, si scorga unicamente e si colpisca senza pietà il concetto di nemico per motivi di nazione, di razza, di religione, di classe? Che l’orrore cristiano del sangue fraterno si fermi davanti ad una legittima dichiarazione di guerra da parte di una legittima autorità? Che una guerra possa portare il nome di “giusta” o di “santa” e che tale nome convenga alla stessa guerra combattuta dall’un campo all’altro per opposte ragioni? Che si invochi il nome di Dio per conseguire una vittoria pagata con la vita di milioni di figli di Dio? Che venga bollato come disertore o punito come traditore chi, ripugnandogli in coscienza il mestiere delle armi, che è mestiere di uccidere, si rifiuta al “dovere”? Che sia fatto tacere colui, che per sé soltanto, senza la pretesa di coniugare una regola per gli altri, dichiara di sentire come peccato anche l’uccidere in guerra? Che si dica di volere la pace e poi non ci si accordi sul modo, appena sopraggiunge il dubbio che ne scapiti la potenza, l’orgoglio, l’onore, gli interessi della nazione? Che si predichi di porre la vita eterna al di sopra di ogni cosa, e poi ci si dimentichi che il cristiano è l’uomo che non ha bisogno di riuscire quaggiù? Crediamo che questi pochi accenni bastino per dare rilievo alla nostra sostanziale contraddizione, per metterci in vergogna davanti a noi stessi e per sentirci meno sicuri in un argomento ove la nostra troppa sicurezza potrebe degenerare in temerarietà o in un delittuoso conformismo alle opinioni dominanti. (Primo Mazzolari, Tu non uccidere).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 12 Aprile 2018ultima modifica: 2018-04-12T22:06:45+02:00da fraternidade
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