Giorno per giorno – 13 Maggio 2011

Carissimi,

“Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me” (Gv 6, 56-57). Ce lo ha promesso  e, se non è ancora vero, come non è vero, per l’oggi, che noi si viva per Lui, cioè per ciò che Lui significa, arriverà ad esserlo. Bellezza di questa immagine di noi che lo mangiamo e poi ci abitiamo reciprocamente e si fa a gara a dirci: “Sei mio. Non mi sfuggirai più!”. E anche se noi ci saremo nel frattempo allontanati, Lui continuerà a custodirci e a seguirci ovunque noi si vada. Perché non ci può mica lasciare soli nei pericoli. E, così, passo a passo, impareremo da Lui. E gli altri sapranno di potersi fidare di noi. Abitati da Lui. Abitanti di Lui.

 

Oggi il nostro calendario ci porta le memoria di Bede Griffiths, monaco-sannyasi, e di René Voillaume, piccolo fratello di Gesù.

 

13 BEDE GRIFFITHS.jpgAlan Richard Griffiths era nato, ultimo di tre figli,  il 17 dicembre 1906 a Walton-on-Thames, in Inghilterra, da una famiglia un tempo benestante, ma ora impoverita. Giunta l’età degli studi,  il giovane ottenne tuttavia una borsa di studio, che gli consentirà di studiare fino al conseguimento della laurea in giornalismo, a Oxford. Dopo la laurea, per circa un anno, il giovane Griffiths visse con due amici un’esperienza di vita semplice ed essenziale, a contatto con la natura, alimentata dalla lettura della Bibbia e di altri testi di letteratura cristiana.  Dopo una visita all’abbazia benedettina di Prinknash, chiese di ricevere il battesimo – che gli fu somministrato la vigilia del  Natale 1931 e, l’anno successivo entrò in monastero, assumendo il nome di Bede. Nel 1937 pronunciò i suoi voti perpetui e nel 1940 fu ordinato sacerdote. Per circa quindici anni se ne stette relativamente tranquillo, scandendo la sua vita, come vuole la Regola, tra preghiera, studio e lavoro. Nel 1955, la svolta, con la richiesta di trasferirsi in India, “alla scoperta dell’altra metà dell’anima”.  Assieme a Benedict Alapott, un prete indiano nato in Europa, si stabilì per tre anni a Kengeri, nel Bangalore, poi nel 1958, raggiunse p. Francis Acharya, nel Kerala, collaborando alla fondazione dell’ Ashram Kurisumala, un monastero di rito siriaco, dove assunse il nome di Dhayananda (Beatitudine della preghiera). Nel 1968, infine,  si trasferì, con altri due monaci indiani, Swami Amaldas e Swami Christodas, all’Ashram Saccidananda, a Shantivanam, nello stato del Tamilnadu, vicino a Tiruchirappalli. L’ashram, fondato nel 1950 da Jules Monchanin e Henry Le Saux, era stato il primo tentativo di fondare in India una comunità cristiana che seguisse i costumi di un ashram e s’adattasse, nel modo di vivere e di pensare, allo stile indù. Bede Griffiths, che adesso prese a chiamarsi Dayananda (Beatitudine della Compassione), si conformò in tutto al costume vedico, vestendo la veste arancione del sannyasi e vivendo in assoluta povertà, fino alla morte, che lo colse, uomo dal cuore universale, il 13 maggio 1993.

 

13 Voillaume.jpgRené Voillaume era nato a Versailles il 19 luglio 1905. Ordinato prete nel 1929, aveva proseguito gli studi all’Angelicum di Roma e si era poi specializzato in lingua araba e islamistica a Tunisi. L’8 settembre 1933, nella basilica parigina del Sacro Cuore a Montmartre, insieme a Guy Champenois, Marcel Boucher, Georges Gorrée e Marc Gerin, Voillaume dava inizio alla famiglia dei Piccoli fratelli di Gesù. Decisero di stabilirsi insieme a El-Abiodh, nell’Algeria del Sud, seguendo le impronte di Charles de Foucauld, l’eremita solitario che a lungo sognò, senza riuscirvi, di fondare una congregazione che avesse come ideale la vita nascosta di Gesù a Nazareth. Nel 1939, dall’incontro di Voillaume con Magdeleine Hutin, avvenuto l’anno prima, sarebbe nata la congegazione delle Piccole sorelle di Gesù. Altre famiglie sarebbero in seguito sorte, alimentate dall’intuizione spirituale di fratel Charles e dalla traduzione che Voillaume seppe farne nel cuore del nostro tempo.  Quando, prima di morire Voillaume diede spazio ai ricordi autobiografici, volle sottolineare l’importanza che, nella sua vicenda spirituale, ebbero il Santissimo Sacramento e Nazareth. Quest’ultima letta nei suoi due significati di vita di silenzio, preghiera, lavoro e povertà, e quello di inserimento in un ambiente povero, in cui, fuori da ogni troppo facile retorica, si condivide la vita e il lavoro di tutti. Il 13 maggio 2003, alle soglie dei 98 anni padre Voillaume moriva a Aix-en-Provence, assistito dai rappresentanti delle varie famiglie spirituali nate dai suoi scritti e dalla sua vita.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Atti degli Apostoli, cap.9, 1-20; Salmo 117; Vangelo di Giovanni, cap.6, 52-59.

 

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli della Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e ricco in misericordia.

 

È tutto, anche per stasera. Noi ci congediamo qui, con un testo di René Voillaume, tratto dal suo “Pregare per vivere” (Cittadella Editrice). È un invito a fermarci ogni tanto a contemplare il mistero che Lui è nella nostra vita, per riprendere fiato e subito tornare con Lui nel mondo. Ed è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

La nostra preghiera deve anche essere una adorazione. Il contatto troppo continuo con gli uomini rischia di farci dimenticare questo aspetto. Non lasciamoci trascinare, sotto il peso delle sofferenze dell’umanità, a cedere alla tentazione, provata dagli apostoli quando furono testimoni dell’atto di inutile sciupio di Maddalena, che spargeva un profumo prezioso sul corpo del Cristo. Gesù merita per se stesso di essere adorato, amato, che si perda del tempo per lui, anche quando vi sono al mondo esseri che piangono e soffrono. Vi è in questo aspetto di perdita di tempo per amore, sotto cui ci si presenta talvolta l’atto della preghiera pura, un mezzo per verificare il valore della nostra fede nella trascendenza divina e per purificare i nostri rapporti con gli uomini. Raramente questo aspetto della nostra vita che non serve a niente e non è utile a nessuno sarà capito, e questo costituirà una tentazione di più, soprattutto in un ambiente in cui l’effìcacia acquista un criterio di valore assoluto. Mi pare, tuttavia, che, anche allora, la nostra preghiera non potrà tendere alla contemplazione nel mistero di Dio allo stesso modo di quella di un solitario: anche qui non potremo separarci dal peso delle anime e dalle loro miserie, che sentiremo sempre gravare su di noi. La nostra preghiera sarà più vicina a ciò che avveniva quando Gesù, stanco per la fatica, saliva sulla montagna a pregare in segreto. Come non avrebbe portato con sé, nella sua anima di redentore, tutto quel cumulo di sofferenze morali e fisiche che gli erano sfilate davanti durante la giornata? Ritroveremo, forse, attraverso ciò, un’adorazione più pura. L’adorazione è l’ammirazione del mistero supremo e nascosto della divinità. Sappiamo, da Gesù, che questo è un mistero di amore e di misericordia, poiché si è espresso interamente nei gesti divini della incarnazione e della redenzione. Una adorazione che sgorga da un cuore totalmente disponibile al prossimo è la vera e pura adorazione. (René Voillaume, “Pregare per vivere”).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

 

Giorno per giorno – 13 Maggio 2011ultima modifica: 2011-05-13T23:14:00+02:00da fraternidade
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