Giorno per giorno – 21 Luglio 2017

Carissimi,
“Ora io vi dico che qui c’è qualcosa più grande del tempio. Se aveste compreso che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio, non avreste condannato persone senza colpa. Perché il Figlio dell’uomo è signore del sabato” (Mt 12, 6-8). C’è una parola che viene prima di ogni altra e che è, se vogliamo, la stessa essenza di Dio, ed è la misericordia, l’amore materno del Padre. Preliminare ad ogni legge, ad ogni sua interpretazione e applicazione. L’avevano già intuito nel Primo Testamento, che Gesù, non a caso, cita ripetutamente. Dopo di lui, con l’esasperazione del tema disegnato dalla sua morte, non ci è permesso più nessun equivoco. Misericordia ad oltranza, costasse pure la morte di Dio. Del Dio come siamo abituati a concepirlo, dell’onnipotente che risulta sempre vincente. E lo è, ma non come lo pensiamo noi, dato che è nel suo accettare di morire e venir meno, che si manifesta l’insopprimibilità e la vittoria dell’amore. Che è lo stesso Dio. Quindi, figurarsi se per lui conta qualcosa la trasgressione di una legge, pur fondamentale, come il Sabato. L’uomo è più importrante del tempio, anche del tempio del sabato, perché l’uomo è il padrone del sabato. Ogni legge è data perché lui viva, non perché soffra e muoia. Parola di Dio.

Oggi il nostro calendario ci porta le memorie di Alejandro Labaca e Inés Arango, missionari e martiri nella foresta ecuadoriana; di Albert John Luthuli, testimone di pace; e di Franco Rodano, uomo dell’Esodo.

Il 21 luglio 1987 cadevano nella foresta amazzonica dell’Ecuador monsignor Alejandro Labaca, vescovo cappuccino del Vicariato apostolico di Aguarico, e suor Inés Arango, terziaria cappuccina della Congregazione della Sacra Famiglia. Alejandro Labaca era nato il 19 aprile 1920 a Beizama (Spagna). Cappuccino dal 1942, e sacerdote dal 1945, era stato mandato missionario in Ecuador, dove aveva speso decenni nell’approssimazione agli indigeni della regione amazzonica, apprendendo e condividendo con loro, lingua, costumi, tradizioni, modo di vestire e di mangiare. Riuscì a farsi benvolere da tutti i gruppi huaorani, meno uno, i tagairi, che non avevano mai accettato l’intromissione di nessuno sul loro territorio. Nominato vescovo di Aguarico, il 2 Agosto 1984, denunciò ripetutamente le violazioni del diritto alla vita, alla terra e alla salvaguardia della propria cultura perpetrate ai danni dei popoli della foresta da parte delle compagnie petrolifere, delle istituzioni e del governo. Quando, nel luglio del 1987, seppe che la Petrobras era decisa ad entrare nella regione abitata dai tagairi, volle recarvisi, con suor Inés Arango, benché entrambi fossero consapevole dei rischi che questo implicava. Il piano era discutere con gli indigeni la maniera di sfuggire al probabile sterminio. Il 21 luglio 1987, il vescovo e la suora furono depositati da un elicottero in una radura della foresta, e non se ne seppe più nulla fino al giorno, quando i loro corpi furono trovati, trafitti con decine di colpi di lancia. “Morti come huaorani, in difesa degli huaorani, uccisi dagli huaorani, ritenuti nemici, confusi con i loro nemici”.

Albert John Luthuli era nato nel 1898 a Bulawayo (nell’attuale Zimbabwe) dove il padre era missionario. Il nonno era capo di una piccola tribù a Groutville nella riserva della missione di Umvoti vicino a Stanger, nel Natal (Sudafrica). Alla morte del padre, Luthuli con la madre e il resto della famiglia fece ritorno al paese d’origine. Conseguito il diploma di insegnante, Luthuli sposò, nel 1927, Nokukhanya Bhengu, da cui avrà sette figli. Nel 1928 divenne segretario dell’Associazione degli Insegnanti africani e crebbe, nel frattempo, la sua attività in seno alla Chiesa congregazionalista di cui faceva parte. Il 1° gennaio 1936, lasciato l’insegnamento, subentrò allo zio nella guida della tribù, e mantenne la carica fino al 1952, quando fu “dimissionato” dal Governo della minoranza bianca del Sudafrica. Questo gli consentì, tuttavia, di dedicarsi a tempo pieno alle attività del ANC (Congresso Nazionale Africano), fino ad emergere come suo leader nazionale. La strategia dell’ANC combinava educazione politica e resistenza attiva non-violenta, i cui strumenti erano gli scioperi, il boicottaggio e la disobbedienza civile. La partecipazione alla lotta non-violenta per la fine del regime dell’apartheid si tradusse in ripetuti arresti e condanne al confino. Ma, gli valse, a livello internazionale, il conferimento del premio Nobel per la Pace, nel 1960. Contrariamente a quanti, suoi compagni di lotta, vedevano nel cristianesimo niente più che la religione degli oppressori, continuò a vivere con intensità e coerenza la sua fede cristiana. Vedendo, anzi in essa, la motivazione più vera e la radice più profonda del suo impegno politico. Luthuli morì il 21 luglio 1967 in un drammatico incidente ferroviario.

Franco Rodano è un nome che, oggi, forse, dice poco ai più, ma che ha significato molto per la generazione di cattolici, cresciuta, in Italia, nel crogiuolo della lotta antifascista e per quella che nel dopoguerra si è data come compito, nella confluenza con le forze espresse dal movimento operaio, quello di pensare e di aprire le vie di una salvezza storica, a partire dall’eliminazione dell’individualismo e dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Nato a Roma il 6 agosto 1920, Rodano iniziò la sua carriera come antifascista militante nelle file dell’Azione cattolica e della Fuci. All’inizio degli anni quaranta è tra i promotori di quello che sarà il Partito comunista cristiano. Incarcerato e deferito al Tribunale Speciale, dopo l’8 settembre fonda il Movimento dei cattolici comunisti, chiamato in seguito Partito della sinistra cristiana. Allo scioglimento di questo, con altri militanti e dirigenti del partito aderisce al Pci, contribuendo con la sua riflessione al superamento della pregiudiziale atea e delle strettoie ideologiche che avevano caratterizzato fino ad allora il maggiore partito della sinistra italiana. Sofferta, ma senza cedimento alcuno a sterili forme di ribellismo, fu la sua testimonianza di fede. Colpito nel 1947 da interdetto, nonostante la sofferenza che la misura gli causa, Rodano continuerà con umiltà e costanza la sua partecipazione alla vita della Chiesa, nei limiti stabiliti dall’autorità ecclesiastica, fino a che la sanzione sarà ritirata, nel clima aperto dal Concilio Vaticano II, e poi fino alla morte, avvenuta a Monterado (Ancona) il 21 luglio 1983.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro dell’Esodo, cap.11, 10-12.14; Salmo 116B; Vangelo di Matteo, cap.12, 1-8.

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli dell’Umma islamica, che confessa l’unicità del Dio clemente e misericordioso.

E, per stasera, è tutto. Noi ci si congeda, offrendovi in lettura una citazione di Franco Rodano, tratta dal suo libro “Lezioni di Storia ‘possibile’” (Marietti). Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Cosa vuol dire, oggi, portare la nostra società sotto il segno dell’eguaglianza? Vuol dire tendere tutte le nostre forze storiche positive verso il conseguimento di una grande mèta dell’umanità: di una mèta che realmente faccia compiere a tutti un decisivo passo in avanti. Una società che si muova sotto il segno dell’eguaglianza, nella concreta situazione storica attuale, è una società che tende a superare l’opulenza. Con questo, abbiamo forse liquidato ogni figura sociale diversa, specifica? Niente affatto. Tutti dobbiamo rientrare sotto una delle figure sociali e tutti dobbiamo, in tal modo, ordinarci a un fine comune; dunque dobbiamo essere tutti – direbbe san Paolo – servi di Dio. Se si vuole – poiché del resto, dopo il messaggio cristiano, è praticamente la stessa cosa -, tutti dobbiamo essere al servizio dell’uomo. Una società in cui le diverse figure sociali servano tutte l’uomo: è questa una società realmente sotto il segno dell’eguaglianza. Non di quella fondamentale e assoluta, perché delle differenze rimangono. Non è – per adoperare il linguaggio della Critica al programma di Gotha – una società “comunista avanzata”, ma una società “comunista” nella sua “prima fase”, ove ancora sussiste un ordinamento giuridico in cui sta scritto: da ciascuno secondo le sue possibilità, a ciascuno secondo il suo lavoro. Una società, dunque, in cui c’è il lavoro, e per la quale non si può ancora scrivere: da ciascuno secondo le sue possibilità, a ciascuno secondo i suoi bisogni, indipendentemente dal lavoro che eroga. Questo sarebbe infatti il “comunismo” compiuto, questa sarebbe l’eguaglianza assoluta, in cui i bisogni del singolo non vengono più soddisfatti in corrispondenza al contributo da lui dato alla società; siamo ormai entrati, per Marx, nell’ “abbondanza”, e quindi ci si avvicina a quell’eguaglianza fondamentale e assoluta, dove veramente non ci sono più delle diferenze, e che, in san Paolo, è un’eguaglianza propriamente religiosa. Per Paolo è un’eguaglianza che si consegue quando passa la scena di questo mondo, per Marx durante la scena di questo mondo, poiché ciò che passa è soltanto, per lui, il processo storico. La differenza sta tutta lì. (Franco Rodano, Lezioni di storia “possibile”. Le lettere di san Paolo e la crisi del sistema signorile).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 21 Luglio 2017ultima modifica: 2017-07-21T22:37:37+02:00da fraternidade
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