Giorno per giorno – 29 Febbraio 2008

Carissimi,
«Noi che dal tempo ci facciamo “divorare” la vita. Che non siamo mai contenti. Che abbiamo tutto, tante cose inutili. E che poi ci ritroviamo, a volte, svuotati. Intanto, i poveri dimenticati dal mondo, scalzati fuori da un’economia “a servizio” di pochi privilegiati, se la ridono della nostra furbizia e danzano scalzi, nella libertà dei loro sogni visitati dall’Amore. La gioia di Dio si è rifugiata da loro. Da loro che conoscono il segreto della condivisione che moltiplica, quello dell’accoglienza che dilata gli spazi dell’amore, quello dell’ultimo posto che spalanca la vita alla libertà del primo, e che assaporano il mistero delle Beatitudini: la gioia donata agli afflitti, il possesso della terra per i miti, la familiarità con Dio, che “si riveste” di loro, per i puri di cuore. Beati davvero voi, che non avete nulla e possedete il senso dello stupore, della creaturalità e della gioia. Beati perché “poveri, fate ricchi molti, gente che non ha nulla, possedete tutto” (2 Cor 6,10). E beato chi ha scelto di seguirvi, per danzare con voi negli slums, nelle baraccopoli, tra le favelas, nelle periferie e nelle discariche del mondo. “Miliardari scalzi”, che non sanno la propria ricchezza e bellezza, in un mondo altrove pieno di materialismo e di volgarità, di ottundimento e di egoismo. È la loro bellezza che “salverà il mondo”». Erano le impressioni annotate a caldo sul suo quadernetto da un’amica fiorentina durante un soggiorno qui tra noi, nel bairro, qualche anno fa. E i nostri, quando lei ce le aveva fatte avere e noi gliele avevamo tradotte, anche se non tutti avevano capito tutto di quelle parole, c’erano rimasti bene e per un po’ abbiamo avuto la sensazione che se ne siano lasciati cullare. Adesso quel brano, e qualcun altro, assieme ad altre nostre riflessioni, sotto il titolo “Alegria”: la gioia feriale dell’altro mondo, sono finiti a costituire un contributo, a firma della nostra Comunità, al numero monografico di gennaio-febbraio 2008 della rivista Servitium su “Vivere la gioia, gioia di vivere”. Chi si disponesse a leggerlo, se già ci conosce, ci ritroverebbe tutti lì. E potrebbe così “matar a saudade”. Se invece non ci conosce ancora, potrebbe cominciare a farlo da ora. Simpaticamente. Valdecí che è passata qui stamattina e ha visto la rivista in anteprima, ci fa: ma questo è un libro, non è una rivista e, nella pagina che le avevamo aperto davanti, scandiva i nomi di tutti, del bairro, che era l’unica cosa che le riusciva di leggere e capire. E rideva.

Dio ci ha amati, il Padre ci ama: questa è la Verità unica e fondamentale. Se noi arriviamo a coglierla e a crederla, amare gli altri, tutti gli altri, non ci peserà, perché questa è la natura dell’amore, dell’amore vero, dell’amore di Dio. Questo amore è inclusivo, sempre; non può escludere nessuno. In un tempo in cui ciò che sembra prevalere è l’amore di noi stessi, la cura quasi ossessiva della forma fisica, del proprio successo, il culto della bellezza e della forza, Gesù ci addita come obiettivo l’oblio di sé a favore degli altri. Altrove, nel Vangelo, Gesù è anche più esplicito: Chi cerca se stesso, la sua vita, il suo successo, in realtà si perde; chi, al contrario, getta allo sbaraglio la sua vita per la causa del regno di Dio, è lui (lei) che la trova per davvero. Questa è la radicalità del Vangelo: noi potremo anche cercare di annacquare, cambiare, censurare la parola di Gesù, ma essa seguita lì, provocandoci, interpellandoci, invitandoci. A fare la nostra scelta.

I testi che la liturgia odierna propone oggi alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Osea, cap.14,2-10; Salmo 81; Vangelo di Marco, cap.12, 28-34.

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli dell’Umma islamica che confessano l’unicità del Dio clemente e misericordioso.

Per stasera è quanto basta. Noi ci congediamo qui, offrendovi in lettura una citazione tratta dal libro di José Comblin, El Camino, Ensayo sobre el seguimiento de Jesús (Paulus). Richiama il Vangelo di oggi ed è il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
L’amore per il prossimo che fa sì che i discepoli si amino vicendevolmente, è lo stesso amore di Dio. Per questo, esso è immortale e costituisce già da ora la realtà della vita eterna. “Affinché l’amore con cui mi hai amato sia in loro” (Gv 17,26). L’amore del Padre per il Figlio è nei discepoli e si manifesta con l’amore al prossimo. Dato che la risposta all’amore del Padre è l’amore per il Padre, ma l’amore per il Padre è, in realtà, l’amore per il prossimo. Il nostro prossimo è infatti la presenza del Padre e noi non abbiamo altro mezzo per amare il Padre. Amare il Padre non lo possiamo fare con parole, con gesti di devozione o altri atti simbolici. L’amore per il Padre si realizza attraverso atti concreti qui sulla terra – atti di amore per il prossimo. “Perché essi siano uno, come noi siamo uno: Io in loro e Tu in me” (Gv 17, 22-23). L’amore del Padre ha la sua specifica maniera d’essere tra gli esseri umani: l’amore per il prossimo, che realizza l’untà tra gli esseri umani, è esattamente l’amore che c’è tra il Padre e il Figlio. Restare nell’amore di Gesù è eseguire il suo comandamento. Ora, questo comandamento è l’amore degli esseri umani gli uni per gli altri (cf Gv 15,12). […] Nella religione vi sono molti elementi che possono essere al servizio della carità. Nessuno, tuttavia, si salva per il fatto di appartenere ad una qualche religione, ma solo per l’amore che ha avuto per il suo prossimo nel bisogno. (José Comblin, El Camino, Ensayo sobre el seguimiento de Jesús).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 29 Febbraio 2008ultima modifica: 2008-02-29T23:34:00+01:00da fraternidade
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