Giorno per giorno – 25 Aprile 2008

Carissimi,
“Non maledire questo nostro tempo / non invidiare chi nascerà domani / chi potrà vivere in un mondo felice / senza sporcarsi l’anima e le mani. / Noi siam vissuti come abbiam potuto / negli anni oscuri senza libertà, / siamo passati tra le forche ed i cannoni / chiudendo gli occhi ed il cuore alla pietà. / Ma anche dopo il più freddo degli inverni / ritorna sempre la dolce primavera, / la nuova vita che comincia stamattina / in queste mani sporche ha una bandiera. / Non siamo più né carne da cannone, / né voci vuote che gridano di sì: / a chi è caduto per la strada noi giuriamo, / pei loro figli non sarà più così. / Vogliamo un mondo fatto per la gente / di cui ciascuno possa dire “È mio”, / dove sia bello lavorare e far l’amore, / dove il morire sia volontà di Dio. / Vogliamo un mondo senza patrie in armi, / senza confini tracciati coi coltelli, / l’uomo ha due patrie: una è la sua casa, / e l’altra è il mondo, e tutti siam fratelli. / Vogliamo un mondo senza ingiusti sprechi, / quando c’è ancora chi di fame muore; / vogliamo un mondo in cui chi ruba va in galera / anche se ruba in nome del Signore”. Questa canzone di Lunari e Patruno, dedicata alla festa della Liberazione che celebrate oggi, figurava sul volantino con cui il nostro amico Giovanni si è presentato qualche settimana fa ai suoi potenziali elettori. E noi ve la riproponiamo pari pari stasera, mentre i nostri fratelli ebrei entrano nel Sabato. Che non è un Sabato comune, ma è moèd (festa solenne), dato che coincide col settimo giorno di Pesach, giorno in cui avvenne il miracolo della apertura del Mar Rosso di fronte agli ebrei liberati dalla schiavitù egiziana. In questo giorno viene letta la parasha di Beschalah, “Quando il faraone lasciò partire il popolo” (Es 13,17-17,16), che ha il suo apice giusto in una canzone: “Allora Mosè e gli israeliti cantarono questo canto al Signore e dissero: Voglio cantare in onore del Signore: perché a mirabilmente trionfato, ha gettato in mare cavallo e cavaliere. Mia forza e mio canto è il Signore, egli mi ha salvato” (Es 15,1 ss). Commentando l’episodio della traversata del mare, un famoso rabbino del III secolo, Rabbi Jochanan, sosteneva che gli angeli venuti in soccorso di Israele avrebbero voluto cantare durante l’impresa, ma Dio glielo impedì dicendo: “Mentre il lavoro della mia mano viene sepolto in mare, voi intonate canti?” (TB , Megillah 10a). È un richiamo alla compassione nei confronti degli stessi nemici e degli antichi persecutori. C’è stato un gran discutere, non solo in questi giorni, se il 25 aprile sia o meno una festa di parte. Noi crediamo di no, perché la liberazione, quando è vera, riguarda tutti, e liberando gli oppressi, libera in realtà anche gli oppressori (e i loro ingenui sostenitori), e genera un mondo solo di fratelli.

Le nostre memorie di oggi sono quelle di Marco Evangelista, e di Ernesto Balducci, profeta di dialogo, pace e nonviolenza dei nostri tempi.

562963141.JPGMarco, identificato con Giovanni Marco, di cui si fa menzione più volte nel Nuovo Testamento, era figlio di Maria che abitava a Gerusalemme e cugino di Barnaba. Accompagnò questi e Paolo nel primo viaggio missionario, fino a Perge, in Panfilia, quando, per un dissidio non meglio precisato, li lasciò, facendo ritorno a Gerusalemme. In seguito dovette comunque riconciliarsi con Paolo, dato che questi ne parla come di suo collaboratore e accenna alla sua presenza a Roma, durante la prigionia. L’attribuzione a lui del secondo Vangelo risale al vescovo Papia nel 130 d.C., che cita a sua volta Giovanni il presbitero, affermando che Marco non conobbe il Signore, ma che mise per iscritto ciò che aveva udito da Pietro. Una tradizione tardiva lo vuole martire ad Alessandria in questa data.

1361976412.jpgErnesto Balducci era nato il 6 agosto 1922 a Santa Fiora, un paesino di minatori sul Monte Amiata, in provincia di Grosseto. Entrato nel seminario dei padri Scolopi, fu ordinato nel 1945 e inviato a Firenze. Dall’incontro con Giorgio La Pira nacque il suo interesse per le tematiche sociali e politico-culturali che sfociò in numerose iniziative, con lo scopo di dar vita ad un cattolicesimo, fondato su valori di testimonianza, di pace e di dialogo tra le diverse culture. Confinato per un certo tempo a Frascati e poi a Roma, potè seguire a distanza ravvicinata il grande evento del Concilio Vaticano II. Nel 1965 fece ritorno alla Badia Fiesolana, deluso per il ritardo con cui procedeva il rinnovamento ecclesiale. L’amore per la Chiesa non gli impedì di percepire i limiti di una istituzione che gli appariva sempre più ripiegata su se stessa, in una visione ecclesiocentrica che nulla riusciva ad intaccare. E dovrebbe essere l’esatto contrario. Negli ultimi anni i suoi studi e interventi si concentrarono sui temi della pace e della guerra, della non-violenza, e dell’incontro con la diversità. Il 25 aprile 1992 questo “profeta scomodo”, voce di tanti poveri del mondo, anche, e forse soprattutto, di questa America Latina, cui volle dirigere l’ultimo gesto e parola solidale, morì in un tragico incidente stradale.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono propri della memoria dell’Evangelista Marco e sono tratti da:
1ª Lettera di Pietro, cap.5, 5b-14; Salmo 89; Vangelo di Marco, cap.16, 15-20.

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli della Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e ricco in misericordia.

1959080049.jpgBruno Parmesan aveva diciannove anni, era nato a Venezia il 14 aprile 1925 ed era meccanico tornitore. Divenuto partigiano, fu catturato in seguito a una delazione da parte dei militi delle Brigate Nere. Fu fucilato l’11 febbraio 1945, contro il muro di cinta del cimitero di Udine, con altri ventitre compagni. Noi ci congediamo, offrendovi in lettura la sua ultima lettera alla famiglia, tratta dal libro “Lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana” (Einaudi). È per oggi il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Caro Papà e tutti miei cari di famiglia e parenti, dalla soglia della morte vi scrivo queste mie ultime parole. Il mondo e l’intera umanità mi è stata avversa. Dio mi vuole con sé. Oggi 10 febbraio, il tribunale militare tedesco mi condanna. Strappa le mie carni che tu mi avevi fatto dono, perché hanno sete di sangue. Muoio contento perché lassù in cielo rivedrò la mia adorata mamma. Sento che mi chiama, mi vuole vicino come uma volta, per consolarmi della mia dura sorte. Non piangete per me, siate forti, ricevete con serenità queste mie parole, come io sentii la mia sentenza. Ore mi separano dalla morte, ma non ho paura perché non ho fatto del male a nessuno; la mia coscienza è tranquilla. Papà, fratelli e parenti tutti, siate orgogliosi del vostro Bruno che muore innocente per la sua terra. Vedo le mie care sorelline Ida ed Edda che leggono queste ultime mie parole: le vedo così belle come le vidi l’ultima volta, col loro dolce sorriso. Forse qualche lacrima righerà il loro volto. Dà loro coraggio, tu Guido, che sei il più vecchio. Quando finirà questa maledetta guerra che tanti lutti ha portato in tutto il mondo, se le possibilità ve lo permetteranno fate che la mia salma riposi accanto a quella della mia cara mamma. Guido abbi cura della famiglia, questo è il mio ultimo desiderio che ti chiedo sul punto di morte. Auguri a voi tutti miei cari fratelli, un buon destino e molta felicità. Perdonatemi tutti del male che ho fatto. Vi lascio mandandovi i miei più cari baci. Il vostro per sempre Bruno (Lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 25 Aprile 2008ultima modifica: 2008-04-25T23:39:00+02:00da fraternidade
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