Giorno per giorno – 26 gennaio 2010

Carissimi,

“Girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno, disse: Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre” (Mc 3, 34-35). Se non fosse per la memoria di Timoteo e Tito, per onorare la quale la liturgia prevede letture specifiche, oggi avremmo letto, in sequenza con il Vangelo di Marco che ci accompagna in queste settimane,  il brano che ci istruisce su quale sia la vera famiglia di Gesù. A determinare  la quale è sempre lo “stare con” lui. Non si è “famiglia di Gesù” in forza di legami di sangue, né,  possiamo aggiungere, per vincoli culturali, etnici, religiosi, e neppure, perciò, per accidenti di natura sacramentale o di appartenenza ecclesiastica. Lo si è se e quando, seduti accanto a lui, in atteggiamento di ascolto, ci lasciamo istruire circa la volontà del Padre, per metterla poi in pratica. “Il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi” (Lc 10, 1).  E questo è invece il Vangelo che la liturgia ci ha proposto oggi. Racconta dell’invio dei settantadue discepoli (allusione simbolica al numero delle nazioni del mondo, così come i Dodici alludevano alle dodici tribù d’Israele). L’invito è ad assumere, nella missione, uno stile povero e sobrio, annunciando e testimoniando che il Regno è vicino. Quanto vicino dipende [anche] da noi.  

 

Il giorno dopo la festa della Conversione di san Paolo, la Chiesa fa memoria di due suoi grandi amici e collaboratori: Timoteo e Tito, apostoli. Noi ricordiamo anche José Gabriel de Rosario Brochero, sacerdote e profeta tra i contadini dell’Argentina. I calendari monastici ricordano la figura di tre grandi riformatori del monachesimo occidentale: Roberto di Molesmes (1028-1111), Alberico (? – 1109) e Stefano Harding (1059-1134), fondatori dei Cistercensi.

 

26_tito & TIMOTEO.JPGTimoteo, figlio di padre pagano e di madre ebrea, di nome Eunice (se dobbiamo prestar credito alle informazioni biografiche delle Lettere Pastorali), era nativo di Listra. Paolo lo prese come aiutante nel corso del suo secondo viaggio missionario e, da allora, egli rimase quasi sempre con lui, salvo quando Paolo lo inviò in missione nelle comunità che aveva fondato e che attraversavano momenti di difficoltà o di contrasto. Secondo la tradizione, divenne guida della comunità di Efeso, dove rimase fino alla fine dei suoi giorni.  Tito non è menzionato negli Atti degli Apostoli, ma vi fa cenno, in alcune delle sue lettere, lo stesso Paolo. Originario di Antiochia, Paolo lo inviò in missione, con successo,  alla comunità di Corinto, dove era sconosciuto. Più tardi fu messo alla guida della comunità di Creta, dove sarebbe rimasto fino alla morte. Per quel che riguarda le Lettere a Timoteo e a Tito, la maggior parte degli studiosi ritiene non si possano attribuire direttamente all’autoria dell’Apostolo.     

 

26 CURA BROCHERO bis.jpgJosé Gabriel de Rosario Brochero  nacque il 16 (o il 17) marzo 1840, quarto dei dieci figli di Ignacio Brochero e di Petrona Dávila, una povera coppia di contadini di Santa Rosa de Rio Primero, nella provincia argentina di Cordoba. Entrato in seminario nel 1856, fu ordinato sacerdote nel 1856. Durante il colera che colpì Cordoba nel 1867, si distinse per la sua infaticabile dedizione nell’opera di soccorso a malati e moribondi. Il 24 dicembre 1869 fu nominato curato della parrocchia di San Alberto, nella regione oggi conosciuta come Valle de Traslasierra, e fu ad abitare a Villa del Transito. In quell’inospitale regione, in mezzo a una popolazione condannata da secoli alla miseria, cominciò a seminare la semente del Vangelo che germina nella promozione integrale dei suoi parrocchiani. Con allegria e ottimismo, confidando nel Signore, e parlando il linguaggio del cuore, risvegliò in essi la solidarietà fino a trasformarli in una gigantesca famiglia. Arrivarono così a costruire tre scuole, un mulino per la produzione di farina, 66 strade che collegano i diversi municipi, una grande strada di 200 chilometri, numerose chiese e cinque cappelle. Aprirono una rete di canali di irrigazione, tracciarono sentieri che portano alle alte vette, costruirono dighe. Ma, prima di fare tutto questo, edificarono un’enorme casa per esercizi spirituali, capace di ospitare fino 900 persone per volta. I suoi campesinos calati dentro gli esercizi ignaziani: un’apparente pazzia! Lui, il Cura Brochero, fedele alla lezione evangelica, continuò, in assoluta povertà, per quarantacinque anni, a visitare a dorso di mula  i suoi parrocchiani dispersi su un territorio di 144 mila chilometri quadrati. Poi si ammalò di lebbra, e divenne cieco. Un giorno disse: Ora ho le valige pronte, posso partire. E morì, il 26 gennaio 1914,  a Villa del Tránsito, circondato dai poveri, suoi amici. Centovent’anni prima delle chiese del Continente, aveva scoperto da solo l’opzione dei poveri. Soleva dire: “Dio è come i pidocchi; sta sulla testa di tutti, ma soprattutto dei poveri”. Morì il 26 Gennaio 1914 a Villa del Tránsito (oggi Villa Cura Brochero). Quando hanno riesumato il suo corpo vecchio e malato, l’hanno trovato intatto. Il che non vuole dire niente, solo uno scherzo di Dio. 

 

26 FONDATORI DI CITEAUX.jpgL’abbazia di Cluny,  nata all’inizio del sec.X dall’esigenza di ripristinare l’osservanza dell’austera Regola benedettina, in meno di due secoli,  si era venuta trasformando in un vero e proprio potentato feudale, un centro finanziario come pochi, i cui monaci, sfruttando il lavoro servile,  disponevano di ogni tipo di comfort e, sempre più coinvolti nei loro negozi mondani, oltre che nel fomentare crociate, vivevano dimentichi  della loro chiamata a testimoniare la radicalità evangelica. Nel 1075 Roberto, Alberico e altri monaci, che dipendevano da Cluny,  si ritirarono a Molesmes, nella diocesi di Langres, fondando una nuova comunità. Presto però il denaro e le donazioni che cominciarono ad affluire anche lì riproposero gli antichi guasti: dissolutezza e indisciplina. Dopo molti tentativi di porvi rimedio, uno, dopo l’altro, Roberto, Alberico e Stefano (che era giunto nella comunità dall’Inghilterra solo nel 1085), preferirono andarsene piuttosto che essere complici della situazione. Più tardi i monaci, ravvedutisi, richiamarono i tre e il monastero tornò ad essere ciò che doveva. Tuttavia, il bisogno di vivere più poveramente e austeramente la vocazione monastica,  portò i nostri, nel 1098, a ritirarsi, con altri ventuno monaci, a Citeaux, per fondarvi un nuovo ordine. Nascevano così i Cistercensi.  A Roberto, che ne fu il primo abate, il papa Urbano II impose presto di tornare a Molesmes, dove la situazione si era nel frattempo mostrata ingovernabile. Gli succedette Alberico, eletto unanimemente dai suoi compagni. Il lavoro durissimo dei primi tempi (i monaci dovettero disboscare buona parte della foresta, per disporre di terra da coltivare) e le  persecuzioni scatenate dai monasteri lassisti non riuscirono a scalfire l’entusiasmo della nuova famiglia monastica. I tre morirono santamente come erano vissuti: Alberico il 26 gennaio 1109, Roberto  il 29 aprile 1111 e Stefano il 28 marzo 1134.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono propri della memoria di Timoteo e Tito e sono tratti da:

Lettera a Tito, cap.1, 1-5; Salmo 96; Vangelo di Luca, cap. 10, 1-9.

 

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.

 

È tutto. Noi ci si congeda qui con il brano di una lettera di Paolino da Nola, che ci pare leghi bene con il Vangelo e le memorie di oggi. Ed è in ogni caso il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto (1Cor 4,7). Non siamo dunque avari dei nostri beni, come se ci appartenessero… L’uso del denaro è transitorio e la proprietà privata non è eterna. Se la riconosci passeggera sulla terra dove ora ti trovi, potrai acquistare in cielo un possesso che non avrà mai fine. Ricorda i servi che, nel Vangelo, avevano ricevuto dei talenti dal loro padrone e ciò che il padrone, al suo ritorno, diede a ciascuno di essi; comprenderai allora che deporre il proprio denaro sulla tavola del Signore per farlo fruttificare è molto più vantaggioso che conservarlo con una fedeltà sterile che non porta alcun vantaggio al creditore, con gran danno del servo pauroso il cui castigo sarà tanto più grave… Ricordiamo anche quella vedova, che preoccupandosi dei poveri, dimenticò se stessa al punto da donare tutto quello che le restava per vivere, pensando soltanto alla vita futura, come attesta il Signore stesso. Gli altri avevano dato del superfluo (cf Mt 12, 43), ma essa, forse più povera di molti poveri – tutta la sua fortuna si riduceva a due spiccioli -, nel suo cuore era più ricca di tutti i ricchi. Essa guardava soltanto alle ricchezze della ricompensa eterna; avara dei tesori celesti, rinunciò a tutto ciò che possedeva come a beni terreni e destinati a tornare terra… Diede quello che aveva per possedere ciò che non vedeva. Donò i beni caduchi per acquistare i beni immortali. Questa poveretta non ha dimenticato i mezzi previsti e disposti dal Signore per ottenere la ricompensa futura. Per questo il Signore non l’ha dimenticata, il Giudice del mondo ha pronunciato in anticipo la sua sentenza: nel Vangelo fa l’elogio di colei che incoronerà nel giorno del giudizio. Prestiamo dunque al Signore i beni che egli ci ha donato. Infatti, non possediamo nulla che non sia dono del Signore, anzi senza la sua volontà non esistiamo nemmeno. Che cosa potremmo considerare nostro, dato che, in forza di un debito enorme, neppure ci apparteniamo? […] Rendiamo al Signore ciò che ci ha dato. Doniamo a colui che riceve nella persona di ogni povero. Doniamo con gioia e riceveremo in letizia i doni del Signore. (Paolino di Nola, Lettera 34, 2-4).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 26 gennaio 2010ultima modifica: 2010-01-26T22:10:00+01:00da fraternidade
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