Giorno per giorno – 05 Settembre 2009

Carissimi,

“Un sabato Gesù passava fra campi di grano e i suoi discepoli coglievano e mangiavano le spighe, sfregandole con le mani. Alcuni farisei dissero: Perché fate in giorno di sabato quello che non è lecito?” (Lc 6, 1-2). La contesa non è tanto tra farisei e discepoli di Gesù, né, quando scrive Luca, a rottura ormai consumatasi tra chiesa e sinagoga, tra ebrei e cristiani (tanto è vero che Gesù, nel racconto, argomenta in difesa dei discepoli a partire dall’Antico Testamento). No, la contesa è tra due modi profondamente diversi di pensare Dio e il rapporto con Lui. Certo, alcune prescrizioni che la Torah ci consegna riguardo al sabato suonano terribili (Es 31, 14-15). Ma nulla lascia immaginare che siano uscite mai dalla carta. Anche perché la Torah orale che accompagnava l’interpretazione di quella scritta, aveva da sempre anche la funzione di giustificare ogni volta la mancata applicazione di norme tanto severe. Salvando capra e cavoli, cioè la lettera e lo spirito della legge. Evitando una brutta fine al malcapitato contravventore, e tranquillizzando nel contempo il buon Dio, che, certe cose, se l’era lasciate scappare solo per un’eccessiva preoccupazione paterna. Del tipo: Sì, l’ho detto, ma non prendetemi alla lettera! Gesù, con la sua risposta mira a questo. La Legge, quella di Dio almeno, è al servizio della crescita dell’uomo, della sua dignità e della sua libertà. A protezione dagli abusi dei potenti. Per chi, invece, la usa “contro” i piccoli, gli ultimi, i deboli, vale il severo richiamo di Gesù: “Guai a chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare!” (Mt 18, 6). Dove lo “scandalo” è ciò che impedisce di credere che la vita sia il compimento di una benedizione e di una promessa di Dio. Che è Padre. E solo quello. Niente a che vedere con l’occhiuto carabiniere che non ha altro da fare che controllare quei poveri discepoli [di suo Figlio, per giunta!] che colgono quattro spighe fuori orario. Che tipo di chiesa siamo noi: una chiesa che si diverte a sparare sui poveri cristi, e dà magari, nel contempo, di gomito ai pesci grossi?     

 

Oggi è memoria di Madre Teresa di Calcutta, missionaria della carità, e Maria di Campello, sorella universale.

 

05 MADRE TERESA.JPGGonxha Agnes Bojaxhiu, la futura madre Teresa, nacque a Skopje, in Albania, il 26 agosto 1910, quinta figlia di Nikola e Drane Bojaxhiu. A diciotto anni entrò nella Congregazione religiosa di Nostra Signora di Loreto, in Irlanda. Nel 1946 ricevette una nuova chiamata da Dio a servire i più poveri tra i poveri: i “dimenticati”della società, gli esclusi, abbandonati nelle strade, che non son utili a nessuno e non servono a nulla – né per essere sfruttati come forza-lavoro, né per integrare le avanguardie di qualsivoglia rivoluzione. Lasciato il convento, iniziò, vestita semplicemente di un “sari” bianco, bordato d’azzurro, a contemplare, convivere e amare Gesù nel volto e nei corpi piagati della gente di strada di Calcutta. Presto, altre donne – tra cui molte sue ex-alunne – si unirono a lei. Nacquero così le Missionarie della Carità, che nel 1965, il papa Paolo VI autorizzò a lavorare anche in altri paesi. Furono aperti centri ovunque, per assistere malati di hanseniasi, anziani, ciechi, aidetici e per accogliere bambini poveri e abbandonati. Madre Teresa morì il  5 settembre  1997.

 

05 Allodola.jpgNata a Torino, il 24 gennaio 1875, Valeria Paola Pignetti era entrata nel 1901 nella Congregazione delle Francescane Missionarie di Maria. Durante la prima guerra mondiale, nell’ospedale angloamericano di Roma, si occupò dell’assistenza ai feriti di guerra. E fu allora che maturò in lei la vocazione ad una vita più povera e  più vicina ai poveri, come doveva essere la comunità cristiana delle origini. Ottenuto, nel 1919, il permesso di lasciare l’ordine, si stabilisce in Umbria. Con l’aiuto della prima compagna, Amata, di comunione anglicana, compra e ristruttura un vecchio conventino, a Campello sopra le fonti del Clitumno.  Lì nel 1926, in cinque compagne danno vita ad una singolare esperienza di vita secondo l’Evangelo, basata sull’amore fraterno, sulla preghiera, il lavoro e l’accoglienza. In una vita pienamente conformata all’esistenza povera dei loro vicini.  Un aspetto la caratterizza particolarmente, quello che oggi chiameremmo un ecumenismo senza confini e un’attenzione e preoccupazione costanti per la storia comune degli uomini. Conobbe e dialogò con testimoni di spicco della radicalità evangelica e della vicenda spirituale del suo tempo. Persone come p. Turoldo e p. Vannucci, don Mazzolari, Donini, Sabatier, Heiler, Gandhi e Schweitzer. Non godette per questo, a lungo, delle simpatie della gerarchia ecclesiastica. Senza troppo crucciarsene, per altro, immersa com’era dentro la grande comunione che raggiunge tutti, anche coloro che ti si vogliono nemici. Sorella Maria morì il 5 settembre 1961. Dell’antica comunità, dopo la scomparsa di Brigitte, il 26 novembre 2006, resta Daniela Maria, come testimone di quella bella avventura dello Spirito. 

 

I testi che la liturgia propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Lettera ai Colossesi, cap. 1, 21-23; Salmo 54; Vangelo di Luca, cap.6, 1-5.

 

La preghiera del sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

 

Incredibile, ma vero. Dominga, che, solo l’altro ieri aveva espresso tutta la sua sfiducia sulla liberazione di Mauro, si è dovuta felicemente ricredere. Mauro, infatti, è uscito di carcere ieri a mezzogiorno. Per il momento starà dalla madre, in attesa che si creino le condizioni di una ripresa del dialogo con la figlia. E che mostri di aver messo la testa a posto. Noi ci lasciamo qui, offrendovi le parole di commiato, pronunciate da p. Giovanni Vannucci durante le esequie di Maria di Campello. Le troviamo nel libro che raccoglie la corrispondenza tra il religioso servita e la semplice sorella eremita, pubblicata con il titolo “Il canto dell’allodola” (Qiqajon). È questo, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Da te abbiamo imparato ad amare la verità di tutte le creature e a sentirci una sola realtà in essa. Abbiamo appreso da te l’amore per ciò che è umile e silenzioso, per ciò che è bello e nascosto, per tutto ciò che soffre e attende, l’amore per gli amici e gli avversari, i vicini e i lontani, gli esclusi e i reclusi. In ogni essere umano ci hai insegnato a vedere il patire e la speranza del Figlio dell’uomo. Grazie, per averci guidati ad amare la pura semplicità, il silenzio, il rispetto delle cose e delle creature, la gratitudine verso ogni essere, la croce e il patire nostro e di tutti. Grazie, per averci mostrato che nella fedeltà semplice ed assoluta al Signore Gesù, la fede dell’oriente e dell’occidente, la chiesa di Roma e tutte le chiese possono incontrarsi nell’unità dell’amore. Grazie, per aver ridato la vita alle parole essenziali del Cristianesimo che, per l’usura del tempo, erano sbiadite: l’agápe, la koinonía, il sacrum facere, la pace, il fratello, la madre terra… Grazie, per aver riportato nel vecchio Eremo la vita dei monaci antichi, da te ripetuta con fedeltà allo spirito e novità di forme. Nessuno di noi pensa che tu sia morta e che ti stiamo conducendo alla sepoltura, siamo certi che tu sei nella dimora della Luce e della Comunione senza fine. Le creature che hai amate e benedette ti porteranno nel cuore per sempre come un dono di pace e di fiducia. (Sorella Maria, Giovanni M. Vannucci, Il canto dell’allodola).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.      

Giorno per giorno – 05 Settembre 2009ultima modifica: 2009-09-05T23:35:00+02:00da fraternidade
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