Giorno per giorno – 04 Agosto 2017

Carissimi,
“Gesù venuto nella sua patria insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: Da dove mai viene a costui questa sapienza e questi miracoli? Non è egli forse il figlio del carpentiere?” (Mt 13, 54-55). Ovvero, quando noi si pensa di sapere tutto ciò che c’è da sapere di qualcuno. In questo caso, di Gesù. Troppo umano, per essere divino, per i suoi concittadini di Nazareth, e, forse, troppo divino, per essere così umano come ci è raccontato dai vangeli, per molti di noi, duemila anni dopo. Il risultato è lo stesso: Gesù non può lasciarci “segni” che ci cambino la vita, perché non riesce a scavalcare la nostra incredulità, travestita di fede. Una fede di cui ripetiamo le formule e i gesti, senza approfondire cosa significhino e cosa comportino. I miracoli di Gesù (e il primo e piú vero miracolo è lui stesso) non sono segni della potenza di Dio, sono invece segni del suo agire, che intendono influire su e poi orientare il nostro. Ma bisogna, appunto, credere che sono di Dio. Del Dio fatto uomo, che abita e abiterà per sempre la nostra storia, non come rifugio alle nostre devozioni, ma come appello alla sua compagnia e sequela. In ogni situazione, anche la più umile e anonima, accogliendo Cristo, che si fa presente negli ultimi, ed essendo Cristo (cercando di esserlo) che si fa loro incontro.
 
Ricorrono oggi le memorie di  Giovanni Maria Vianney, il Curato d’Ars, don Aldo Meli, martire del totalitarisco nazista,  mons. Henrique Angelelli, vescovo martire di la Rioja, e di Anthony Bloom di Sourozh, metropolita ortodosso e maestro spirituale.
 
Giovanni Maria Vianney era nato l’8 maggio 1786 da una famiglia contadina a Dardilly, nei pressi di Lione. Voleva farsi prete, ma negli studi si rivelò presto una frana. Fu chiamato ad arruolarsi nell’esercito napoleonico, ma non gli andava proprio di servire in armi il ducetto che aveva, tra gli altri, il grosso torto di aver messo in prigione il suo papa, Pio VII. Decise di disertare, restando poi nascosto fino al 1810, quando un’amnistia gli permise di tornare alla vita civile e di riprendere la sua formazione. I superiori decisero alla fine, nel 1815, di ordinarlo sacerdote. Più per disperazione che per convinzione, dato che “il suo zelo e la sua spiritualità compensavano la mancanza di preparazione accademica”. Questo, devono aver pensato, non può rappresentare la norma, ma a volte vale la pena. E, difatti. Dopo due anni come vicario a Ecully, è mandato ad Ars. Ma da lì vorrebbe presto scappare. I suoi parrocchiani non sembrano voler capire il suo Vangelo esigente e rigoroso. Lui, del resto, si sente così inadeguato! Tiene comunque duro. Vivendo di niente, quasi non dormendo. Dicendo messa, o in ginocchio davanti al tabernacolo, o piazzato per ore (certi giorni fino a diciotto) in confessionale. Guardato dall’alto in basso o con sarcasmo dagli altri preti, colti e navigati. Ma da lui comincia ad arrivare la gente (di ogni tipo e, presto, da ogni dove), che trova in questo piccolo insignificante prete chi sa ascoltarla, consigliarla, confortarla. Sarà così sino alla morte, avvenuta il 4 agosto 1859.
 
Aldo Mei era nato il 3 marzo 1912 a Ruota (Lucca), nella famiglia di Assunta e Antonio Mei. Entrato in seminario nel 1925, fu ordinato presbitero il 29 giugno 1935 e nominato subito dopo parroco a Fiano di Pescaglia (Lucca). Divenuto vicario foraneo del Vicariato di Monsagrati (Lucca), dopo l’8 settembre 1943, offrì spesso rifugio ad ebrei, a disertori del regime fascista e a perseguitati politici. Il 2 agosto 1944, nel corso di un rastrellamento tedesco, fu arrestato dai nazisti, subito dopo aver celebrato la messa nella sua parrocchia. Rinchiuso nella Pia Casa di Lucca, con altri trenta civili, fu processato dal comando tedesco con l’accusa di aver dato rifugio ad un giovane ebreo, Adolfo Cremisi, e di aver dato assistenza spirituale ai partigiani. Riconosciuto colpevole, fu condannato a morte. A nulla valse il tentativo in extremis di salvarlo dell’arcivescovo di Lucca. Alle ore 22 del 4 agosto 1944, una pattuglia di SS lo portò a piedi sotto gli spalti delle Mura di Lucca nei pressi di Porta Elisa. Lì, fu costretto a scavarsi la fossa e ad inginocchiarsi ai bordi di essa, per essere fucilato. Prima di essere colpito a morte con ventotto proiettili, volle, come Cristo, perdonare e benedire i suoi assassini.
 
Mons.Henrique Angelelli, vescovo di La Rioja (Argentina), era nato il 18 luglio 1923 a Cordoba, in Argentina. Ordinato prete nel 1949, fu consacrato vescovo il 12 marzo 1961 e destinato alla diocesi di La Rioja nel 1968. La sua vita e la sua voce rappresentarono una delle poche voci profetiche, certo la più alta, nella Chiesa argentina del suo tempo. Per la sua fedeltà al Vangelo del Regno e alla sua gente, fu amato dai poveri e odiato e combattuto dai potenti. Sequestrarono, torturarono e uccisero i preti e i cristiani della sua diocesi maggiormente impegnati. Lui, cercarono prima di distruggerlo moralmente e spiritualmente. Poi lo assassinarono, il 4 agosto 1976, simulando un incidente d’auto.
 
Andrei Borisovich Bloom era nato il 19 giugno 1914, a Losanna, in Svizzera, da Xenia (sorella del compositore Alexander Scriabin) e Boris Edwardovich Bloom, e aveva trascorso la sua fanciullezza in Persia, dove il padre era membro della diplomazia imperiale russa. Nel 1923, dopo la rivoluziane bolscevica, la famiglia lasciò la Persia e si stabilì a Parigi, dove il giovane Andrei, dopo aver studiato fisica, chimica e biologia, si laureò in medicina all’Università di Parigi. Nel 1939, prima di partire per il fronte come chirurgo, Andrei emise segretamente i suoi voti monastici nella Chiesa Ortodossa Russa. Nel 1943 fece la sua professione solenne, assumendo il nome di Anthony. Durante l’occupazione nazista della Francia, lavorò come chirurgo e prese parte alla Resistenza. Dopo la guerra continuò ad esercitare la sua professione di medico, fino al 1948, quando fu ordinato prete e fu inviato in Inghilterra, come cappellano presso la Compagnia di S. Albano e S. Sergio. Nominato vicario della Parrocchia patriarcale russa a Londra, nel 1950, fu consacrato vescovo nel 1957 e, nel 1962, Arcivescovo della Chiesa Ortodossa Russa di Gran Bretagna e Irlanda, alla guida della diocesi di Sourozh. Nel 1963 fu nominato Esarca per l’Europa occidentale del Patriarcato Ortodosso di Mosca, e nel 1966, elevato al rango di Metropolita. Nel 1974 chiese di essere sollevato dall’incarico di Esarca, per dedicarsi esclusivamente alla cura pastorale dei fedeli e di quanti, in numero crescente, ricorrevano al suo consiglio e al suo aiuto. Anthony di Sourozh si è spento il 4 Agosto 2003, all’età di 89 anni. È sepolto nel cimitero di Brompton, a Londra. È annoverato tra le personalità ecclesiali più considerevoli del nostro tempo ed è autore di libri sulla preghiera e sulla vita cristiana apprezzati in Oriente e in Occidente da cristiani di tutte le confessioni.
 
I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro del Levitico, cap.23, 1. 4-11. 15-16. 27. 34b-37; Salmo 81; Vangelo di Matteo, cap.13, 54-58.
 
La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli dell’Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e misericordioso.
 
È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, con una citazione di Anthony Bloom, tratta libro “La preghiera giorno dopo giorno” (Qiqajon) che è, per oggi, il nostro
 
PENSIERO DEL GIORNO
La nostra stessa giornata è benedetta da Dio. Questo non significa forse che ogni cosa che essa contiene, ogni evento che accade nel corso di essa è volontà di Dio? Credere che le cose accadono solo per caso non è credere in Dio. E se accogliamo tutto quel che avviene e ogni persona con questo spirito, ci accorgeremo che siamo chiamati a compiere l’opera dei cristiani in ogni cosa. Ogni incontro è in Dio e in vista di lui. Siamo inviati a tutti quelli che incontriamo nel nostro cammino, sia per dare che per ricevere, a volte senza neppure saperlo. Qualche volta sperimentiamo la meraviglia di dare quel che non possediamo, altre volte ci tocca pagare con il sangue quel che diamo agli altri. Dobbiamo anche saper ricevere. Dobbiamo essere capaci di incontrare il prossimo, di guardarlo, di ascoltarlo, di tacere, di prestare attenzione; dobbiamo saper amare e rispondere con tutto il cuore a quel che ci viene offerto, che sia gioia o amarezza, una cosa triste o qualcosa di meraviglioso. Dovremmo essere del tutto ricettivi, come della creta nelle mani di Dio. Le cose che accadono nella nostra vita, accolte come doni di Dio ci daranno per questa ragione l’occasione di rinnovare incessantemente la nostra creatività, svolgendo l’opera che compete a un cristiano.  (Anthony Bloom, La preghiera giorno dopo giorno)
 
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 04 Agosto 2017ultima modifica: 2017-08-04T20:42:46+02:00da fraternidade
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