Giorno per giorno – 14 Marzo 2011

Carissimi,

“Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato” (Mt 25, 41-43). Questo è ciò che potremmo sentirci dire al Giudizio e quindi sarebbe bene che cominciassimo a farne le prove, esaminandoci ogni sera. O che i preti prendessero l’abitudine di domandarci di questo in confessione, più ancora che sui dieci comandamenti. Perché potrebbe succedere che uno, a Lui, si provi anche a raccontarla: guarda, Signore, che io non ho mai bestemmiato, né ucciso, né rubato, né desiderato la donna altrui, né mentito (salvo, forse, un po’, adesso), e poi sono sempre andato a messa la domenica, e non ho mai mancato di fare tutte le mie devozioni. E Lui: lascia perdere, queste sono bazzecole. Dimmi, piuttosto: ti ricordi quel marocchino che hai insultato?, quel senegalese che hai allontanato in malo modo?, quel brasiliano a cui hai dato del viado? quall’albanese a cui hai detto: “siete tutti uguali voi!”?, quel meridionale a cui hai dato del terrone?, quell’omesessuale aggredito, di cui hai sentenziato: “se l’è cercata!”?, o la prostituta liquidata con “è solo una vacca!”? e la zingaro morto “uno di meno!”?. O anche, se non hai insultato nessuno, perché conosci le buone manierte, ricordi il silenzio, l’indifferenza, lo sguardo carico di disprezzo, che hai opposto alla richiesta di aiuto dell’uno o dell’altro? Ero io, sai? In ognuno(a) di loro, io. Ed ora, come la mettiamo? Hai vissuto la vita intera nella menzogna, perché “chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1Gv 4, 20). Piuttosto imbarazzante, eh? Per leggere invece in positivo questo splendido brano di Vangelo, stamattina, ci siamo serviti di un hadith (una tradizione) risalente al profeta Mohammed, che troviamo citato e commentato nel “Dieu pour tout jour” (Éditions de Bellefontaine) di Père Christian de Chergé: “Un tale, dice il Profeta, rese un giorno visita ad uno dei suoi fratelli in un villaggio. Dio inviò un angelo sul suo cammino: ‘Dove stai andando?’. ‘Vado da uno dei miei fratelli nel villaggio qui vicino’. ‘Gli devi forse qualche favore e pensi così di sdebitarti?’. ‘No, rispose quello, è solo che gli voglio bene in Dio – uhibbuhu fi allah’. ‘Ebbene, disse l’angelo, Dio mi ha mandato a dirti che bi’anna allah uhibbuhu kama uhibtuhu’, Dio, che non ha fratelli, mi ama in se stesso, come io amo in Lui mio fratello (come e non quanto io l’amo, perché Dio è più grande del mio cuore). È in Lui che quell’uomo è mio fratello. In lui, il mio amore per mio fratello e l’amore di Dio per me sono una cosa sola. Lui in te, e tu in me, affinché siamo perfetti nell’unità”.  Beh, potremmo farci un pensiero già da ora, no?

 

Il nostro calendario ci porta oggi le memorie di Fannie Lou Hamer, paladina dei diritti civili dei negri afro-americani, e di Chiara Lubich, promotrice del dialogo interreligioso.

 

14 FANNIE.JPGFannie era nata il 6 ottobre  1917 a Montgomery County, nel Mississippi, ultima dei venti figli di una coppia negra di mezzadri, Jim e Lou Ella Townsend. Della sua infanzia dirà un giorno: “La vita era più che dura, era tremenda! Non c’era mai abbastanza da mangiare e non mi ricordo quanti anni avevo quando mi sono potuta permettere il mio primo paio di scarpe, ma ero già grande. Nostra madre cercava di tenerci i piedi al caldo avvolgendoceli con stracci che legava poi con dei pezzi di corda”. Per molti anni la sua vita non fu diversa da quella di una qualunque povera ragazza negra di quella regione. La svolta si ebbe nel 1962, quando, già quarantacinquenne e madre di famiglia, partecipando ad una manifestazione per i diritti civili, Fannie udì uno degli oratori invitare i negri a registrarsi per il voto.  E lei lo fece. Ora, questa scelta, così apparentemente innocua, negli Stati del profondo Sud di quegli anni, significava cercarsi la morte. E si tradusse comunque subito nell’espulsione della sua famiglia dalla terra e più tardi in arresti e brutali pestaggi. Da allora inizia la storia dell’impegno di Fannie nella battaglia per i diritti civili dei negri, nella contestazione della guerra del Vietnam e nella creazione di una coalizione che riunisse tutti i poveri e i lavoratori americani. Instancabilmente e sino alla fine, quando morì per un tumore al seno, il 14 marzo 1977. Un giorno aveva detto: “Dobbiamo renderci conto quanto sia serio il problema oggi negli Stati Uniti, e io penso che il cap.6 della Lettera agli Efesini, versetti 11 e 12,  ci aiuti a comprendere ciò che noi stiamo combattendo: ‘Prendete le armi che Dio vi dà, per poter resistere contro le manovre del diavolo. Infatti noi non dobbiamo lottare contro creature umane, ma contro spiriti maligni del mondo invisibile, contro autorità e potenze, contro i dominatori di questo mondo tenebroso’. Questo mi viene in mente, quando penso al mio contributo alla battaglia per la libertà”.

 

14 CHIARA LUBICH.jpgChiara Lubich era nata a Trento il 22 gennaio 1920 da una famiglia di tipografi. Durante il regime fascista, suo padre, socialista, rimase senza lavoro a causa delle sue idee, sicché la famiglia dovette sopportare anni di gravose difficoltà economiche. Durante la seconda guerra mondiale, l’incontro di Chiara con una donna che aveva perso i suoi quattro figli a causa della guerra, la portò alla convinzione che il Vangelo poteva diventare il meccanismo di una potente trasformazione sociale, se vissuto condividendo le sofferenze e le privazioni dei poveri. Nacque così quella che sarebbe divenuta l’ “Opera di Maria” (meglio conosciuta come Movimento dei Focolari), di cui Chiara e un gruppo di amiche formarono il primo nucleo.  Alcuni anni più tardi, nel 1962, Giovanni XXIII  diede la prima approvazione al movimento, che venne, via via, chiarendosi e approfondendo quello che sarà il suo specifico carisma: una “spiritualità dell’unità” tra generazioni, culture, chiese, religioni. E, ad aprire cammini nell’ambito del dialogo interreligioso, soprattutto con ebrei, musulmani e buddisti, Chiara Lubich si dedicò fino ai suoi ultimi anni. Il 10 marzo 2008, il peggioramento delle sue condizioni di salute, già precarie a partire dal 2006, richiesero un suo ricovero in ospedale, dove ricevette la visita del patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I. Giudicando prossima la fine, il 13 marzo chiese di poter far ritorno nella casa di Rocca di Papa, dove si spense il giorno successivo.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Libro del Levitico, cap.19, 1-2. 11-18; Salmo 19B; Vangelo di Matteo, cap. 25, 31-46.

 

La preghiera di questo lunedì è in comunione con le religioni del subcontinente indiano: Vishnuismo, Shivaismo, Shaktismo.

 

Anche oggi vi chiediamo di voler mettere nella vostra preghiera – assieme ai grandi bisogni del mondo (come non continuare a pensare, per esempio, al Giappone e alla Libia?) – alcuni amici e amiche che sono alle prese con alcuni problemi di salute: Ennio, Maria Rosa ed Eugenio, di Milano, e Paolo di Crema.

 

Ed è tutto. Noi ci congediamo qui, lasciandoci ad un brano di Chiara Lubich tratto da “Parola di vita” dell’ottobre 1999, che troviamo in rete, nel sito del Centro Chiara Lubich, e che è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

L’amore del prossimo è universale e personale al tempo stesso. Abbraccia tutta l’umanità e si concreta in colui-che-ti-sta-vicino. Ma chi può darci un cuore così grande, chi può suscitare in noi una tale benevolenza da farci sentire vicini – prossimi – anche coloro che sono più estranei a noi, da farci superare l’amore di sé, per vedere questo sé negli altri?  È un dono di Dio, anzi è lo stesso amore di Dio che “è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato”. Non è quindi un amore comune, non una semplice amicizia, non la sola filantropia, ma quell’amore che è versato sin dal battesimo nei nostri cuori: quell’amore che è la vita di Dio stesso, della Trinità beata, al quale noi possiamo partecipare. Dunque l’amore è tutto, ma per poterlo vivere bene occorre conoscere le sue qualità che emergono dal Vangelo e dalla Scrittura in genere e che ci sembra poter riassumere in alcuni aspetti fondamentali. Per prima cosa Gesù, che è morto per tutti, amando tutti, ci insegna che il vero amore va indirizzato a tutti. Non come l’amore che viviamo noi tante volte, semplicemente umano, che ha un raggio ristretto: la famiglia, gli amici, i vicini… L’amore vero che Gesù vuole non ammette discriminazioni: non distingue tanto la persona simpatica dall’antipatica, non c’è per esso il bello, il brutto, il grande o il piccolo; per questo amore non c’è quello della mia patria o lo straniero, quello della mia Chiesa o di un’altra, della mia religione o di un’altra. Tutti ama quest’amore. E così dobbiamo fare noi: amare tutti. L’amore vero, ancora, ama per primo, non aspetta di essere amato, come in genere è dell’amore umano: si ama chi ci ama. No, l’amore vero prende l’iniziativa, come ha fatto il Padre quando, essendo noi ancora peccatori, quindi non amanti, ha mandato il Figlio per salvarci. Quindi: amare tutti e amare per primi. E ancora: l’amore vero vede Gesù in ogni prossimo: “L’hai fatto a me”  ci dirà Gesù al giudizio finale. E ciò vale per il bene che facciamo e anche per il male purtroppo. L’amore vero ama l’amico e anche il nemico: gli fa del bene, prega per lui. Gesù vuole anche che l’amore, che egli ha portato sulla terra, diventi reciproco: che l’uno ami l’altro e viceversa, sì da arrivare all’unità. (Chiara Lubich, Parola di vita, ottobre 1999).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 14 Marzo 2011ultima modifica: 2011-03-14T23:34:00+01:00da fraternidade
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