Giorno per giorno – 19 Marzo 2009

Carissimi,
“Trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme” (Lc 2, 43-45). Erano andati in pellegrinaggio a Gerusalemme e ogni pellegrinaggio è come un tornare ai fondamenti della propria fede. Per loro, quindi, la celebrazione della cura di Dio per i suoi figli, che è la stessa che noi dovremmo avere per i nostri. Ed ecco che, proprio in questa occasione, i due santi genitori si perdono il loro, di figlio. E che figlio!, il significato stesso di Dio. Per attualizzare questo racconto del Vangelo, una delle piste possibili è proprio questa. Capita anche alla Chiesa – di cui Maria e Giuseppe, sono in qualche modo immagine – capita, cioè, anche a noi, di perderci Gesù. Paradossalmente, proprio nell’ambito dell’espressione e delle manifestazioni religiose, dove e quando dovrebbe essere più ovvio custodirlo e salvaguardarne il senso, a vantaggio di tutti, in primo luogo, e poi anche nelle relazioni tra noi. Arcelina, che è ormai divenuta una presenza fissa alla nostra preghiera, stamattina ci fa: no, questa non la capisco proprio. E, tuttavia, se i racconti evangelici non sono, né vogliono essere, fioretti edificanti della biografia di Gesù, come, più di qualche volta, si è tentati di leggerli, ma parola che Dio dirige a noi oggi, bisogna fare lo sforzo di chiederci ogni volta quale sia l’insegnamento che essa intende passarci. Allora, la domanda da porci oggi è: quando noi (la Chiesa) ci perdiamo Gesù? E la risposta è quella suggerita dal vangelo: ogni volta che ci distraiamo, ogni volta che non ci lasciamo guidare dal principio della cura, della misericordia, della compassione, nel proporre la verità della nostra fede. La quale verità non è una cosa teorica, ma è proprio la pratica di quella cura, misericordia, compassione. Ogni volta che ce ne dimentichiamo, Gesù se ne scappa. E noi lo si può ritrovare solo nella casa del Padre.

Oggi la Chiesa celebra la festa di Giuseppe di Nazareth, sposo di Maria, padre di Gesù secondo la legge.

19 Joseph.jpgLe notizie dei Vangeli su Giuseppe sono molto scarne. Matteo e Luca ce ne offrono due diverse genealogie, che si ritiene rispondano più a finalità teologiche che storico-biografiche. Entrambi comunque concordano nel dirlo discendente di Davide. È detto uomo giusto, abitante a Nazaret, dove esercitava il mestiere di carpentiere. Fidanzato a Maria, nell’apprendere della sua gravidanza, pensò di rimandarla ai suoi in segreto, evitando così di denunciarla (Mt 1, 19), ma un sogno gli rivelò il progetto di Dio sul bambino che doveva nascere. A partire da quel momento Giuseppe assunse a tutti gli effettti gli obblighi della paternità nei confronti di Gesù. Il Vangelo lo descrive presente alla nascita, e lo vede recarsi con Maria e il bambino al tempio di Gerusalemme, per compiervi le pratiche prescritte dopo i quaranta giorni del parto. Dopo di che, secondo Luca, la famiglia fece ritorno a Nazaret. Matteo inserisce invece il racconto del massacro dei bambini ordinato da Erode e la conseguente fuga in Egitto. Giuseppe è colui che “pone in salvo” il Salvatore. Tornata in patria, alla morte di Erode, la famiglia si stabilì nuovamente a Nazaret. Luca menziona ancora la presenza di Giuseppe durante un pellegrinaggio a Gerusalemme con Maria e Gesù, ormai adolescente (Lc 2, 41-50). Aggiunge poi che al ritorno a Nazaret, egli “stava loro sottomesso” (Lc 2, 51). Poi più nulla. Quando Gesù, intorno ai trent’anni, darà inizio alla sua vita pubblica, si presume che Giuseppe fosse già morto, assistito nel trapasso, come vuole la tradizione, da Maria e da suo Figlio. Il che lo farà patrono della buona morte. Oltre che della famiglia, della chiesa, dei lavoratori.

I testi che la liturgia propone alla nostra riflessione sono propri della festività odierna e sono tratti da:
2° Libro di Samuele, cap.7, 4-5s.12-14a.16; Salmo 89; Lettera ai Romani, cap.4, 13. 16-18.22; Vangelo di Matteo, cap.1, 16. 18-21.

La preghiera del Giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

Noi facciamo oggi memoria anche di don Giuseppe Diana, martire della giustizia, nella lotta alla camorra.

19 peppe DIANA.jpgGiuseppe Diana era nato a Casal di Principe (Caserta) il 4 luglio 1958. Dopo gli studi di filosofia e teologia, in seminario, fu ordinato sacerdote, nel 1982. Entrato a far parte dell’Agesci, assimilò da subito lo spirito e gli ideali del movimento scoutista, ricoprendo in esso, durante gli anni, diversi incarichi. Nel settembre 1989 divenne parroco di San Nicola di Bari a Casal di Principe, dove rimase fino alla morte e dove seppe coinvolgere un gran numero di giovani nella lotta contro ogni forma di sfruttamento, di violenza e di esclusione, e a favore di una società basata sulla giustizia, l’accoglienza, la solidarietà e il dialogo, soprattutto nei confronti di disabili e immigrati. Questo significò la denuncia delle attività criminose della camorra e la ribellione al clima di violenza instaurato sul territorio dai clan della zona. Il 19 marzo 1994, giorno del suo onomastico, Don Giuseppe Diana fu ucciso con quattro colpi di arma da fuoco, nei locali della sua parrocchia, mentre si recava a calebrare messa.

E di don Giuseppe Diana vi proponiamo, nel congedarci, un brano del manifesto, diffuso nel Natale 1991 col titolo “Per amore del mio popolo”, firmato dalle parrocchie della Forania di Casal di Principe. È per oggi il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Assistiamo impotenti al dolore di tante famiglie che vedono i loro figli finire miseramente vittime o mandanti delle organizzazioni della camorra. Come battezzati in Cristo, ci sentiamo investiti in pieno della nostra responsabilità di essere “segno di contraddizione”, coscienti che come chiesa “dobbiamo educare con la parola e la testimonianza di vita alla prima beatitudine del Vangelo che è la povertà, come distacco dalla ricerca del superfluo, da ogni ambiguo compromesso o ingiusto privilegio, come servizio sino al dono di sé, come esperienza generosamente vissuta di solidarietà”. La Camorra oggi è una forma di terrorismo che incute paura, impone le sue leggi e tenta di diventare componente endemica nella società campana. […] È oramai chiaro che il disfacimento delle istituzioni civili ha consentito l’infiltrazione del potere camorristico a tutti i livelli. […] Le carenze anche della nostra azione pastorale ci devono convincere che l’azione di tutta la Chiesa deve farsi più tagliente e meno neutrale per permettere alle parrocchie di riscoprire quegli spazi per una “ministerialità” di liberazione, di promozione umana e di servizio. Forse le nostre comunità avranno bisogno di nuovi modelli di comportamento: certamente di realtà, di testimonianze, di esempi, per essere credibili. Il nostro impegno profetico di denuncia non deve e non può venire meno. Dio ci chiama ad essere profeti. – Il Profeta fa da sentinella: vede l’ingiustizia, la denuncia e richiama il progetto originario di Dio (Ez 3,16-18); – Il Profeta ricorda il passato e se ne serve per cogliere nel presente il nuovo (Is 43); – Il Profeta invita a vivere, e lui stesso vive, la Solidarietà nella sofferenza (Gen 8,18-23); – Il Profeta indica come prioritaria la via della giustizia (Ger 22,3 – Is 5). Coscienti che “il nostro aiuto è nel nome del Signore” come credenti in Gesù Cristo il quale “al finir della notte si ritirava sul monte a pregare” riaffermiamo il valore anticipatorio della Preghiera che è la fonte della nostra Speranza. (Forania di Casal di Principe, Per amore del mio popolo).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 19 Marzo 2009ultima modifica: 2009-03-19T23:45:00+01:00da fraternidade
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