Giorno per giorno – 18 Luglio 2017

Carissimi,
“Guai a te, Corazin! Guai a te, Betsaida. Perché, se a Tiro e a Sidóne fossero stati compiuti i miracoli che sono stati fatti in mezzo a voi, già da tempo avrebbero fatto penitenza, ravvolte nel cilicio e nella cenere. Ebbene io ve lo dico: Tiro e Sidóne nel giorno del giudizio avranno una sorte meno dura della vostra” (Mt 11, 211-22). È il lamento di Gesù sulle città del lago. Quelle in cui egli ha svolto gran parte del suo ministero e compiuto i suoi miracoli. Di cui anche noi, sua chiesa, ascoltiamo ripetutamente il racconto, senza però, proprio come allora, capirne il senso e ciò a cui intendono richiamarci. Per questo Gesù eleva il suo lamento. La nostra storia personale – e anche quella più grande in cui siamo inseriti – sarebbe stata, sarebbe, diversa, se noi ci fossimo fatti più attenti alla Parola che in lui ci è stata manifestata. Le nazioni che diciamo pagane, così come le persone che consideriamo mondane, avranno un bilancio in molti casi più positivo del nostro, perché, a uguaglianza di comportamenti, potranno accampare come scusante il fatto di non aver conosciuto l’annuncio recatoci da Gesù. Stasera, ci dicevamo che la nostra stessa preghiera ci rivela quanto si sia ancora lontani dal vivere le esigenze del vangelo del Regno. Incentrata come continua ad essere sui nostri, di bisogni, alla ricerca delle grazie, dei miracoli per noi, mentre il “segno” dei miracoli è sempre quello di sollecitarci ad uscire da noi stessi – in questo sta la conversione – per farci incontro agli altri, che è poi, ciò che fa Dio. Le notizie che spesso si ascoltano sui Paesi di civiltà cossidetta cristiana, le prese di posizione, i commenti che si leggono da parte di persone che si dicono cristiane, sono da brivido. Quanto basta a renderci convinti che Gesù tornerebbe a ripetere ciò che abbiamo ascoltato nel vangelo di oggi, che suona quasi una dichiarazione di fallimento. Nostra, certo, ma anche, in qualche modo sua, che sembrerebbe essersi dato invano per disegnarsi, nel dono di sé, come strada alla felicità e alla salvezza, mentre noi si insiste a fare delle nostre vite l’inferno che conosciamo.

Il nostro calendario ci porta oggi la memoria del Pastore luterano Paul Schneider, martire, vittima della barbarie nazista; e quella di Rienzo Colla, cristiano adulto.

Paul Schneider nacque il 29 agosto 1897, a Pferdsfeld, in Germania, secondo dei tre figli di Elizabeth e del pastore Gustav Adolf Schneider. Tornato dal fronte, dopo la Grande Guerra, iniziò i suoi studi teologici, che si conclusero con la sua ordinazione a pastore nel 1925. L’anno successivo sposò Margarete Dieterich, da cui avrà sei figli, e assunse la cura della chiesa di Hochelheim, succedendo al padre. Quando, nel 1933, Hitler salì al potere, il giovane pastore per qualche tempo si illuse che il nuovo Cancelliere, con l’aiuto della provvidenza, avrebbe guidato la Germani verso un futuro luminoso. Si rese però presto conto dell’abbaglio e ne trasse tutte le conseguenze. Nel 1934 entrò a far parte della Lega dei Pastori fondata dal pastore Martin Niemöller. Dopo ripetuti arresti, Schneider fu deportato nel lager di Buchenwald nel 1937, a motivo della sua opposizione al nazismo, e ripetutamente sottoposto a maltrattamenti e a torture crudeli per il rifiuto ripetutamente opposto a rendere omaggio alla croce uncinata di Hitler. Nell’aprile 1938 fu rinchiuso in isolamento nel bunker del campo, ove trascorse gli ultimi 14 mesi di vita. Da lì non cessò di proclamare la parola di Dio. Come testimonia un suo compagno di prigionia: “Nei giorni di festa, nel silenzio della conta, proveniente dalle tetre inferriate del bunker, risuonava improvvisamente la voce potente del pastore Schneider. Teneva la sua predica come un profeta, o meglio: la incominciava. La domenica di Pasqua, per esempio, improvvisamente udimmo le parole: ‘Così dice il Signore: Io sono la risurrezione e la vita!’. Le lunghe file dei prigionieri stavano sull’attenti, profondamente turbate dal coraggio e dall’energia di quella volontà indomita… Non poté mai pronunciare altro che poche frasi. Poi sentivamo abbattersi su di lui i colpi di bastone delle guardie…” Seriamente malato per le torture e gli stenti, il pastore confidò a un prigioniero: “Non c’è più un posto, in tutto il mio corpo, che non sia stato battuto fino a farlo diventare nero. Mi hanno fatto delle iniezioni; da quando mi hanno fatto la seconda, ho il cuore terribilmente agitato. Non vivrò più a lungo. Prima che ci lasciamo voglio benedirti, e pregherò per te, perché tu possa percorrere la via giusta”. L’eroico Pastore morì, qualche giorno dopo, il 18 luglio 1939, finito con un’iniezione di strofantina. Al suo funerale, presero parte 200 pastori e migliaia di partecipanti. Karl Barth scrisse allora: “Con la sua testimonianza egli ha dovuto mostrare e dire a molti qual è la posta in gioco, e Dio lo ha considerato degno di soffrire”.

“Mentre pensavo al nome da dare all’editrice, mi capitò di aprire il Vangelo, per trarne ispirazione. Era Matteo, capitolo tre, versetto quattro, dove parla di S. Giovanni Battista che mangiava locuste e miele selvatico. Mi colpì l’immagine di questo insetto che non mangiava, ma si faceva mangiare. E decisi che i libri che avrei stampato sarebbero stati piccoli, forse fastidiosi per qualcuno, ma fatti per essere mangiati”. Così Rienzo Colla narra l’invenzione della sua casa editrice, il cui primo volumetto ad essere pubblicato, nell’inverno del 1954, ebbe come titolo “La parola che non passa”, di don Primo Mazzolari. Complessivamente sarebbero stati una sessantina i titoli del profetico parroco di Bozzolo sugli oltre 250 pubblicati da “La Locusta”. Rienzo Colla era nato il 28 marzo 1921. Diciannovenne, aveva stretto amicizia con don Primo Mazzolari. Dopo la laurea in filosofia, partecipò alla Resistenza a Roma, per darsi poi, dopo la guerra, all’insegnamento di storia e filosofia. Conobbe don Giovanni Rossi e la Pro Civitate Christiana di Assisi, e nel 1952, fece ritorno a Vicenza, entrando in seminario dai Padri filippini, ma ne fu espulso, nel 1955, proprio a seguito della pubblicazione del libro di Don Mazzolari. Da allora “La Locusta” diede voce a una serie di personalità – uomini e donne, monaci e mistici, poeti e romanzieri, filosofi e teologi, preti scomodi e profeti della non violenza, pensatori cattolici e intellettuali laici della prima e della seconda metà del secolo – che, diversissimi tra loro, ma accomunati dalla ricerca appassionata di Dio e di un cristianesimo più evangelico, segnarono profondamente la vicenda culturale e ecclesiale del tempo: Simone Weil, Edith Stein, Thomas Merton, Rebora, Turoldo, Bernanos, Mounier, Chénu, Rahner, Milani, Balducci, Gandhi, Martin Luther King, Pasolini, Rodano, per citarne i più noti. Rienzo Colla è morto a Vicenza, il 18 luglio 2009.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro dell’Esodo, cap.2, 1-15a; Salmo 69; Vangelo di Matteo, cap.11, 20-24.

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.

Nelson Rolihlahla Mandela, il grande combattente per la libertà del Sudafrica, nato il 18 luglio 1918, compirebbe oggi novantanove anni. L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con risoluzione votata il 10 novembre 2009, ha deciso che tale data coincida con la celebrazione del Nelson Mandela International Day. Esso intende rappresentare un appello generale all’azione, a partire dalla convinzione che ogni individuo può contribuire a trasformare il mondo. Prendendo spunto dai sessantasette anni (di cui ventisette in carcere) spesi da Mandela nella lotta politica, per l’affermazione degli ideali di libertà e giustizia, il suggerimento è che ciascuno cominci col dedicare sessantasette minuti di questa giornata ad una buona causa. Questo perché si ha il fondato sospetto che poi ci si prenda gusto, arrivando così a fare di ogni giorno a venire un Mandela Day.

E, in tema di compleanni, oggi ricorre anche quello di don Andrea Gallo, di dieci anni più giovane di Mandela. Scegliamo di omaggiare lui, nel congedarci, con un fioretto dal sapore evangelico, tratto dal suo “Così in terra, come in cielo” (Oscar Mondadori), che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Maurizio entrava e usciva dal carcere per piccoli furti. Era ossessionato dai motorini e quando ne vedeva uno in strada assecondava l’impulso irrefrenabile di provarlo. Mica li vendeva, li parcheggiava sotto la canonica senza neppure ricordarsi di averli rubati. I raptus di Paolo invece lo portavano a svuotarci la cassa. Per tre volte prese i soldi della trattoria e poi tornò da me a chiedere perdono. “Ladro, ladro, ladro!” lo rimproverai. “Rubare in casa tua, ma come si può? Rubassi ai ricchi ti assolverei, anzi in alcuni casi mi aggregherei alla banda, ma lasciare a secco noi poveracci….”. Paolo si mortificava e mi pregava di non chiamarlo ladro. “Allora restituisci quello che hai preso” gli intimavo. “Magari potessi: ho regalato ogni lira”. Era così, appena il raptus svaniva, lui dava tutto ai primi che incontrava. Molti mi consigliavano di denunciarlo, altrimenti rischiava di farci finire sul lastrico a forza di sottrarci gli incassi: ma io mai lo avrei mandato in quella discarica che è il carcere. Venne a lavorare con serietà in trattoria finché non saldò il suo debito. E oltre. (Don Andrea Gallo, Così in terra, come in cielo).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 18 Luglio 2017ultima modifica: 2017-07-18T22:34:14+02:00da fraternidade
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