Giorno per giorno – 11 aprile 2018

Carissimi,
“Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui” (Gv 3, 16-17). Quasi ad ogni pagina di vangelo che si ascolta viene da dire: qui c’è il nucleo vivo della nostra fede!, ma davanti a qualche pagina, come quella di oggi, questo succede anche di più. Tempo fa, proprio a riguardo di questi versetti, dicevamo agli amici della chácara di recupero: se anche perdessimo tutti i vangeli e gli altri scritti del Nuovo Testamento, ma salvassimo queste poche righe, avremmo tutto ciò che basta per intendere in che cosa credere e per che cosa vivere. Dio, il mistero delle origini, ci si è consegnato nel Figlio, per dirci, nella sua vita, parole, gesti, azioni, ma soprattutto nella sua passione e morte, l’infinitezza, incondizionatezza e universalità della sua dedizione amorosa, offrendocela come cifra per entrare e vivere già qui ed ora la sua stessa vita (eterna) che noi, necessariamente balbettando, definiamo come le relazioni di comunicazione, comunione e amore della Trinità. La nostra missione di figli consisterà allora nel non attardarci a giudicare il mondo, ma, battezzati nella morte del Signore, cooperare per salvarlo dalle trame del potere delle tenebre, che seminano oppressione, sfruttamento, violenza, esclusione e morte. Questo è vivere da risorti.

Oggi il nostro Calendario ecumenico ci porta le memorie di Calinic di Cernica, monaco e pastore, e di George Augustus Selwyn, pastore e testimone di Cristo in Nuova Zelanda. Anniversario dell’enciclica “Pacem in Terris” di Giovanni XXIII.

Costantino Antonescu era nato a Bucarest nel 1787 e a vent’anni, dopo una brillante carriera negli studi, aveva deciso di votarsi alla vita monastica, entrando nel monastero di Cernica, dove assunse il nome di Calinic. Uomo ascetico, amante dell’orazione e profondamente umile, manifestò da subito i tratti di una spiritualità matura ed equilibrata, al punto che la comunità lo volle come suo confessore e padre spirituale, quando era solo ventiseienne. Eletto quattro anni più tardi igumeno del monastero, mantenne quest’ufficio per trentun anni, dando un forte impulso alla vitalità dello stesso. Eletto vescovo di Rimnicul Valcea nel 1850, Calinic riuscì in pochi anni a rinnovare la vita di quella Chiesa, prima di far ritorno al suo amato monastero ove si spense l’11 aprile 1868.

George Augustus Selwyn nacque il 5 aprile 1809 a Hampstead, in Inghilterra, figlio di un avvocato costituzionalista, William Selwyn e di sua moglie, Laetitia Frances Kynaston. Durante i suoi studi, a Ealing, divenne amico inseparabile di John H. Newman, il futuro cardinale e santo. La sua carriera universitaria, a Eaton e a Cambridge, fu segnata dall’assegnazione di numerosi premi al merito, sia come studente che come atleta. Selwyn era infatti, tra l’altro, un eccellente nuotatore. In quegli stessi anni maturò la sua vocazione ecclesiastica, che lo portò ad essere ordinato diacono nel 1833 e presbitero l’anno successivo. Nel giugno 1839, sposò, a Londra, Sarah Harriet Richardson e, due anni dopo, fu nominato e consacrato primo vescovo della Nuova Zelanda. Come prima cosa, decise di imparare la lingua maori, in modo da poter predicare già al suo arrivo nella lingua del posto. Subito dopo si mise a fondare comunità non solo nella Nuova Zelanda, ma in quasi tutte le isole della Melanesia. Si sentì autorizzato a farlo, perché il documento di nomina, per un errore dell’estensore, indicò i limiti della nuova diocesi a 34 gradi di latitudine a nord dell’equatore, invece che 34 gradi di latitudine a sud. (Sarà solo nel 1957 che le isole diventeranno una provincia separata della comunione anglicana). Durante gli anni del suo episcopato in quella regione fu sempre attento a non entrare in concorrenza con le missioni di altre chiese, per evitare di porre ostacoli al libero annuncio della Parola di Dio. Nella situazione di tensione tra la potenza coloniale britannica e le popolazioni locali, Selwyn difese sempre i diritti degli indigeni e, nel Primo Sinodo Generale della Chiesa in Nuova Zelanda, garantì l’adozione del principio della piena partecipazione dei cristiani Maori al governo della Chiesa. Nel 1867, Selwyn fu nominato vescovo di Lichfield, in Inghilterra, dove fece ritorno sia pure riluttante e ove visse fino all’11 aprile del 1878.

L’11 Aprile 1963, Giovanni XXIII rendeva pubblica l’enciclica Pacem in Terris, che rappresenta il vertice del suo magistero sul tema della Pace. È una parola che non cessa di interpellare la Chiesa e l’intera comunità umana. In tempi che ne sembrano ancora assai lontani. Così noi, abbiamo fatto di oggi, una giornata di preghiera intensa per la Pace nel mondo.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap.5, 17-26; Salmo 34; Vangelo di Giovanni, cap.3, 16-21.

La preghiera del mercoledì è in comunione con tutti gli operatori di pace, quale ne sia il cammino spirituale o la filosofia di vita.

Oggi ricorre anche l’anniversario della morte dello scrittore Primo Levi che scelse di por fine ai suoi giorni, gettandosi nella tromba delle scale della sua casa, a Torino. Sopravvissuto alla terribile esperienza dei lager nazisti, ne aveva offerto attraverso i suoi scritti una lucida denuncia e una cruda testimonianza. Questo, tuttavia, senza riuscire a scrollarsi di dosso quanto, dal di fuori, può apparire un’assurda vergogna e un paradossale complesso di colpa, per essere, appunto, sopravvissuto, su cui si venne innestando, nel tempo, il progressivo convincimento della sostanziale inutilità della propria testimonianza, incapace di trovare reale ascolto e di impedire il ripetersi di quelle tragedie. Nel congedarci, cediamo la parola a lui, offrendovi in lettura una sua poesia, dal titolo “La bambina di Pompei”. Che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Poiché l’angoscia di ciascuno è la nostra / Ancora riviviamo la tua, fanciulla scarna / Che ti sei stretta convulsamente a tua madre / Quasi volessi ripenetrare in lei / Quando al meriggio il cielo si è fatto nero. / Invano, perché l’aria volta in veleno / È filtrata a cercarti per le finestre serrate / Della tua casa tranquilla dalle robuste pareti / Lieta già del tuo canto e del tuo timido riso. / Sono passati i secoli, la cenere si è pietrificata / A incarcerare per sempre codeste membra gentili. / Così tu rimani tra noi, contorto calco di gesso, / Agonia senza fine, terribile testimonianza / Di quanto importi agli dei l’orgoglioso nostro seme. / Ma nulla rimane fra noi della tua lontana sorella, / Della fanciulla d’Olanda murata fra quattro mura / Che pure scrisse la sua giovinezza senza domani: / La sua cenere muta è stata dispersa dal vento, / La sua breve vita rinchiusa in un quaderno sgualcito. / Nulla rimane della scolara di Hiroshima, / Ombra confitta nel muro dalla luce di mille soli, / Vittima sacrificata sull’altare della paura. / Potenti della terra padroni di nuovi veleni, / Tristi custodi segreti del tuono definitivo, / Ci bastano d’assai le afflizioni donate dal cielo. / Prima di premere il dito, fermatevi e considerate. (Primo Levi, La bambina di Pompei)

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 11 aprile 2018ultima modifica: 2018-04-11T22:05:29+02:00da fraternidade
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