Giorno per giorno – 07 Marzo 2011

Carissimi,

“Un uomo piantò una vigna, la circondò con una siepe, scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. Al momento opportuno mandò un servo dai contadini a ritirare da loro la sua parte del raccolto della vigna. Ma essi lo presero, lo bastonarono e lo mandarono via a mani vuote” (Mc 12, 1-3). E la parabola continua, dicendo di altri servi inviati, picchiati anche loro, e alcuni persino uccisi. Finché quell’uomo mandò il suo figlio prediletto, pensando: Lui, almeno, lo rispetteranno. Ma uccisero anche lui, per dividersi l’eredità che gli spettava. C’è un modo facile per uscire fuori da questa parabola e dalla sua conclusione francamente urtante: il padrone della vigna “verrà e farà morire i contadini e darà la vigna ad altri” (v.9). Ed è applicarla alla generazione di Gesù. Cosa che, del resto, fa anche, nel suo commento, l’evangelista: “E cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla; avevano capito infatti che aveva detto quella parabola contro di loro” (v.12). Loro, i capi della politica, della religione, i detentori del potere economico, e le loro eminenze grige. Ma, il Vangelo non parla solo di loro. Racconta anche di noi. La vigna è la nostra terra e i suoi beni. La parabola denuncia l’uso che ne facciamo. I servi sono i profeti di ieri e di oggi. Qui da noi, in questo continente (ma anche altrove), ce n’è ancora tanti, grazie a Dio. Bastonati, perseguitati e uccisi. Vuol dire che il Vangelo è preso ancora sul serio. E l’erede, il figlio prediletto, è, sì, Gesù, ma sono anche i poveri, espropriati della loro eredità, dei loro diritti, uccisi poco a poco. Nei quali egli si identifica. Così che è Lui, in loro, ad essere nuovamente crocifisso e a morire. E, detto tra noi, nella polemica che torna ogni tanto costì sulla presenza del crocifisso negli edifici pubblici, si potrebbe forse scegliere di esporre l’immagine di un crocifisso del nostro tempo, un bimbo che muore di fame, un clandestino, magari musulmano, affogato, una donna stuprata, un prigioniero torturato, un vecchio dimenticato all’ospizio. E quant’altro. In attesa di risurrezione. Sarebbe insieme un simbolo religioso e laico, capace di scuotere le coscienze. Di cambiare, chissà, il finale della parabola. O forse no. Dato che la legge è, oggi, sempre più, la durezza del cuore. E non si riesce più a vedere la terra, i suoi beni, la nostra stessa vita, come un dono da condividere, ma ogni giorno di più come una ricchezza da rapinare.  

 

Oggi il calendario ci porta la memoria di Perpetua e Felicita, dello sposo di questa, Revocato, di Saturnino e Secondulo, e del loro catechista, Saturo, tutti martiri a Cartagine. E di Swami Paramahansa Yogananda, mistico indù.

 

07 PERPETUA_E_FELICIDADE.JPGLe circostanze del martirio ci sono narrate nella Passione di Perpetua e Felicita, che comprende brani del diario dal carcere di Perpetua e di Saturo, ripresi e completati da un redattore anonimo, che alcuni pensano trattarsi di Tertulliano. Motivo della condanna a morte è l’intenzione di ricevere il battesimo che li farà cristiani, un passo a cui da tempo il gruppo si sta preparando. Perpetua è una giovane madre di ventidue anni, Felicita è una ragazza al suo servizio che, al termine della sua gravidanza, proprio in prigione dà alla luce un bambino. Inutili le pressioni che i parenti esercitano sui condannati perché abiurino ed abbiano così salva la vita: loro non si piegano. Secondulo muore di stenti, gli altri,  il 7 marzo dell’anno 203 sono portati nell’arena, esposti alle belve e infine decapitati. 

 

07 YOGANANDA.JPGMukunda Lal Gosh nacque a Gorakhpur, in India, il 5 Gennaio 1893, in una famiglia devota ed agiata. A 17 anni divenne discepolo di Swami Yukteswar Giri,  nel cui eremitaggio trascorse i successivi dieci anni. Laureatosi, nel 1915,  all’Università di Calcutta, entrò nell’ordine monastico degli Swami ricevendo il nome di Swami Yogananda. Nel 1920 s’imbarcò per gli Stati Uniti come delegato per l’India al Congresso internazionale di leaders religiosi a Boston. Il suo discorso al congresso, pubblicato in seguito con il titolo La scienza della religione, fu accolto con entusiasmo. Fondò poi la Self-Realization Fellowship allo scopo di diffondere nel mondo intero l’insegnamento plurimillenario dei suoi Maestri e la sua antica tradizione della meditazione (Kriya Yoga). Nel 1924 iniziò un tour continentale e, nel 1935, un viaggio di 18 mesi che lo portò in diversi paesi d’Europa e in India, nel corso del quale ebbe modo di incontrare  personalità, come il Mahatma Gandhi (che chiese di essere iniziato alla tecnica del Kriya Yoga), Ramana Maharshi e Anandamoyi Ma. Fu in questi anni che il suo guru Sri Yukteswar gli conferì il più alto titolo monastico di Paramahansa. Il 7 Marzo 1952, Paramahansa Yogananda entrò nel Maha-Samadhi (uscita cosciente dal corpo da parte di un maestro nel momento della morte). Scrisse: “Ogni chiesa compie del bene, per questo le amo tutte. Quando diverranno spazi di comunione con Dio, allora adempiranno alla loro missione. Le chiese dovrebbero essere delle arnie traboccanti del miele della realizzazione di Dio. Se questo non si verificherà, vedrete i templi e le chiese scomparire lentamente. Allora la religione verrà praticata all’aperto, in luoghi solitari, dove le anime veramente desiderose di Dio l’incontreranno”.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Libro Di Tobia, cap.1, 3; 2, 1-8; Salmo 112; Vangelo di Marco, cap.12, 1-12.

 

La preghiera di questo lunedì è in comunione con le religioni del subcontinente indiano: Vishnuismo, Shivaismo, Shaktismo.

 

Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura una citazione di Paramahansa Yogananda, tratta dal suo “Il Divino Romanzo” (Astrolabio). Che è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Il più grande amore umano è quello che gli amici provano l’uno per l’altro, perché il loro affetto è libero e puro. Ciascuno di noi sceglie liberamente di amare i propri amici senza essere condizionato dall’istinto. L’amore che si manifesta nell’amicizia può esistere fra uomo e donna, fra donna e donna, fra uomo e uomo. Nell’amicizia non esiste l’attrazione sessuale. Se l’essere umano desidera conoscere l’amore divino attraverso l’amicizia, deve instaurare un rapporto casto e dimenticare completamente il sesso; allora l’amicizia alimenta l’amore divino. Questa amicizia pura è esistita fra i santi e fra coloro che amano veramente Dio. Se conoscerete almeno una volta l’amore divino non vorrete perderlo mai più, perché nell’universo intero non esiste niente di simile. L’amore dà senza pretendere niente in cambio. Io non penso mai agli altri chiedendomi che cosa possono fare per me. E non dimostro mai il mio amore a qualcuno solo perché ha fatto qualcosa per me. Non fingerei mai di amare se non provassi un vero sentimento di amore, e nel momento in cui provo tale sentimento lo manifesto. Ho imparato dal mio Maestro a comportarmi sinceramente. Alcune persone non nutrono nei miei confronti sentimenti amichevoli, ma io sono amico di tutti, inclusi i nemici, perché nel mio cuore non ho nemici. L’amore non si può avere a comando, è un regalo di un cuore a un altro cuore. Siate certi dei vostri sentimenti quando dite a qualcuno: “Ti amo”. Se date il vostro amore, deve essere per sempre, non perché desiderate rimanere accanto a quella persona, ma perché volete la perfezione per la sua anima. L’amore divino, l’amore della vera amicizia consiste nel desiderare la perfezione per la persona che amate, e nel provare un sentimento di pura gioia quando pensate alla sua anima. (Paramahansa Yogananda, Il Divino Romanzo).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 07 Marzo 2011ultima modifica: 2011-03-07T22:07:00+01:00da fraternidade
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