Giorno per giorno – 26 Dicembre 2012

Carissimi,

“Il fratello darà a morte il fratello e il padre il figlio, e i figli insorgeranno contro i genitori e li faranno morire. E sarete odiati da tutti a causa del mio nome” (Mt 10, 21). Stasera, ci dicevamo: strano questo vangelo il giorno dopo Natale. Con Gesù che solo ieri era bambino, ed ora, già adulto, insegna ai suoi e li mette in allarme. E, poi: tutto sommato non ci tocca. E anche: grazie a Dio, non viviamo più in tempo di persecuzioni. Ma, allora, possiamo decidere di chiudere qui, e tornarcene tranquillamente a casa. Eppure, no. E non solo perché è una “buona notizia” (?)  sempre straordinariamente attuale, che riguarda, sì, i discepoli del Signore, ma anche tanti, e sono i più, che neppure lo conoscono. Che vengono perseguitati e uccisi, o semplicemente (!) lasciati morire nella forma della negazione del “principio della cura”, che è ciò che il nome di Gesù significa. Ma anche perché, se guardiamo bene nel piccolo mondo alla nostra portata, ai vicini del bairro, ai fratelli di comunità, persino nell’ambito delle nostre famiglie, il darsi reciprocamente la morte, nella forma del disprezzo, del rancore, dell’indifferenza, cioè nella negazione del significato del Nome, proprio il giorno dopo – ma può anche essere lo stesso giorno – in cui abbiamo celebrato il Suo apparire nella nostra storia e nelle noste vite, è un’esperienza, a volte drammaticamente, reale. La liturgia ha voluto ricordarcelo, perché non pensassimo al Natale come ad una fiaba, che dura solo poche ore, giusto il tempo per annebbiarci il cervello (con o senza abbondanti libagioni), per sentirci un po’ più buoni. Che se fosse solo questo, è meglio abolirlo. Valendo per esso, ciò che Gesù ha detto per l’offerta presentata all’altare del Signore: “Se ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, va1 prima a riconciliarti con lui” (Mt 5, 23-24), poi torna a festeggiare il Natale. Se no, è solo un rito pagano.

 

Oggi è, dunque, il Secondo Giorno dell’Ottava di Natale ed è memoria del diacono Stefano, primo martire. A cui noi aggiungiamo quella di Jean-Marc Ela, presbitero e teologo africano.

 

26_ESTEVÃO.JPGSecondo il racconto che ne fanno gli Atti degli Apostoli, Stefano era un ebreo della diaspora, che, dopo aver accettato il cristianesimo,  fu incaricato assieme ad altri sei di provvedere alla cura dei poveri della comunità. Denunciato dinanzi al Sinedrio da un gruppo di ex-correligionari di parlare contro il Tempio e contro la Legge, si produsse in un’autodifesa che ne peggiorò la situazione, al punto che “quelli del tribunale… si turarono le orecchie e gridarono a gran voce; poi si scagliarono tutti insieme contro Stefano, lo trascinarono fuori città per ucciderlo a sassate. I testimoni deposero i loro mantelli presso un giovane, un certo Saulo, perché li custodisse. Mentre gli scagliavano addosso le pietre, Stefano pregava così: ‘Signore Gesù, accogli il mio spirito’. E cadendo in ginocchio, gridò forte: ‘Signore, non tener conto del loro peccato’. Poi morì” (At 7, 57 ss). C’è solo da aggiungere che quel Saulo diventerà poi san Paolo, quasi a significare che, insomma, c’è speranza davvero per tutti!

 

26 JEAN MARC ELA.jpgNato a Ebolowa, in Camerun, il 27 settembre 1936, Jean-Marc Ela fu prete, teologo, sociologo e professore. Studiò teologia e filosofia all’Università di Strasburgo, in Francia, e passò sedici anni come missionario a Tokombere, tra i Kirdi del Camerun nord-occidentale, accanto alla figura carismatica di Baba Simon, da molti considerato una sorta di san Paolo africano. L’opera che lo fece conoscere fu “La mia fede d’Africano”, apparso in francese nel 1985 e poi tradotto in inglese, tedesco e italiano. Il libro denunciava l’imposizione da parte della Chiesa in Africa di un modello di fede che ignorava del tutto i bisogni reali della popolazione, soprattutto delle comunità rurali. Attraverso un’analisi accurata dei sacramenti, dell’ermeneutica biblica e della prassi missionaria, identificava le vie attraverso cui la tradizione cattolica manteneva gli africani dipendenti nei confronti dell’Europa. Da parte sua, si faceva sostenitore di un’inculturazione della fede che rispettasse, riscattasse e valorizzasse la maniera d’essere della sua gente. Animato, assillato, inquietato dalle figure di Gesù di Nazareth, da quella di Abele, il cui grido giunge fino a Dio e ne provoca la domanda ai Caini di ogni tempo: che hai fatto di tuo fratello?, e da quella rappresentata dal mondo dei più deboli, degli oppressi e degli esclusi, che riassumeva e riviveva nella sua carne la passione dell’uno e dell’altro, Ela collocò la sua teologia al servizio di quel progetto. Critico del potere politico del suo Paese, nonché delle omissioni e delle collusioni della gerarchia ecclesiastica nei confronti di quello, dopo l’assassinio di padre Engelbert Mveng, il 22 aprile 1995, si recò in esilio nel Québec, dove continuò ad insegnare Sociologia nell’Universitá di Laval, a Montreal, fino alla morte, avvenuta il 26 dicembre 2008. Fu sepolto nel suo paese natale, a Ebolowa, in Camerun.

 

I testi che la liturgia propone alla nostra riflessione sono propri della memoria del Protomartire Stefano e sono tratti da:

Atti degli Apostoli, cap. 6,8-10; 7,54-60; Salmo 31; Vangelo di Matteo, cap. 10,17-22.

 

La preghiera del mercoledì è in comunione con quanti, anche fuori da strutture religiose tradizionali, lavorano per costruire un mondo di fraternità, giustizia e pace.

 

Noi ci si congeda qui, lasciandovi al brano di un’intervista di Anna Pozzi con Jean-Marc Ela, del 1° aprile 2002, apparsa in Missionline  con il titolo  La mia Africa? Non più ‘mendicante’. Ma capace di decidere il proprio futuro”. È, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Sono convinto che il centro di gravità del cristianesimo si stia spostando dai Paesi del Nord a quelli del Sud del mondo e se prendiamo coscienza di ciò ci rendiamo conto che siamo di fronte a una nuova tappa dell’evangelizzazione. E siamo noi a dovercene fare carico affinché il cristianesimo non sia più quello che abbiamo ricevuto dal passato, ma un cristianesimo che ci permetta di vivere nel nostro tempo e nella nostra società l’essenziale della fede cristiana. Questo richiede che a livello di teologia, di liturgia e su molti altri piani si faccia un’esperienza di creatività che porti alla definizione del nostro proprio volto cristiano. Il rischio è che le esperienze che potremmo intraprendere vengano valutate a partire da modelli occidentali. Per esempio, quando si parla del corpo, c’è sempre una certa diffidenza nel cristianesimo occidentale, mentre penso che bisognerebbe riscoprirne la ricchezza simbolica anche nella vita della fede. Questo vale anche per il culto degli antenati, nel quale finalmente si comincia a capire che non vi è nulla di pagano. Il tutto nella prospettiva di celebrare tutte le opere di Dio e la nostra fede senza tagliare le nostre radici, la nostra memoria, i valori che fanno parte della nostra cultura e delle nostre tradizioni. (Jean-Marc Ela, La mia Africa? Non più ‘mendicante’. Ma capace di decidere il proprio futuro).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 26 Dicembre 2012ultima modifica: 2012-12-26T23:44:00+01:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo